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Basket femminile, Giulia Natali: “A Lucca per il progetto proposto. Con le Nazionali under due anni fantastici, non vorrei mai essere altrove”
Giulia Natali è una delle giocatrici che maggiormente sono guardate con attenzione per il futuro del basket femminile italiano. Classe 2002, estense, si è ritrovata a poter debuttare in A1 grazie a Vigarano, che da Ferrara non è esattamente lontana. Le vicende cestistiche l’hanno poi portata alla Reyer Venezia, dove ha imparato i trucchi di una squadra da oltre 90 punti di media a gara. Lucca ha deciso di puntare su di lei per il prossimo futuro: tra una maglia azzurra e delle riflessioni importanti, l’abbiamo raggiunta per un’intervista in cui ha mostrato la sua idea di basket a 360°.
Quali sono i motivi che ti hanno portata a scegliere Lucca?
“Io cerco sempre di mettermi in gioco. Vengo da un’annata in cui avevo fatto una scelta di salire un po’ più di livello rinunciando ai minuti per inserirmi in un contesto di alto livello e vedere il mondo con grandi professioniste. La scelta di venire a Lucca mi ha ispirata fin da subito per il progetto che mi è stato proposto, per continuare questo mio percorso di crescita con responsabilità e minuti all’interno di un gruppo che, mi sento di dire, mi piace molto. Ognuna ha un ruolo ben preciso, son tutte ragazze che hanno voglia di lavorare e mi ispirano serenità. Sono sicura che ci troveremo tutte bene e che la qualità del lavoro dello staff sarà impeccabile“.
Fra l’altro ritrovando coach Andreoli, che avevi avuto a Vigarano.
“Esatto, avevo avuto tanta sintonia con lui. E’ stato uno dei primi che mi ha dato tanta fiducia quando ero ancora giovane. Ho sempre avuto bisogno di sentirmi più dal di fuori che da me stessa, quindi sentendo le sue parole per un paio d’anni, che mi hanno aiutata a crescere e prendere iniziative, mi sento grata eni suoi confronti perché credo abbia fatto una grande parte per formare la giocatrice si sta formando adesso“.
In quella Vigarano peraltro avevi un ruolo importante, perché entravi tanto, avevi minuti e responsabilità.
“E’ stato il primo anno in cui ho iniziato a conoscere l’ambiente della Serie A1 e iniziare a giocare con un impatto. Ho dovuto imparare tante cose. L’inserimento di una giovane non è così facile, bisogna prenderci la mano. Bisogna capire quando fare le cose, calare il ritmo, tirare, passare la palla. C’è bisogno di un percorso tarato per ogni giocatrice ed è quello che è stato fatto“.
A Venezia, come sono state le aspettative confrontate con la realtà?
“A Venezia sapevo che l’ambiente era un po’ diverso perché si giocava essenzialmente per vincere e portare a casa risultati, che era differente da quello cui ero abituata a Vigarano, dove non si dovevano vincere il campionato, le coppe e quant’altro. E’ stato un approccio diverso fin da agosto. Ho trovato nuovi stimoli e nuove difficoltà, perché mi allenavo con Yvonne Anderson che è una delle migliori giocatrici d’Europa. Ho fatto tanta fatica, ma credo di aver imparato tanto da lei e posso portarmi dietro tutto quello che mi ha insegnato e allo stesso tempo tutta la squadra era di alto livello. Ogni giorno non si poteva calare l’intensità e la guardia perché bisognava tenere alto il livello“.
Com’è difendere su giocatrici del calibro di Anderson, Carangelo, Attura e compagnia?
“Non era facilissimo. Ogni tanto poteva anche essere sconfortante, perché c’era quell’allenamento in cui non riuscivo a fare niente in attacco né in difesa perché mi mancava un po’ l’esperienza, mi mancava la forza fisica, ero un po’ indietro rispetto a loro. Non è stato tutto rose e fiori, però credo che non debba esserlo, perché un percorso di miglioramento si scontra con le difficoltà. Esserne uscita mi aiuterà e mi ha insegnato come cercare di superare gli ostacoli perché non potevo stare sempre a subire. In qualche modo credo di essere migliorata là, da come sono entrata a agosto rispetto a come ne sono uscita a maggio. Quindi, comunque, credo di aver cercato qualcosa per superare questi ostacoli“.
