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Wimbledon 2021, Novak Djokovic a -1 dal Grande Slam. Da quanto non si verifica e chi ci è riuscito in passato

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Tre Slam consecutivi nello stesso anno non si vedevano dal 2010, quando Rafael Nadal fece suoi Roland Garros, Wimbledon e US Open in sequenza. Ma per Novak Djokovic la situazione, oggi, è diversa: vincendo i Championships in finale su Matteo Berrettini, può diventare il terzo uomo a poter dire di aver completato il Grande Slam nel vero senso della parola, prendendosi cioè i quattro tornei maggiori nello stesso anno.

Don Budge, Rod Laver: questi i nomi da tenere a mente quando si parla di Grande Slam. L’americano portò a compimento l’impresa cinque anni dopo che l’utilizzo del termine fu coniato per il tennis (da John Kieran del New York Times secondo Bud Collins, da Alan Gould secondo altri, con un leggero anticipo temporale). Venne stabilito che l’impresa si sarebbe compiuta vincendo Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open, tre dei quali, al tempo, avevano nomi un po’ diversi da quelli con i quali siamo oggi abituati a chiamarli.

Budge riuscì a fare quello che non aveva compiuto nel 1933 l’australiano Jack Crawford, che fu fermato a un set (e all’asma provocato dall’umido di Long Island, anche se ci fu chi attribuì il crollo in finale agli US Open) dall’impresa da Fred Perry, britannico la cui fama si sarebbe poi estesa anche nell’abbigliamento. Nel suo caso, il nativo di Oakland non perse neppure un set in Australia, come neppure a Wimbledon. Fu in Francia che corse i pericoli maggiori: lo jugoslavo Franjo Kukuljevic lo costrinse al quinto set negli ottavi di finale, prima di crollare nel parziale predetto. Negli States, invece, fu Gene Mako a pareggiare i conti nella finale, prima di cedere in quattro. L’enormità di quanto fatto da Budge si spiega ulteriormente con quel che era accaduto nel 1937: aveva infatti vinto ben sei Slam consecutivi contando anche Wimbledon e gli allora US National Championships nel 1937, entrambi contro il tedesco Gottfried Von Cramm, altro personaggio di cui la storia ha tramandato molto.

Era ancora l’epoca di un tennis dilettantistico, che sarebbe cambiato per tanto tempo di lì a poco con la creazione del circuito professionistico da parte di Jack Kramer, che di campioni se ne portò dietro parecchi e fu vicino a convincere anche Nicola Pietrangeli. Fu in questo contesto che Rod Laver riuscì a mettere in piedi il primo Grande Slam, nel 1962. “Rocket” dominò la scena in quell’anno insieme a Roy Emerson: insieme disputarono tre finali, e l’unica in cui l’avversario fu diverso (Martin Mulligan, che sei anni dopo sarebbe diventato italiano per cittadinanza) ne uscì un’autentica esecuzione sportiva. Le cose non andarono sempre lisce: in Francia dovette rimontare un set agli ottavi con il romano Sergio Jacobini, così come a Mulligan (ma da 1-2) nei quarti e a Neale Fraser in semifinale. Ne recuperò addirittura due in finale su Emerson. A Wimbledon l’unico che gli diede problemi fu Manolo Santana, che gli tolse il primo parziale dei quarti per 14-16 (al tempo il tie-break non esisteva), negli States fece poca più fatica.

Dopo cinque anni di professionismo (in cui vinse i tre Major del caso, e su questi ci sarebbe da stilare un altro capitolo di storia del tennis), Laver tornò con il tennis Open a lottare davvero contro tutti. E, nel 1969, riuscì a ripetersi. Stavolta furono in tanti a impegnarlo: si partì con Tony Roche in semifinale a Brisbane (all’epoca sede degli Australian Open) prima del facile successo su un altro dei grandi spagnoli dell’epoca, Andres Gimeno, e con lo jugoslavo Zeljko Franulovic (grande protagonista anche negli Anni ’70) al Roland Garros, dove per alcune circostanze si andò vicini a un confronto precoce con un giovanissimo Adriano Panatta. A Wimbledon si ebbe l’ultimo scontro con un ormai depotenziato Pietrangeli, ma ci provarono in particolare in due a eliminarlo: l’indiano Premijt Lall (che crollò nel secondo turno dopo aver vinto i primi due set) e l’americano, altro campione di ottima levatura di quegli anni, Stan Smith, che i due parziali glieli rimontò negli ottavi prima di perdere al quinto. In America, invece, soltanto Dennis Ralston (recentemente scomparso), negli ottavi, lo portò davvero sull’orlo dell’eliminazione prima della riuscita del secondo Grande Slam.

Da allora, l’impresa è stata soltanto sfiorata. Ci andò vicino lo svedese Mats Wilander nel 1988, quando dominò tutto e tutti tranne Miloslav Mecir ai quarti di Wimbledon: il “Gattone” cecoslovacco lo travolse senza tanti complimenti, prima di essere fermato da Stefan Edberg che poi vinse il torneo. Per tre volte Roger Federer, a posteriori, è stato a una partita dal realizzare l’impresa, ed è sempre stato Nadal a fermarlo nel 2004, 2006 e 2007, i tre anni in cui dominava tutto quello che non era terra rossa. L’elvetico, però, forse è andato ancora più vicino al Grande Slam nel 2009, quando Nadal lo fermò in finale a Melbourne e l’argentino Juan Martin del Potro lo stoppò a New York: in entrambi i casi ciò accadde al quinto set. Lo stesso Djokovic ci è andato vicino nel 2015, quando perse da un altro svizzero, Stan Wawrinka, la finale del Roland Garros, ma anche nel 2011 quando Federer lo fermò in semifinale sempre a Parigi. Il serbo, inoltre, è l’unico ad aver detenuto tutti e quattro i trofei maggiori allo stesso tempo, anche se non nello stesso anno (l’arco di tempo va da Wimbledon 2015 al Roland Garros 2016).

Merita di essere citato anche il novero di chi ha messo a segno il Career Grand Slam, e cioè i vincitori di tutti e quattro i tornei anche se non nello stesso anno: Fred Perry, Don Budge, Rod Laver, Roy Emerson, Andre Agassi, Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic, questi ultimi quattro capaci di completare il tutto in Era Open.

Foto: LaPresse

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