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Tennis: Leo Borg, Petros Tsitsipas e altre storie. Le wild card tra casi, necessità e intuizioni felici

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L’ultimo dibattuto sulle wild card, gli inviti che vengono riservati a un certo numero di giocatori nei tabelloni principali dei tornei a qualsiasi livello, dagli Slam agli ITF, l’ha creato Leo Borg. Lo svedese figlio del grande Bjorn, infatti, se n’è vista elargire una dall’ATP 250 di Stoccolma: a livello agonistico, una scelta quantomeno discussa all’interno del mondo professionistico, anche se alla fine dei conti il diciottenne si è difeso piuttosto bene con l’americano Tommy Paul, perdendo 6-4 6-2. Il tutto va contestualizzato, nel senso che se Paul è un più che valido numero 53 del mondo, per trovare Borg figlio bisogna scendere fino al numero 2139: in breve, di punto ne ha uno, vinto ad Antalya quando batté l’argentino Fermin Tentl al primo turno. Per il resto solo sconfitte tra Futures, Challenger e qualificazioni ATP, alcune ben più che nette.

Questo spiega quanto sia grande la differenza tra il circuito junior, dove il figlio d’arte è attualmente numero 16 del mondo, ranking frutto in buona misura di un Grade 1 vinto partendo dalle qualificazioni a Porto Alegre, in Brasile, e della recente finale in un Grade A (categoria più alta, inferiore solo a Slam, Olimpiadi Giovanili e Junior Masters in questo ordine) a Città del Capo, in Sudafrica. Chiaramente il suo rapporto tra graduatoria ITF e ranking ATP non è proprio dei migliori.

Per dare un banale esempio di situazione ben diversa, il numero uno, il 2005 cinese Juncheng Shang, è già 721° nella classifica dell’associazione professionistica e, nello scorso marzo, a Miami, ha tenuto ampiamente testa al britannico Liam Broady nel primo turno di qualificazioni a Miami, cedendo solo al tie-break del terzo set. In più, ha già vinto tre tornei da 15.000 dollari, e il quarto non l’ha conquistato solo perché sul suo cammino ha trovato l’americano Ryan Harrison, un “nobile decaduto” che, però, mostra ancora del gran tennis quando è in giornata (sebbene a lui appartenga il poco invidiabile record di 71 inviti ricevuti).

Ma se allarghiamo il discorso wild card, e soprattutto se vogliamo dare a Leo Borg il beneficio del dubbio di poter diventare magari non un campione, ma un giocatore che abbia il suo buon diritto di competere a livelli accettabili, c’è un caso ancora più eclatante che ha spaccato in due gli osservatori negli scorsi mesi. Il nome, naturalmente, è quello di Petros Tsitsipas. Ovviamente il cognome non è nuovo, e la parentela è presto detta: si tratta del fratello di Stefanos. Grazie al cognome comodo, è riuscito a entrare insieme a lui in doppio in più di un torneo, ma le discussioni si sono create nel momento in cui un invito per il main draw gli è giunto da Marsiglia. In quel momento, l’oggi ventunenne di Atene era numero 970 del mondo (oggi è 727), e si vide tutta la differenza di livello con lo spagnolo Alejandro Davidovich Fokina, che non perse tempo con lui: 6-0 6-2 in appena 45 minuti. Al confronto, perlomeno, Leo Borg oltre l’ora è andato, tenendo bene diversi turni di servizio e arrivando in un’occasione anche a palla break con Paul. Anche tra le donne qualche grattacapo esiste: l’americana Emma Navarro giocò in tabellone principale a Charleston per (quasi) il solo fatto di essere figlia di uno dei proprietari, Ben.

Il problema delle “carte selvagge”, volendo, appunto, selvaggiamente tradurre in modo letterale il termine inglese in lingua italiana, non è nuovo. E si sa che esiste un margine di discrezionalità molto, forse troppo ampio per questo genere di situazioni. Di norma si danno inviti a giocatori che potrebbero dare lustro a un torneo, oppure a promesse in cerca di spazio, o ai migliori giocatori di un Paese che magari ha un unico torneo ATP o WTA e non ha una scuola tennistica tale da poter competere con il meglio che c’è, a volte fatta eccezione per un elemento. Oppure, ancora, il caso può essere di giocatori di nome, ma che hanno bisogno di un aiuto per riprendere quota.

