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US Open 2021, cosa manca a Matteo Berrettini per battere Novak Djokovic

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Un film già visto. Si può riassumere in questo modo il quarto di finale degli US Open 2021 che ha visto Matteo Berrettini soccombere contro il numero 1 al mondo Novak Djokovic, ormai a solo due partite di distanza da entrare nella storia conseguendo nello stesso momento il Grande Slam nello stesso anno solare, impresa riuscita solo a Don Budge e a Rod Laver (ultima volta nel 1969) ed il Major numero 21 della sua incredibile carriera, mettendosi alle spalle Roger Federer e Rafa Nadal.

Ricordate il film ‘Ricomincio da capo’ del 1993, con protagonista Bill Murray, che interpreta un meteorologo che ogni mattina si risveglia vivendo sempre lo stesso giorno? Ebbene, Matteo ha rivissuto una sorta di ‘Giorno della marmotta’ durante la nottata, in una copia carbone della finale di Wimbledon: primo set strappato con le unghie e con i denti, poi dalla seconda frazione Nole accelera e comincia a martellare, conquistando i break in apertura e difendendoli fino  al successo finale.

Tirando le somme, la campagna Slam di Berrettini è da considerarsi sicuramente positiva. Dopo non aver disputato gli ottavi di finale degli Australian Open contro Stefanos Tsitsipas a causa di un problema addominale, l’azzurro è arrivato almeno ai quarti nei tre tornei rimanenti, con il picco della finale disputata all’All England Club. La costante è l’avversario con cui si sono interrotti i sogni di gloria dell’azzurro ed il risultato: sempre Novak Djokovic, sempre per tre set a uno. Dunque, cosa manca a Matteo per poter battere il serbo?

C’è da fare una premessa doverosa: Nole è il peggior avversario che Berrettini possa incontrare su un campo da tennis. In primis per una delle sue più grandi abilità, forse la migliore fra tutte quelle che ha in dote: la risposta. Il numero 1 al mondo è probabilmente il migliore della storia in questo fondamentale assieme ad Andre Agassi, forse addirittura con qualcosa di più nel footwork, il cosiddetto lavoro di piedi: sempre attivo, sempre in movimento per arrivare su ogni palla. E poi, Djokovic è uno dei più fini strateghi del tennis mai esistiti su un campo da tennis; riesce sempre a scovare il punto debole di ogni avversario, scavando lì colpo dopo colpo, goccia dopo goccia, instillandoti dubbi su dubbi dopo ogni scambio.

Con un giocatore così dall’altra parte del campo, l’unica cosa che si può fare è continuare a migliorare i propri punti deboli per potersi presentare con sempre meno appigli da concedere al proprio avversario. Se servizio e dritto di Matteo sono da élite del tennis mondiale, non si può dire lo stesso del rovescio, estremamente migliorato nel corso degli ultimi due anni e diventato un colpo solido e rispettabilissimo, ma non da temere per i primissimi (non i primi, i primissimi) della classe. Nel match di stanotte l’azzurro, per spingere sull’acceleratore, ha commesso un po’ troppi errori non forzati, 42, contro i 28 dell’avversario.

Frutto anche delle poche chance ottenute in risposta: non è un caso che il serbo abbia ottenuto ben 30 punti in più con questo fondamentale (64 a 34), in virtù della sua capacità innata a disinnescare il servizio di qualunque essere umano vivente sul globo terrestre. Anche il gioco a rete potrebbe subire qualche miglioramento: non gli chiediamo di diventare tutto ad un tratto un giocatore di serve and volley, cosa assai difficile per il fisico che si porta a spasso, ma di poter dare una variazione di più sul tema per poter spiazzare Djokovic. E in ultimo, un dispendio migliore delle energie: l’azzurro arrivava agli US Open con poca preparazione, ma verso il finale sembrava con le energie al lumicino mentre il suo avversario era fresco come una rosa.

Con tutti questi accorgimenti, sembra che stiamo descrivendo un giocatore tutto da ricostruire per poter ambire a grandi traguardi. Invece no, ricordiamo bene la premessa con cui siamo partiti: cosa dovrebbe fare Matteo Berrettini per battere Novak Djokovic, uno dei più grandi giocatori della storia e che, per numeri, a fine settimana potrebbe rivelarsi il più grande. Per poter battere un fenomeno del genere bisogna essere praticamente perfetti su ogni punto di vista, con l'”aggravante” che il tuo gioco si incastra benissimo con quello del suo titolatissimo avversario. Matteo quest’anno ha dimostrato una volta di più di essere un giocatore stabilissimo fra i primi 10 al mondo, costante e capace di arrivare in fondo nei grandi tornei stagionali. E iniziamo a pensare che, dopo le due finali di quest’anno tra Wimbledon e Madrid, il grande acuto arriverà a stretto giro di posta, dopotutto il romano ha soltanto 25 anni. Ma per battere un giocatore entrato nella cerchia dei GOAT, Greatest Of All Time, devi semplicemente giocare da tale.

Foto: LaPresse

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