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Vanessa Ferrari, hai vinto la tua Odissea. Navigatrice peregrina, la medaglia olimpica è la tua bussola

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Ricordiamo benissimo, come se fosse ieri, quello che successe domenica 8 ottobre 2017: finale al corpo libero dei Mondiali, enorme chance di conquistare una medaglia dopo la delusione delle Olimpiadi di Rio 2016 e una stagione praticamente non disputata. L’esercizio è di grande sostanza e ci sono tutte le credenziali per sognare in grande, ma la diagonale tempo-Tsukahara è letale: Vanessa Ferrari si rompe il tendine d’Achille. Nel giro di un mese avrebbe compiuto 27 anni: ai più sembrava fosse finita la sua carriera. Ci abbiamo creduto in pochi, a dire il vero, ma come non si può avere fiducia in una ragazza che si è rialzata decine di volte da sfortune, infortuni, avversità e che ha superato criticità che avrebbero abbattuto un leone?

Che fosse un’Araba Fenice era ben noto, bisognava solo darle del tempo per operarsi, riabilitarsi e tornare. Non una novità da quelle parti. Lei ci ha sempre creduto, la parola impossibile non è mai esistita nel suo vocabolario e si era così intestardita che aveva ben chiaro il proprio obiettivo: conquistare una medaglia alle Olimpiadi. Sembrava una sana follia partorita da una sognatrice di belle speranze, ma era in realtà la consapevolezza di una professionista dalla lucidità mentale e agonistica davvero sopraffina. Torna in pedana dopo 500 giorni di stop dal crac di Montreal, vince subito una tappa di Coppa del Mondo a Melbourne e decide di perseguire la strada di quel circuito per qualificarsi ai Giochi.

Nel frattempo si opera a entrambi i piedi e scopre di avere la tiroidite di Hashimoto (una malattia autoimmune). Avanti imperterrita, Tokyo 2020 si avvicina, è messa benissimo in classifica generale e a Baku può chiudere i conti: si risparmia in qualifica per poi dare tutto in finale, ma l’atto conclusivo non si disputa a causa dell’esplosione della pandemia e viene omologato il verdetto dopo il preliminare. Subisce il sorpasso di Lara Mori, nel frattempo i Giochi slittano di un anno e per evitare sorprese si rimette in gioco su tutti gli attrezzi per meritarsi un posto nel quartetto di squadra nel caso in cui non si disputasse l’ultima tappa di Coppa del Mondo. La mettono in calendario a fine giusto, a un mese da Tokyo 2021: trionfa a Doha e stacca il biglietto da individualista, poi si farà male Giorgia Villa e la sostituirà in squadra, ma questo è un altro discorso.

Una vera e propria Odissea per arrivare in Giappone, alla quarta Olimpiade in carriera (record per una ginnasta italiana). Con alle spalle gli amarissimi quarti posti di Londra 2012 e Rio 2016. Si esalta in qualifica, ottiene il miglior punteggio, batte Simone Biles. Si sacrifica per la squadra e ottiene un altro legno nel team event, a quattro decimi dal podio. Questa volta, però, non può sfuggirle la medaglia al quadrato, esegue un impeccabile esercizio sulle note di “Con te partirò” (e portando in gara il tempo-Tsukahara che le era stato fatale quattro anni prima), emoziona tutto il mondo e si mette al collo un argento stupendo. Anche se, forse, da incontentabile qual è, avrebbe voluto il metallo più pregiato…

Una navigatrice peregrina che ha finalmente trovato il suo porto. La medaglia olimpica le fa da bussola, stella polare di una carriera semplicemente sublime e costellata di successi a cui mancava soltanto questa ciliegina sulla torta. Consacrazione definitiva, ora Vanessa Ferrari può essere in pace con se stessa. Ma non è detto che sia finita qui…

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Foto: Lapresse

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