Obiettivi che poi si sono quasi raggiunti: lo scudetto è arrivato, la finale di Coppa Italia è stata persa con Schio dominante in difesa, l’EuroCup è andata a finire in quella situazione molto finale.
“La finale di EuroCup è quella che ci lascia più rammarico: perdere in quel modo è molto più sentito che perdere una finale di Coppa Italia di 20 punti o di una partita sottotono dall’inizio alla fine. E’ stata meritata da Schio e non c’è dubbio. Con Valencia è stata una partita molto più emozionante tra alti e bassi, e arrivare in quel modo alla fine in cui un secondo cambia tutto è veramente difficile da realizzare per noi che guardavamo dalla panchina e supportavamo le nostre compagne“.
Fra l’altro Raquel Carrera s’è ritrovata a giocare gli Europei, nel quale abbiamo avuto la nostra delusione con la Svezia, ma anche per la Spagna non arrivare a giocare le qualificazioni ai Mondiali non è cosa da poco.
“Sono stati Europei un po’ atipici. Pensare che noi eravamo vicini alla vittoria con la Serbia, e poi la Serbia ha vinto il titolo, è qualcosa che fa riflettere e che fa pensare che l’Italia potesse davvero essere al livello di quelle prime posizioni. Magari si meritava di entrare nelle prime quattro, però lo sport è questo e quindi si vince e si perde“.
Un po’ il discorso delle sliding doors. Si perde in quel modo e poi si sbaglia la partita con la Svezia, Alba Torrens non gioca gli Europei per il Covid, la Bosnia che torna dopo vent’anni abbondanti ed è quinta. Un Europeo, appunto, imprevedibile.
“Tutti noi appassionati seguiamo le partite con grande piacere. Poi vedere sconfitte del genere o che non mi aspettavo (credevo che potessero andare avanti con la Svezia), incontrare un ex ct della Nazionale che aveva voglia di rivalsa… Marco Crespi credo abbia ispirato grande fiducia ed energia nella sua squadra. Hanno giocato una bella pallacanestro“.
Non si può non correre con il pensiero alla tua doppietta europea Under 16-Under 18 nel 2018 e 2019 tra Kaunas e Sarajevo. Ed è un gruppo di ragazze che può arrivare al livello superiore.
“Sono stati due anni fantastici. L’estate scorsa ne ho sentito molto la mancanza, per il Covid non è stato organizzato niente. Oltre ai risultati che emozionano e si portano dietro, non si possono dimenticare, il bello è proprio il gruppo: passare insieme 1-2 mesi d’estate. Ma alla fine, come ho sempre detto, non sento come un peso il fatto di non andare al mare per essere al raduno, perché io mi sono sempre divertita e voglio continuare a divertirmi così. Non vorrei essere da nessun’altra parte. La settimana che porta all’Europeo o al Mondiale è sempre la più bella tra il viaggio di partenza, l’arrivo nella nuova città, conoscere qualche nuovo Paese, è tutto bellissimo al di là delle partite. E ognuna è importante. Siamo poi arrivate a giocarci quella finale che è stata una delle partite più emozionanti perché non ci si trova spesso a giocare un Europeo“.
Parlavi di Mondiali: hai vissuto quello di Minsk, in cui ci sono state anche situazioni particolari. In certe partite c’erano addirittura i militari a tifare.
“Secondo me a livello di organizzazione sono stati l’esperienza più bella, anche se non abbiamo vinto perché ci sono potenze come Stati Uniti e Australia che sono di un altro livello. L’Australia ci ha eliminate dalle prime quattro. Al prossimo Mondiale abbiamo tutte e due nel girone. Sarà tosta“.
Certo, averle entrambe nel girone è qualcosa che non si spera molto spesso. Gli Stati Uniti sono notevoli, ma anche l’Australia non scherza.
“Speriamo che ci sia poi il vantaggio di non ritrovarle a ottavi o quarti e così via“.
