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Wimbledon 2021: Matteo Berrettini contro Novak Djokovic, una finale storica da qualunque punto di vista
Da una parte la trentesima finale Slam, con la voglia di andare a caccia di Roger Federer e Rafael Nadal a quota 20 vittorie. Dall’altra una prima volta in più sensi: personale e dell’Italia. Novak Djokovic e Matteo Berrettini sul Centre Court di Wimbledon ci entrano così, come i due migliori giocatori sia del torneo che, a conti fatti, della stagione su erba, sebbene in modi differenti.
Tradizionalmente, infatti, il numero 1 del mondo i tornei precedenti lo Slam britannico non li disputa, ma si presenta direttamente ai Championships. Questa volta ha deciso di giocare il doppio a Maiorca, ottenendo buone sensazioni prima di debuttare là dove ha già ottenuto cinque trionfi su sei finali giocate. Durante il torneo ha perso un set soltanto all’esordio, con il giovane britannico (wild card) Jack Draper; di lì non ha più lasciato nulla agli avversari. La maggior resistenza l’ha offerta, sia per punteggio (7-6(3) 7-5 7-5) che per tempo trascorso in campo (2 ore e 44 minuti) Denis Shapovalov: il canadese si è si arreso in semifinale, ma ha a tratti infastidito il serbo. Djokovic è rimasto complessivamente fuori dagli spogliatoi per 12 ore e 48 minuti.
Il numero 1 d’Italia, invece, è ancora imbattuto sui prati in quest’annata. Ha vinto al Queen’s, e l’ha fatto con merito, e ha poi proseguito la sua marcia con le tre grandi armi principali: servizio, dritto e rovescio in slice, che sull’erba assume un’efficacia tutta sua. Tre i set lasciati per strada: il secondo con l’argentino Guido Pella al primo turno, ancora il secondo con il canadese Felix Auger-Aliassime ai quarti e il terzo con il polacco Hubert Hurkacz in semifinale. Berrettini ha saputo tenere duro anche in giorni non proprio semplici, come quello dei quarti con Auger-Aliassime, in cui dal 5-2 del primo parziale fino almeno a metà del terzo è apparso chiaramente in difficoltà. Non c’è grandissima differenza per tempo trascorso in campo rispetto al suo avversario odierno: 13 ore e 41 minuti.
Due i precedenti tra il cinque volte campione e l’uomo che per la terza volta nella sua vita giocherà sul Centre Court. Nel primo, alle ATP Finals 2019, fu assolo di Djokovic, un perentorio 6-2 6-1 ottenuto su uno dei temi tattici che potrebbero caratterizzare anche la finale di oggi, e cioè l’impatto della risposta del serbo contro il grande servizio dell’italiano. Al Roland Garros di poche settimane fa, invece, i due si sono incontrati ai quarti: incontro particolare, giocato per quasi tutta la sua durata con il pubblico e per l’ultima parte senza a causa di un coprifuoco parigino la cui gestione, come poi visto due giorni dopo, avrebbe potuto essere migliore. Il numero 1 del mondo ha vinto per 6-3 6-2 6-7(5) 7-5, ma le reazioni del finale di quarto set hanno fatto capire quanto fosse spaventato di un’eventuale conclusione al quinto (paradossalmente, lo è sembrato meno quando ha dovuto rimontare Lorenzo Musetti prima e Stefanos Tsitsipas poi).
Finale storica, questa, anche per altri motivi: sarà la prima di uno Slam con l’intero Centrale (in questo caso il Centre Court più celebrato del mondo) a capienza intera dopo il ritorno dallo stop per Covid-19. E sarà anche la prima a Wimbledon con una giudice di sedia donna, nel caso la croata Marija Cicak, che gode di grande stima all’interno del circuito. Djokovic è sicuro di mantenere il numero 1 del ranking ATP anche in caso di sconfitta, mentre Berrettini perdendo sarà numero 8 e vincendo diventerà settimo superando per 33 punti il russo Andrey Rublev. Già ben definite invece le posizioni della Race: il serbo è primo e qualificato per le ATP Finals di Torino, l’azzurro è terzo e tale rimarrà anche in caso di successo.
In chiave italiana, questa è appena la seconda finale disputata da un nostro portacolori in uno Slam in Era Open, dopo quella del Roland Garros 1976 vinta da Adriano Panatta su Harold Solomon; andando indietro nel tempo, e sempre a Parigi, si trovano quella di Giorgio De Stefani nel 1932 (persa con Henri Cochet) e le quattro di Nicola Pietrangeli nel 1959, 1960, 1961 e 1964 (le prime due vinte, le seconde due perse). Un appuntamento, questo, atteso sostanzialmente da sempre per il nostro Paese, che in senso assoluto (comprendendo anche singolare femminile e tutti i doppi a livello professionistico) di ultimi atti ai Championships ne vantava tre. Il primo vide, nel 1956, Pietrangeli e Orlando Sirola perdere la finale di doppio, il secondo è quello del 2014 con cui Sara Errani e Roberta Vinci completarono il Career Grand Slam di specialità. Il terzo è quello odierno.
E a proposito di Grande Slam, per Djokovic non c’è solo una rincorsa a qualcosa che per ultimo riuscì a fare Rod Laver nel 1969, ma anche a qualcosa che non accade dallo stesso anno: la vittoria di Australian Open, Roland Garros e Wimbledon in sequenza. O almeno, questo quando l’ordine degli Slam nell’anno è stato questo, giacché l’unico dei quattro tornei maggiori nell’emisfero australe ha più di una volta cambiato data. In Era Open, tre Slam nello stesso anno li hanno vinti Mats Wilander, Federer, Nadal e lo stesso Djokovic. L’iberico è l’ultimo ad averne vinti tre di fila nel singolo anno, nel 2010, mentre tutti i Big Three l’hanno fatto a cavallo tra i due anni. In particolare, il serbo ha detenuto i quattro maggiori titoli nello stesso momento dopo il Roland Garros 2016, dopo il quale iniziò una vorticosa discesa verso il basso a livello di prestazioni. E proprio a Wimbledon è avvenuta la sua rinascita, nel 2018: qui vuole chiudere il cerchio. Prima, però, deve battere Matteo Berrettini. E, con la versione martello del romano vista in queste due settimane, da 101 ace stampati tra i vari campi dell’All England Lawn Tennis Club, tutto è davvero possibile.
Foto: LaPresse