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Alex Schwazer: “Ero un tossico, andavo in Turchia per doparmi”. Esce l’autobiografia del marciatore

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Alex Schwazer si è confessato nella sua autobiografia “Dopo il traguardo”, edito da Feltrinelli. Il marciatore italiano ha scritto: “Ero un tossico, andavo in Turchia per doparmi. Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. A Carolina Kostner e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal. Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire”.

Nell’introduzione si legge testualmente: “Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo. Chi vuole leggere la biografia di un uomo senza peccati ne deve scegliere un’altra, non la mia”. L’altoatesino, che spegnerà 37 candeline il prossimo 26 dicembre, è stato Campione Olimpico nella 50 km di marcia a Pechino 2008. Attualmente sta scontando una squalifica per doping fino al 2024, ma va ricordato che il suo caso è stato archiviato dalla giustizia penale italiana nel 2021, anche se quella internazionale e la WADA non lo hanno accettato.

L’atleta parla anche della ex compagna Carolina Kostner: “Mi ha mandato un messaggio per invitarmi a una festa a Ortisei, per l’argento di Göteborg. il suo primo, vero, grande successo. Ancora non ci conoscevamo. Le ho risposto che dovevo allenarmi e, per non fare brutta figura, mi sono offerto di andare a trovarla a Torino. Dopo una pizza e due bottiglie bevute quasi da solo, le ho rovesciato il drink addosso. Abbiamo fatto le cinque del mattino. Eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua”.

Alex Schwazer, che sei mesi fa ha dovuto incassare il no secco del Tas di Losanna che gli ha impedito di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo 2020, ha parlato anche al Corriere del Veneto: “Forse l’estate scorsa, con l’assoluzione giuridica e il no alle Olimpiadi, mi è scattato qualcosa dentro e ho deciso di chiudere i conti con il passato. Mi sentivo pronto. Ho dato il libro a Sandro (Donati, ndr.), il mio allenatore, a Gerhard (Brandstätter, ndr.), il mio avvocato, chiarendo subito: non aspettatevi un libro d’inchiesta perché parlo solo della mia vita. Non sarei riuscito a trovare la motivazione per scrivere cinquanta pagine su come ho vinto a Pechino, sul doping o su quello che è successo a Rio nel 2016. Molti punti cruciali della mia storia sono stato volutamente soft: non volevo che la mia autobiografia ospitasse pensieri di odio e rancore. Non ho concesso spazio alle persone che mi hanno ferito o a chi è salito sul carro del vincitore per poi scendere appena le cose sono andate male”.

L’ex azzurro racconta, sempre nella sua biografia, come faccia ancora fatica a credere di essere uscito da questo vortice: Quando ho toccato il fondo, mi sono chiesto come mi fossi cacciato in quella situazione. Quel giorno ha segnato la rinascita dell’uomo che avevo dentro e che da tanto tempo non trovava spazio per uscire. Quel giorno ho capito di essere in un labirinto immenso e apparentemente senza via d’uscita, nel quale brancolavo da anni. Un labirinto nel quale avevo perso tutto. La persona che ero, la mia fidanzata, la credibilità, la dignità. Solo ora ne sono uscito. Sono sopravvissuto a un’imboscata, una macchinazione subdola e crudele che in altri momenti mi avrebbe annientato. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, non so come ho fatto a mantenere l’equilibrio. Questa è la storia che voglio raccontare”.

Foto: Lapresse

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