C’è qualche aneddoto che ricordi con particolare piacere?
“In questo momento non riesco a ricordarmene uno“.
C’è qualcosa o qualche persona che ti fa piacere vedere o rivedere?
“Conosco alcune compagne, tra cui Caterina Gilli, con cui ho un legame importante perché la conosco fin da quando siamo bambine. C’è Maria Miccoli, con cui ho giocato due anni a Vigarano, e sono contenta che sarà la capitana, perché credo possa guidare noi più giovani, ed è comunque una persona molto tranquilla. Credo che sappia come gestire le situazioni e riportare la voce del gruppo. Poi c’è Sofia Frustaci che ho conosciuto in Nazionale. Ho conosciuto Carlotta Gianolla la settimana in cui sono scesa a fare qualche allenamento a Lucca. Di nome ho conosciuto le straniere, non di persona. Mi sembrano tutte inquadrate, pronte per lavorare con il gruppo, quindi non vedo l’ora di conoscere anche loro“.
Il basket italiano sta vivendo un momento di ricambio verso l’alto: Venezia che gioca bene l’EuroCup, Schio sfortunata in Eurolega, il cambiamento continuo dei rapporti di forza, soprattutto con l’intervento della Virtus Bologna, e cinque squadre italiane nelle Coppe europee.
“Speriamo che le squadre italiane possano sempre di più inserirsi all’interno di un contesto europeo, perché ultimamente, se non Schio e Venezia, c’era poco altro, poco movimento. Adesso l’inserimento di Bologna ha alzato molto il livello italiano. Cinque squadre nelle Coppe europee sono tante, e speriamo che possano fare bene e portare quella visibilità all’Italia che faccia prendere un po’ di credibilità e portare avanti questo lavoro negli anni“.
Come hai vissuto un anno senza avere il pubblico sugli spalti?
“Non è stato facilissimo. Per quanto ci si pensi poco, o per quanto alcune non sentano l’importanza del pubblico, inconsciamente influisce sulle partite, quindi durante i time out o gli attimi un po’ più silenziosi non sentir volare una mosca è un po’ sconfortante perché si percepisce davvero che è un periodo atipico e che c’è qualcosa che non va. Le persone da casa seguivano le partite, però non si percepiva bene il sostegno se non sui social con qualche commento, ma al palazzetto non c’era veramente nessuno. Quindi è stato un po’ brutto, soprattutto in quei palazzetti che di solito sono pieni di tifosi, con i tamburi e le bandiere. Sentire tutto silenzioso e solo il pallone battere sul campo non è una bella sensazione. Speriamo di tornare presto alla normalità“.
Un esempio a caso, quello di Broni.
“Esatto“.
A livello personale, di risultati e tecnico, cosa ti aspetti dal prossimo anno?
“Mi aspetto, dopo un anno in cui ho giocato non poco, ma una pallacanestro diversa, di rimettermi in gioco e con più minuti di avere la possibilità di capire quando posso far qualcosa di buono io e sono in giornata e, invece, quando magari faccio fatica al tiro, giocare per una compagna, concentrarmi in difesa e avere la capacità di capire il gioco e di essere determinanti in ogni situazione. Questo mi piacerebbe fare, perché una giocatrice che riesce sempre a essere pericolosa in ambiti diversi, e che se non riesce a trovare soluzioni in attacco si concentra in difesa, è una giocatrice che porta sempre il suo apporto alla squadra. A livello di gruppo, invece, sono molto fiduciosa. Sono contenta di avere queste compagne, non farei nessun cambio. Fin da agosto sarà importante trovare una bella sintonia, cominciare a preparare il campionato e sono convinta che possiamo fare bene senza sbilanciarmi troppo su una posizione in cui potremmo arrivare. Credo che un gruppo così si possa meritare i playoff“.
Una giocatrice contro cui, in questi anni, ti è piaciuto giocare?
“La più forte contro cui ho mai giocato, Allie Quigley quando giocava a Schio. Ho avuto anche la possibilità di poterla marcare, quindi oltre all’emozione iniziale è stata una sfida cercare, in un certo senso, quando incontri una giocatrice così forte, di non farsi umiliare, di non farle fare tutto quello che vuole, che le viene anche facile. Mettersi un po’ in gioco quando incontri talenti di questo tipo“.
