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Ciclismo
Giulio Ciccone riaccende la fiamma della speranza nel cuore del ciclismo italiano
Siamo onesti. Prima del Giro il ciclismo italiano, soffermandoci sulle corse di tre settimane, sembrava morto, sepolto e polverizzato. Non che la situazione fosse migliore per le gare di un giorno, sia chiaro: eravamo reduci da una campagna di primavera dove il miglior risultato di un azzurro nelle Classiche Monumento era stato l’8° posto di Sonny Colbrelli alla Milano-Sanremo.
Se due settimane fa mi aveste chiesto cosa mi sarei aspettato dagli italiani in questa Corsa Rosa, vi avrei risposto che avrei firmato per un piazzamento nella top10, obiettivo che non mi sembrava neppure così semplice. Dopo oggi, forse, gli scenari sono mutati. O, perlomeno, il vento sembra cambiato.
Per un decennio un solo corridore ha retto sulle proprie spalle il peso di un intero movimento, almeno nei grandi giri: stiamo parlando di Vincenzo Nibali. Per un periodo, purtroppo troppo breve e conteggiabile in soli 4 anni (dal 2014 al 2017 compresi), lo Squalo era stato affiancato da Fabio Aru, ormai da un quadriennio lontano parente di quel corridore capace di vincere la Vuelta nel 2015.
Da anni si invocava un ricambio generazionale che sembrava non arrivare mai. Nel frattempo Nibali ha varcato la soglia dei 36 anni, oggettivamente tanti, forse troppi per chiedergli di continuare a camuffare le lacune di un movimento che, va ribadito, vive la crisi più complessa e difficile della sua storia. Abbiamo intervistato il ct Davide Cassani, Wladimi Belli, Riccardo Magrini, Danilo Di Luca e Giuseppe Saronni per andare alle radici del problema, individuando dei possibili rimedi. Le lacune restano, inutile negarlo. Serviranno anni e pazienza per ristrutturare dalle fondamenta uno sport che per troppi anni ha ignorato che stava perdendo sempre più terreno sulla scena internazionale e che si è crogiolato nei trionfi di pochi fuoriclasse per autoconvincersi che tutto andava bene.
No, i problemi non sono dissolti, per niente. Ma oggi, dopo la tappa di Campo Felice, si è riaccesa almeno la fiammella della speranza. Una luce nella lunga notte che porta il nome e cognome di Giulio Ciccone. Da anni si parla dell’abruzzese come di un possibile protagonista per le corse a tappe. Scalatore potente, esplosivo, peraltro con eccellenti doti di recupero, come aveva già dimostrato al Giro d’Italia 2019, quando colse la maglia azzurra ed il successo nel tappone Lovere-Ponte di Legno, nel quale domò anche il terribile Mortirolo. Il punto debole resta la cronometro, anche se prima dell’ultima frazione di questo Giro non saranno previsti chilometri contro il tempo.
‘La Fagianata’ di Riccardo Magrini: “Bernal non ha paura di Pogacar. Yates si sta nascondendo”
E’ presto per dire sin dove potrà spingersi Giulio Ciccone. Si ritrova a fare classifica per la prima volta in una gara di tre settimane, egli stesso non conosce i propri limiti. Ormai non può più nascondersi: forse il colombiano Egan Bernal è fuori portata per chiunque, ma il podio è ormai un obiettivo da provare a costruire giorno per giorno. Di sicuro l’azzurro ci proverà ed è questa la grande novità rispetto alla vigilia della Corsa Rosa: mai avremmo pensato che un italiano potesse distinguersi a questi livelli e lasciar presagire addirittura la possibilità di ambire ad una top3. Un deciso passo in avanti rispetto all’atteso anonimato.
Ciccone, per sua stessa ammissione, si era presentato alla partenza di Torino con ben altre ambizioni, ovvero mettersi in mostra e provare a vincere una tappa. Poi, strada facendo, ha compreso di poter fare classifica. La Trek-Segafredo ha iniziato a credere realmente in Ciccone solo dopo aver visto sprofondare l’olandese Bauke Mollema e Vincenzo Nibali perdere progressivamente secondi ad ogni arrivo in salita. Solo ora è diventato meritatamente il capitano della squadra. Ed è questo uno dei grandi problemi dei corridori italiani, sovente costretti a ricoprire ruoli di rincalzo nelle formazioni straniere. L’assenza di squadre italiane nel World Tour è uno scotto che il movimento continua a pagare (pensiamo ad esempio a Gianni Moscon, sempre sacrificato alla Ineos-Grenadiers al servizio del capitano di turno).
Il Giro d’Italia 2021 non è giunto nemmeno a metà, da sabato prossimo in avanti i corridori affronteranno delle salite che mettono letteralmente i brividi. Tutto potrà cambiare, nel bene o nel male. Intanto Giulio Ciccone ha ridato una speranza e da qui a Milano scopriremo se il Bel Paese avrà finalmente trovato un elemento valido per le corse di tre settimane. Senza dimenticare Damiano Caruso e Davide Formolo: entrambi occupano un posto in top10 e sognano di mantenerlo il più a lungo possibile. Segnali di vita per un ciclismo italiano che cerca di rialzarsi con fatica, senza dimenticare che solo con modifiche strutturali relative ai vivai e alle società giovanili si potrà realmente costruire un futuro che consenta di riacquistare il rango perduto.
Foto: Lapresse