Sci Alpino
Sci alpino, Giorgio Rocca: “Torino 2006 mi rode ancora, ma nella vita c’è altro. Vinatzer è il futuro”
La raggelante consapevolezza di come la vita, dopo averti ammaliato con le fanfare della gloria, possa in pochi istanti farti inabissare in un precipizio di angoscia. E’ questione di attimi, frazioni di secondo. Prima ti senti un Dio, tutto ti riesce facile e la vittoria diventa una compagna di viaggio abituale, quasi scontata; poi basta un errore per ritrovarsi nella polvere dopo un fragoroso impatto con la cruda realtà.
E’ quanto racconta Giorgio Rocca nella sua autobiografia “Slalom. Vittorie e sconfitte tra le curve della mia vita“. Come dimenticare quelle meravigliose imprese a cavallo tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006. Cinque vittorie consecutive in slalom, una dopo l’altra. “Non c’è due senza tre, il quattro vien da sé, la quinta è già vinta“. In quei giorni l’Italia si riscoprì nuovamente innamorata dello sci alpino, rivivendo emozioni sopite ormai dai tempi di Alberto Tomba. Tutto sembrava apparecchiato per la grande consacrazione olimpica, dove il livignasco si presentò da grande favorito. A Torino 2006 l’attesa era tutta per lui, una folla immensa pronta ad acclamare il nuovo deus ex machina delle nevi. Partito con il pettorale n.1, Giorgio Rocca non portò a termine la prima manche a causa di un errore: la sua gara finì ruzzolando nella neve. Una delusione cocente, atroce. Ma di certo non una macchia perpetua. Perché la vita va avanti e con valori ben più elevati di una vittoria o una sconfitta.
Giorgio, quali sono i temi trattati nel tuo libro?
“Nel libro racconto da dove ho iniziato e grazie a chi, ovvero i miei genitori. Poi i primi passi sulla neve e l’opportunità di riuscire a fare sci alpino nel luogo in cui vivevo. Ripercorre la mia carriera nei punti salienti, anche con gli infortuni e le delusioni. E poi il dolore provato quando dovevi tornare più forte di prima dopo esserti fatto male. Mi sono soffermato molto sulle sconfitte, perché sono quelle che segnano di più un atleta, più delle vittorie. Ho voluto far capire che se vuoi, puoi. Io non ero un fuoriclasse, ma con tenacia, determinazione e cuore, che è quello che ti fa fare tutto, con parecchi errori ho tenuto duro e sono riuscito a raggiungere degli obiettivi che pensavo fossero impossibili. Un personaggio come Tomba mi sembrava inarrivabile, eppure sono riuscito a ripetere qualcosina di quanto aveva fatto lui, come ad esempio le cinque vittorie consecutive“.
L’episodio di Torino 2006 resta una ferita aperta? E come sei riuscito a metabolizzarla?
“Torino 2006 è la parte che mi duole di più, perché lì sapevo che potevo vincere. Ma lo slalom è una disciplina che non perdona, in un centesimo di secondo puoi vincere una Olimpiade o ritrovarti per terra. Quell’oro non mi avrebbe stravolto la vita, ma di sicuro sarebbe stato un tassello che avrebbe completato il cerchio. Quando ci penso mi rode ancora. Però è stato uno stimolo per andare avanti fino al 2010 e riprovarci, anche se non potei partecipare ai Giochi di Vancouver per un infortunio. Non ho rimpianti, sono contento di quello che ho ottenuto. Chiaro che vincere le Olimpiadi sarebbe stato diverso, ma vivo lo stesso e l’ho superata. Nella vita si può avere successo, ma devi anche mettere in conto che potresti non raggiungerlo: a quel punto devi essere preparato a saperlo digerire. La gioia di un giorno può essere speciale, ma la vita è fatta di altro e la felicità anche“.
Dopo il tuo ritiro l’Italia ha faticato in slalom, ottenendo buoni risultati solo ad intermittenza, ma senza un vero e proprio trascinatore. Ora sta emergendo il giovane Alex Vinatzer.
“Mi auguro che Vinatzer riesca a centrare gli obiettivi, è mega-giovane. Ha una carriera davanti. Io ci ho messo di più a maturare, ho vinto la mia prima gara a 28 anni“.
Tra l’altro ora Vinatzer inizierà a cimentarsi con continuità anche in gigante. In passato tu stesso eri stato protagonista in diverse specialità, con tanto di bronzo in combinata ai Mondiali 2005 a Bormio.
“Io sono stato nei 15 per tre stagioni in gigante, sono quelle cose che aiutano, fai più gare e hai quell’adrenalina che in allenamento ti manca. Fare qualche disciplina in più mi permetteva di essere più completo e migliorare in slalom. E’ chiaro che, allenandoti di più, diventa anche più pericoloso. I nemici n.1 di questo sport sono sempre stati gli infortuni“.
Ora che il calendario appare equilibrato per numero di gare veloci e tecniche, pensi che Dominik Paris possa fare un pensierino alla Coppa del Mondo generale?
“Paris può pensarci alla Coppa del Mondo, ma con due discipline fai fatica. Inoltre in superG non sempre è al top. Il favorito per me resta ancora Pinturault, poi c’è Kilde che va forte anche in gigante e Odermatt che è molto giovane“.
L’Italia dello sci alpino ha un problema atavico da ormai due decenni: nei grandi appuntamenti, ovvero Mondiali ed Olimpiadi, raccoglie di gran lunga molto meno rispetto alla Coppa del Mondo. Per quale motivo?
“Il problema è che le aspettative del giornalismo e del pubblico si riversano completamente su quel settore, cosa che non avviene nel resto dell’anno. Questo destabilizza l’atleta ed un mondo che ha molte meno attenzioni rispetto ad altri sport più popolari come il calcio o il ciclismo. Alcuni atleti non sono abituati“.
Foto: Olycom.com