Quigley, che è una che quando vuole fare qualcosa, semplicemente fa quello che le pare. Oltretutto molti ricordano che al tempo ebbe offerte per andare altrove e volle terminare la stagione a Schio, non una cosa scontata.
“Fra l’altro sembra un po’ magrolina fisicamente, e invece è tosta. E’ una bell’avversaria, perché non si sposta anche se non sembra di quelle giocatrici grosse, che fisicamente danno fastidio. Invece è forte anche sotto quell’aspetto. E’ veramente completa“.
Il che dice quanto il discorso della preparazione fisica, a volte sottovalutato visto da fuori, si capisce sia importante per queste giocatrici. Anche per chi non sembra farne un punto fondamentale.
“Ma la preparazione fisica è importante anche sul discorso degli infortuni e del preparare il proprio corpo muscolarmente. Quindi vale sotto tanti aspetti per poter arrivare in campo preparate“.
A maggior ragione in un periodo come quello del Covid, perché per tanto tempo non avete più potuto far niente.
“Infatti la ripresa ad agosto mi spaventava molto, perché mi aspettavo tanti infortuni, e alcune il periodo di stop l’hanno percepito più di altre. Ero un po’ preoccupata che il Covid avesse fatto danni gravi. Invece non mi sembra che ci siano stati tanti più infortuni del solito. Chiaramente poi fanno parte del gioco, ogni anno ce ne sono e ce ne saranno sempre“.
Quando hai cominciato, e nell’evoluzione tua come giocatrice, quale obiettivo ti sei posta nel lungo termine?
“Io ho iniziato da bambina, quindi senza grandi aspettative, come un po’ tutti. Ho continuato a giocare perché mi piaceva, e soprattutto ho avuto la fortuna e la possibilità di farlo a casa mia. Andando avanti ho cominciato a giocare in Serie A, che per fortuna avevo a 15 minuti da casa, e mai avrei pensato di poter giocare in Serie A a 15 anni, nemmeno se me l’avessero confermato o raccontato qualche anno prima. Pian piano da lì ho cominciato a capire che forse, giocando, sarei potuta arrivare a quel livello. La prima stagione con Andreoli è stata quella che mi ha fatto capire che a quel livello potevo giocare. Stava solo a me, a quel punto, decidere quanto tempo dedicarci, perché alla fine dev’essere una priorità e va trattata come tale. Un po’ di rinunce, un po’ di sacrifici, per fare quello che si vuole fare. Il mio obiettivo sarà continuare su questa strada. Secondo me nessuno può farsi troppe aspettative su dove possiamo arrivare. Magari averne di troppo alte appesantisce le persone che si sentono costrette ad arrivare o deluse se non arrivano da qualche parte. Quindi obiettivo lavorare serenamente senza fasciarsi la testa, e soprattutto, oltre che per me, farlo per il gruppo che troverò“.
Abbiamo visto in questi anni che riuscite in tante a debuttare da giovani in Serie A, vuoi per necessità, vuoi per progetto stile Costa Masnaga. Se ti confronti con quell’ambiente presto, impari poi a conoscerlo e leggerlo.
“Sì, sicuramente è un vantaggio. Per avere giocatrici pronte quando avranno 20-25 anni non c’è la bacchetta magica che le trasforma, ma devono avere un contesto in cui si confrontano con un livello alto. Bisogna quindi prendersi un po’ dei rischi, e provare a creare delle giovani che hanno prospettive interessanti e potrebbero giocare a quel livello. A 14 anni è ovvio che una ragazza è ancora giovane e fa fatica, ma se ci si prova e la si inserisce in un contesto di Serie A, pian piano sicuramente troverà il modo di adattarsi. Per io mi allenavo con Anderson e dovevo in qualche modo non subire la sua forza, allo stesso modo le giovani troveranno gli stimoli per allenarsi senza subire troppo“.
Anche perché con Anderson non si possono trovare scorciatoie: devi trovarle tu le soluzioni.
“Chiaramente“.
Credit: Ciamillo