Prendiamo alcuni esempi: l’ATP di Antalya, a inizio anno, ha concesso un invito a Marsel Ilhan, il miglior giocatore che la Turchia abbia mai espresso, ancora in attività a 34 anni (sebbene ormai tale età, in termini di agonismo, sia ben lontana dallo stupire). Situazione, questa, classica. Un caso particolare è quello di Andy Murray, che dopo problemi, operazioni e un’anca sostanzialmente metallica in corpo, ha cercato proprio tramite le wild card di ritrovare la propria classifica: si tratta di un vanto per qualsiasi torneo avere un ex numero 1 del mondo, due volte vincitore di Wimbledon, che s’impegna fortemente nelle condizioni in cui si trova pur di vivere delle emozioni inevitabilmente diverse da quelle di un tempo, ma sempre valide. Ancora, può capitare (soprattutto tra le donne) un ritorno dopo un ritiro, ed è il caso (per citare quello di maggiore attualità) di Kim Clijsters, con la belga che si è trovata per due volte in questa situazione, nel 2009 e nel 2020.

E poi giunge un caso particolarmente in voga: quello in cui vengono invitati dei giocatori di altissima classifica che, magari, hanno bisogno di punti o di partite nelle gambe: ne fanno uso, per esempio, diversi giocatori compresi tra i primi 10 del mondo a livello maschile. Esiste invece una casistica differente a livello femminile, dove per regolamento, nei tornei WTA 250, oltre alle tre wild card normalmente concesse alle giocatrici che l’organizzazione ritiene più adeguate, ne devono essere date due a personalità presenti nelle prime 20 giocatrici della classifica. Un esempio banale riguarda l’attualmente in corso WTA di Linz, in Austria, dove la britannica Emma Raducanu e la rumena Simona Halep sono diventate prime due teste di serie in questa maniera.

Può naturalmente capitare che le wild card i tornei li vincano: quest’anno è stato il caso, ancora a livello WTA, della colombiana Maria Camila Osorio Serrano a Bogotà, e a livello ATP (tolti i casi Tsitsipas e Medvedev a Lione e Mallorca) di Aslan Karatsev. Il russo, vittorioso a Dubai (ATP 500), introduce un’altra situazione: quella in cui un invito viene concesso a un giocatore improvvisamente balzato in alto nel ranking, ma la cui classifica era, al momento della chiusura dell’entry list, troppo bassa per poter accedere ai principali tabelloni mondiali. Un caso simile si è ritrovato al femminile con Raducanu dopo gli US Open.

Si è visto letteralmente di tutto in questa specie di mondo parallelo: inviti dati a parenti dal cognome importante (non solo Tsitsipas, dato che anche Djokovic ebbe fratelli giocatori, Marko, con cui in un’occasione giocò Filippo Volandri, e Djordje nelle qualificazioni). Si ricordano casi simili nelle famiglie Clijsters, Hewitt, Osaka. Ne sono stati offerti anche a chi rientrava da squalifiche doping (gli argentini Guillermo Canas e Mariano Puerta, la russa Maria Sharapova). E poi ancora altre situazioni particolari, come una wild card che fu data a Jaume Munar, poi diventato buon giocatore, ma non il portento che veniva descritto, che valeva da “condizione” per portare Rafael Nadal ad Amburgo quando questo già non era più un Masters Series/1000. Spesso e volentieri vale l’influenza proprio di questi personaggi, oppure di figure che gravitano intorno al tennis in maniera importante, come può essere un Patrick Mouratoglou.

Esistono poi alcune ulteriori tipologie di situazioni. Una riguarda gli Slam, che hanno otto wild card a disposizione: in genere la maggior parte vanno a giocatori o giocatrici di casa, ma alcune sono oggetto di una sorta di “scambio di favori” tra le Federazioni che sono parte attiva dell’organizzazione. L’altra fa capo ad alcuni tornei singoli, che a volte organizzano vere e proprie manifestazioni di prequalificazione per poter giocare in tabellone principale o cadetto. La USTA ha inaugurato questa tendenza in funzione degli US Open, l’Australia ha seguito anch’essa questa linea e anche in Italia, su format diverso e che si conclude a ridosso delle qualificazioni, da un paio di lustri si gioca per vari posti agli Internazionali di Roma.

Foto: LiveMedia/DPPI/Jean Catuffe – LivePhotoSport.it

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