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Rugby, Nacho Brex: “Crowley ama il gioco vario e ha l’esperienza giusta per l’Italia”

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Ospite di Rugby2u c’era Ignacio Brex, centro della Benetton Treviso e della nazionale italiana di rugby. Con lui si è parlato della Rainbow Cup, che vede i veneti in vetta, e delle prospettive future per i biancoverdi, ma anche di nazionale e dell’arrivo di Kieran Crowley sulla panchina azzurra. Ecco le sue parole.

Nacho, quella della Benetton è una stagione molto particolare. In Pro 14 non siete riusciti a ottenere neanche una vittoria, in Challenge Cup siete arrivati a un passo dalle semifinali perdendo di misura contro il Montpellier, che poi ha vinto il titolo, mentre ora in Rainbow Cup avete iniziato con tre vittorie. Cosa è cambiato in quest’ultimo periodo?

“Come dici tu, è stato un po’ difficile a inizio stagione, il Pro 14 non è andato per niente come ci aspettavamo e volevamo e quindi penso che sia stato più che altro un cambio nell’attitudine della squadra. Dopo il torneo abbiamo detto “ok, ormai questo è andato, fissiamoci sui prossimi obiettivi”. Il primo era la coppa, che purtroppo non siamo riusciti a vincere, e ora la Rainbow che abbiamo iniziato con tre vittorie. Ovviamente questo non vuol dire ancora niente, però sappiamo che siamo sulla buona strada. C’è da mettere a punto l’attitudine del gruppo, ma è importante che avere tanti giocatori disponibili oggi ha fatto anche la differenza”.

Sabato affrontate Connacht e una vittoria sarebbe fondamentale per mantenere la vetta e puntare alla finale del torneo. Gli irlandesi li conoscete bene, quali sono le insidie maggiori e dove dovete lavorare al meglio per vincere?

“Loro sappiamo che sono una squadra che soprattutto in difesa mettono molta pressione, utilizzano una rush defense, e sappiamo che dobbiamo vincere la battaglia fisica. Loro giocano tutto sul fisico, anche se in attacco hanno una bella struttura, ma sarà fondamentale vincere il contatto. Quello che dobbiamo migliorare è giocare bene fino all’80’, cosa che non abbiamo fatto con le Zebre”.

Le ultime due stagioni sono state complicate e molto particolare a causa della pandemia. Ora si spera che dall’anno prossimo si torni a una certa normalità. E Treviso cambierà molto. Come vedi la squadra in vista della prossima stagione?

“Vedo bene la squadra. Ci saranno tanti giocatori nuovi, ma penso che rimanga un gruppo molto giovane e positivo, con un bel combo con giocatori d’esperienza. Poi ci saranno allenatori nuovi che dà un nuovo stimolo. Ma sicuramente sono molto positivo per il futuro”.

Marco Bortolami sarà il nuovo coach e ormai lo conoscete bene, visto che è già nello staff di Crowley. Per i trequarti, invece, arriverà Andrea Masi. Avete già avuto modo di parlare con lui su ciò che si aspetta o è qualcosa cui si penserà finita questa stagione?

“Con Andrea ho fatto qualche chiacchierata io personalmente, ma non come squadra, ma ancora non si è parlato di cosa farà l’anno prossimo. Marco lo conosciamo ovviamente bene, e sappiamo che saranno sicuramente allenamenti duri, cambierà qualcosa. Ma al momento sta ancora rispettando il suo ruolo, lavora con Kieran e pensa a questa stagione. Sicuramente quando finirà ci parleranno di cosa si aspettano da noi per l’anno prossimo”.

Parlando di coach, ovviamente tu conosci benissimo Kieran Crowley che lascerà Treviso ed è stato annunciato come nuovo ct dell’Italia. Crowley è un uomo di poche parole, ancora sconosciuto ai più. Che tipo è e cosa pensi si possa aspettare l’Italia dal suo arrivo?

“Come persona, come hai detto tu, è un uomo di non tante parole, ma sono sempre parole giuste al momento giusto. È una persona che lavora tanto, che controlla tanto il gruppo, gli piace che il gruppo stia bene. Mi aspetto che faccia tanto lavoro e che la sua esperienza, che è tanta, venga portata dentro la nazionale, come ha fatto con Treviso in questi anni. Con Crowley il gioco è molto vario. Lui è molto attento alla difesa, punta moltissimo sulla difesa, ma è anche un allenatore cui piace giocare, non è uno che punta tutto sul calciare sempre o giocare solo con la mischia, è uno cui piace veder giocare anche palla in mano. Se ci sono le opportunità per attaccare attaccheremo”.

Tu hai esordito quest’anno con l’Italia nel Sei Nazioni. Quali sono state le tue impressioni a entrare in questo gruppo e riesci a darti una risposta su cosa serva agli azzurri per ritrovare quelle vittorie che mancano da tanto?

“Io sono entrato in un gruppo che mi è piaciuto tantissimo, molto giovane e con grande energia. Questo credo sia ciò di più positivo da cui partire, poi dobbiamo poter stare il più possibile assieme, abbiamo bisogno di stare assieme, perché le qualità e il gruppo umano sicuramente c’è, bisogna lavorare di più. In questo Sei Nazioni abbiamo sofferto fisicamente, se perdi la battaglia fisica è difficile vincere e su questo dovremo lavorare molto”.

Tu in Argentina hai non solo vestito la maglia delle nazionali juniores e degli Jaguares, ma hai anche partecipato a diverse tappe delle World Series di rugby Seven. E il tuo esordio in azzurro è stato proprio nel rugby a sette. Quanto credi possa essere utile nella crescita di un giocatore di rugby a XV un’esperienza d’alto livello nel Seven?

“Sinceramente io sono convinto che sia importante. A me ha insegnato tantissimo, il Seven ti fa lavorare tantissimo su tutti gli skills, l’attacco, la visione di gioco. Sicuramente il Seven su cui puntare per far migliorare i giocatori”.

Per chi segue poco il rugby, per chi non ha mai giocato, puoi spiegare qual è la differenza che c’è tra primo e secondo centro, cioè tra chi veste la maglia numero 12 e 13. Sembrano ruoli uguali, ma cosa cambia e che cosa serve per giocare 12 o 13?

“Molto dipende dallo stile di gioco della squadra. Puoi avere un 12 ball carrier, che porta avanti la palla e ti dà avanzamento, o puoi usarlo come doppio playmaker. Personalmente credo che il 12 sia un giocatore più fisico rispetto al tredici, con il secondo centro che è un giocatore più elusivo, più veloce. Poi, che tu sia 12 o 13, devi avere qualità fisiche importanti”.

Foto: Ettore Griffoni – LPS

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