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Sci di fondo, Marit Bjørgen: “Steroidi nelle mie urine ai Mondiali di Lahti 2017, ma la Fis non aprì il caso doping”

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Marit Bjørgen sta per pubblicare un libro sulla propria carriera, intitolato “Il cuore di una vincente”. Nel presentarlo televisivamente, l’ex fondista norvegese ha rivelato un episodio sinora sconosciuto in merito alla sua attività agonistica. Lunedì 11 ottobre, in un’intervista con l’emittente Nrk, ha raccontato di un presunto controllo antidoping positivo insabbiato dalla Fis. L’accaduto risalirebbe ai Mondiali di Lahti 2017, dove la norvegese vinse quattro medaglie d’oro.

“Nel mese di aprile 2017 ricevetti una telefonata dal nostro medico Petter Olberg, che mi chiese se ero da sola in casa” – racconta la scandinava – “mi disse che aveva ricevuto una comunicazione dalla Fis. Il laboratorio di Lahti aveva trovato una discrepanza in un mio campione di urine prelevato dopo la 30 km. Iniziai ad avere crampi allo stomaco e a piangere. Lui mi disse di tranquillizzarmi, perché la Fis chiedeva solo una spiegazione”.

“Il campione di urine conteneva tracce del 19-norandrosterone, un metabolita del nandrolone. Olberg mi spiegò che poteva derivare dal fatto di aver assunto il Primolut-Nor, un farmaco utilizzato per alleviare i sintomi premestruali. Assieme al medico abbiamo preparato e fornito tutta la documentazione necessaria alla Fis. Ho dovuto spiegare quando ho cominciato a prendere il farmaco, quando ho smesso e la quantità assunta giorno per giorno”.

“Sono passate due settimane, che per me sono state infernali. Qualche mese prima c’era stato il caso doping di Therese Johaug e la cosa aveva fatto scalpore. Mi chiedevo come sarebbe stata la mia conferenza stampa per spiegare tutto, se le persone mi avrebbero creduto. Non potete immaginare il sollievo quando la Fis comunicò che la spiegazione fornita era soddisfacente e non c’era necessità di aprire alcuna procedura di infrazione della normativa antidoping”.

Insomma, tutto sarebbe stato gestito nell’ombra, senza pubblicizzare l’accaduto. Nel libro Bjørgen afferma che è prassi comune tra le atlete avvalersi di questo genere di farmaci. Aggiunge, inoltre, che la concentrazione del metabolita era troppo alta perché dopo la 30 km aveva perso molti liquidi. Chiaramente è necessaria un’esenzione medica per assumere un farmaco proibito, ma quante donne ne beneficiano? Perché solo una donna ha ragione di assumere il Primoliut-Nor, essendo pensato proprio per trattare disfuzioni che derivano dall’utero.

Al di là di queste dinamiche, sorge spontaneo un quesito. La Fis ha effettivamente insabbiato un caso doping che avrebbe coinvolto l’atleta più rappresentativa in assoluto dello sci di fondo, oppure è la normalità domandare spiegazioni agli atleti prima di aprire una procedura di informazioni? O forse sono stati usati due pesi e due misure, garantendo alla norvegese un trattamento di favore?

Non va dimenticato che fu proprio la Fis a impedire a Therese Johaug, connazionale di Bjørgen, di partecipare ai Giochi olimpici di Pyeongchang 2018, ricorrendo contro la squalifica di 13 mesi inflitta in prima istanza. La sostanza era diversa, ma pur sempre di assunzione involontaria si trattava. Alla più giovane delle due scandinave venne imputata la negligenza di aver usato una crema contenente steroidi per curare un’ustione. Perché con Johaug si è scelta la strada dell’intransigenza e con Bjørgen quella del silenzio? Qual è la discriminante che, a distanza di pochi mesi, ha spinto la Fis a comportarsi in maniera diversa?

Questa vicenda scoperchia un autentico vaso di pandora relativo alla gestione delle “discrepanze”, come sono state chiamate, dei controlli antidoping. La Fis finisce senza dubbio nell’occhio del ciclone e farebbe bene a spiegare per filo e per segno qual è la procedura nel caso di “discrepanza”. Quanto accaduto, ovvero richiesta di spiegazioni all’atleta prima di rendere pubblica la positività, vale per tutti? Ci sono dei protocolli interni non scritti in merito alla gestione di queste situazioni? È una dinamica comprensibile, soprattutto considerando l’impatto mediatico di un caso doping, ma l’importante sarebbe chiarire che questa politica vale per tutti e senza distinzioni. La cosa peggiore, ora, sarebbe lasciar vivere il sospetto che tutti gli atleti siano uguali, ma qualcuno sia più uguale degli altri.

Foto: La Presse

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