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Ciclismo
Damiano Cunego: “Vado all’Università e faccio il preparatore. Mondiali 2008: più rammarico che gioia”
Diciassette anni di professionismo, dal 2002 al 2018, con un Giro d’Italia, tre Giri di Lombardia, una Amstel Gold Race e un argento Mondiale del 2008 a Varese. Soprannominato per la sua eleganza il “piccolo principe”, Damiano Cunego, ciclista veronese classe 1981, ha saputo togliersi enormi soddisfazioni nel corso della sua carriera, aggiudicandosi 50 corse tra i professionisti. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa di Verona.
Come stai lontano dalle corse?
“Sto molto bene, la vita va avanti. Ho concluso il secondo anno all’Università nella facoltà di Scienze Motorie, vado in bici, guardo le corse in tv. Insomma sono sempre impegnato.”
Com’è stato passare dalla vita di corridore a quella di studente?
“E’ stato un percorso graduale. Quando ho smesso nel 2018, era una cosa a cui pensavo già dal 2016, e quindi ho avuto il giusto tempo per capire quale strada intraprendere. Mi è sempre piaciuto il discorso della preparazione atletica e così ho deciso di iscrivermi all’Università, sia per cultura personale e poi perché penso che un tecnico ben formato debba intraprendere un percorso universitario.”
Quanti corridori segui come preparatore atletico?
“Attualmente ne seguo cinque, due Under23, due allievi e uno Juniores. Mi sono messo come tetto massimo cinque atleti in modo tale da riuscire a fare anche altro, come ad esempio portare avanti gli studi.”
Sei passato tra i professionisti da giovane come un autentico talento. Un anno di rodaggio, il 2003, e l’anno seguente l’esplosione al Giro del Trentino, per poi proseguire con il Giro d’Italia in maglia Saeco. Ti aspettavi di partire così bene?
“Sono passato professionista che avevo quasi 21 anni, quindi molto giovane. Ho sempre avuto una grande voglia di fare e arrivare. Al terzo anno prof vincere il Giro d’Italia è stato qualcosa di incredibile, forse ho bruciato qualche tappa ma il tutto è avvenuto in maniera naturale.”
Per quale ragione poi hai fatto fatica a ripeterti?
“Dopo quella vittoria tutti si aspettavano che vincessi altri Giri d’Italia e Tour de France, ma non è scontato, anzi: sono umano anche io. Ho comunque vinto tanto in carriera e sono contento così. Ho sempre dato il massimo e lavorato sodo.”
Quale voto daresti alla tua carriera?
“Sicuramente un voto buono, direi un bel nove. Come mai un voto così alto? Andate voi in bicicletta e poi ne riparliamo.”
Per tutta la carriera si è discusso se tu fossi più corridore da corse a tappe o classiche. Il responso è stato quello delle gare di un giorno?
“Per me non esiste una risposta (ride, ndr). Ho fatto un po’ e un po’, non mi sono mai completamente specializzato.”
Il ricordo più bello?
“Il Giro d’Italia nel 2004, i tre Giri di Lombardia (2004, 2007 e 2008) e l’Amstel Gold Race del 2008.”
E quello più brutto invece?
“Il Giro 2009. Non sono stato tanto bene, e quindi non ho fatto né classifica né tappe. L’ho portato comunque a termine, forse un altro corridore si sarebbe ritirato.”
Mondiali 2008: più la gioia per la doppietta italiana o il rammarico per la maglia iridata che sarebbe potuta essere tua?
“Più il rammarico per la maglia iridata. Però sin dalla domenica successiva ho messo gli occhi sul Giro di Lombardia che poi ho vinto, per la terza volta.”
Hai qualche rimpianto?
“Sì, il Campionato Italiano di Imola nel 2009 quando arrivai secondo, il secondo posto all’Alpe d’Huez al Tour de France 2006 e il secondo posto al Tour de Suisse nel 2011 dove ho perso qualche secondo all’ultima crono.”
In 17 stagioni di professionismo hai assistito ai cambiamenti del mondo del ciclismo…
“Sì, assolutamente e sono tutti i punti di vista. Umano perché ho iniziato a correre con alcuni atleti degli anni Sessanta e ho smesso quando in gruppo c’erano i ragazzini del Duemila. Ho visto quindi differenti tipi di pensiero. Dal punto di vista della tecnologia e quindi delle biciclette perché io ho iniziato a correre con la bici in alluminio sino ad arrivare a quelle di oggi con il freno a disco e quindi con performance sempre maggiori a parità di sforzo. Un ultimo aspetto quello dell’alimentazione e le relative tabelle: dal 2010 con la nascita del Team Sky c’è stata sempre più una cura maniacale.”
Come pensi cambierà nei prossimi anni?
“L’andamento dei corridori di oggi è visibile agli occhi di tutti. Già da Juniores usano il potenziometro, sono delle macchine e quando passano tra i professionisti raramente sbagliano. Il rapporto umano però è quasi sparito, si pensa solo al risultato e così facendo c’è il rischio che le carriere sportive diventino sempre più corte. C’è troppa esasperazione, e alla lunga pesa.”
Il ciclismo ha sempre meno appeal tra i giovani ed i genitori sono preoccupati per la sicurezza sulle strade…
“E’ un bel problema. Anche a me questo aspetto preoccupa molto. Mi piace vedere che ci sono molti ragazzini che si approcciano alla mountain-bike e penso che questa possa essere un’ottima alternativa per stare meno sulle strade. Ho visto che ci sono alcune associazioni che stanno facendo il massimo per cercare di sensibilizzare il problema, però è un percorso lungo che non si risolve in un paio di mesi.”
Stiamo assistendo ad un grande cambio generazionale. Qual è il corridore di oggi che ti assomiglia di più?
“Remco Evenepoel. Forte in salita, veloce, forse io ero più bravo in discesa ma lui è decisamente già bravo a cronometro.”
Come mai secondo te noi italiani facciamo fatica a tirare fuori dei giovani ventenni come un Tadej Pogacar o Remco Evenepoel?
“Bella domanda. All’estero ci sono scuole più complete rispetto alle nostre. Forse a noi manca un corridore rappresentativo che possa sostituire Nibali, ma non è facile. Abbiamo comunque atleti validi, come Filippo Ganna ed Elia Viviani.”
Aru si è ritirato a 31 anni, Nibali prosegue a 37. Come valuti questa scelta?
“Fabio secondo me ha fatto la scelta giusta, è inutile continuare se ci sono solo delusioni. Avrà altre soddisfazioni nella vita, che non è solo bici. Vincenzo invece fa bene ad andare avanti, ha fatto una grandissima carriera e se posso dargli un consiglio gli direi di rimanere in gruppo finché riesce.”
Qual è il tuo pensiero sul “dopo Cassani” e sull’organizzazione della nuova Federazione?
“Per ora c’è ancora una situazione di studio, almeno credo. Gestire una Nazionale non è semplice e Cassani lo ha fatto molto bene. Tutti i nomi che sono usciti riguardo al nostro futuro Ct sono tutte persone con una bella personalità e quindi valide.”
Foto: Lapresse