Basket
Basket, Alessandro Magro: “Squadra costruita su Mitrou-Long e Della Valle, è indubbio. Giovani, serve lavorare partendo dalla base”
Alessandro Magro è arrivato questa stagione a Brescia. In una stagione nella quale la Germani non ha l’impegno delle Coppe europee, il suo è stato il nome scelto per cercare di rilanciare le ambizioni di un club che vuole riprendersi una fetta di glorioso passato recente (una semifinale scudetto, un 3° posto a campionato interrotto e annate in EuroCup). Fino ad ora i sorrisi non sono stati molti, ma la squadra lombarda è in evoluzione e può contare sulla coppia formata da Naz Mitrou-Long e Amedeo Della Valle. Di questo e altri argomenti si è discusso con il coach toscano, il secondo più giovane nell’attuale Serie A dietro a Paolo Galbiati.
Questa vostra stagione vede ora un calendario complicato con Venezia e Milano in arrivo, ma per quanto si dica che proprio il calendario faccia o non faccia differenza, influisce su discorsi psicologici relativi all’andamento.
“Sicuramente. Intanto le cose che vanno a mio avviso valutate sono state legate al fatto che il campionato italiano, mai come negli ultimi anni, è diventato molto equilibrato. Tranne Milano, che dimostra di avere un passo superiore alle altre, la stessa Virtus Bologna ha lasciato punti per strada contro le due neopromosse, a Napoli e a Tortona. Questo ovviamente ha “drogato” un po’ la classifica. Sono tutte partite molto combattute, ma, come nel nostro caso, bisogna cercare di valutare l’inizio del campionato, dove potevamo fare meglio contro squadre che reputo della nostra fascia come Varese e Tortona. C’è però poi da considerare che noi finora abbiamo giocato nove partite dall’inizio del campionato, ne abbiamo vinte due su quattro in casa e quelle perse sono state contro Tortona e la Virtus, e questa la reputo non essere squadra della nostra fascia, e poi abbiamo giocato soltanto partite in trasferta, riuscendo a vincerne solo una a Sassari, ma andando a giocare alla pari sia a Varese che a Trieste che ancora a Trento. L’altro rovescio della medaglia è essere una squadra che non ha la possibilità di giocare la competizione europea, e questa è sempre vista come un’arma a doppio taglio. E’ ovvio che quando sei in un periodo che potrebbe essere negativo potrebbe aumentare il numero delle sconfitte nel breve periodo, ma, al contrario, essendo io allenatore che ha avuto per molti anni esperienza di Coppe, vivere il mese di novembre come abbiamo vissuto noi, sapendo già che sarebbe stato difficile perché avremmo avuto due trasferte contro nostre contender come Trento e Reggio Emilia e la partita in casa contro Bologna, avverandosi quello che speravamo non sarebbe successo, cioè perdendo tutte e tre le partite, vuol dire che oggi siamo con l’ultima partita vinta il 31 ottobre perché nel frattempo è arrivata anche la finestra FIBA a dare lo stop di una settimana. Questo significa che, anche lavorando bene in palestra, passa un mese dalla tua ultima vittoria dopo una partita come quella di Reggio Emilia dove, purtroppo, credo di non mancare di rispetto al nostro lavoro e ai miei giocatori se dico che è la peggior partita che abbiamo giocato dall’inizio del campionato, avresti la voglia di tornare subito in campo per cancellare immediatamente quella prestazione. Invece passano due settimane e questo non è facilissimo da gestire soprattutto dal punto di vista mentale, ma abbiamo approfittato di questo periodo per cercare di dare più qualità al nostro gioco, abbiamo cercato di lavorare sulle cose che secondo noi possono essere i nostri punti di forza, abbiamo cercato di mettere a posto delle cose che non sono venute fino a questo momento come ci aspettavamo potessero venire, quindi pensiamo che questo periodo ci possa sicuramente servire per fare un passo in avanti. E’ ovvio che le prossime due squadre non le reputo della nostra fascia. Il che non vuol dire che tu non possa vincere, perché la Virtus Bologna non è della stessa fascia di Tortona, eppure ha lasciato punti per strada. Ora incontri Venezia che viene da quattro vittorie nelle ultime cinque in campionato e l’unica sconfitta è arrivata a Brindisi con quell’ultimo possesso quantomeno dubbio, e ha trovato molta più chimica rispetto a quella che poteva avere all’inizio. Ed è l’unica volta in cui non ha avuto l’impegno europeo, e ha potuto, anche se priva di alcuni elementi impegnati in Nazionale, avere tempo per allenarsi e mettere a fuoco degli aspetti del proprio gioco, oltre che iniziare a concentrarsi sulla partita contro di noi. In questo momento penso che, nonostante la classifica dica 3 vittorie e 6 sconfitte, questo gruppo ha il rispetto di tutte le altre squadre, che sanno che devono comunque prepararsi per affrontarci perché possiamo essere una squadra che, soprattutto in casa, può far male“.
In questo discorso entra la divisione in fasce. Sappiamo che la Virtus Bologna è stata condizionata anche da degli infortuni, ma sappiamo anche di Tortona che qualcuno diceva che non sarebbe stata poi così protagonista, e invece la realtà dei fatti dimostra il contrario. Non solo ha costruito un roster adeguato per la Serie A, ma sta costruendo anche in prospettiva: non è salita per rimanere in alto 1-2 anni lottando per non retrocedere.
“Quello senz’altro. Se dobbiamo parlare di Tortona, è un club che ha la mia stima e il mio rispetto. Hanno una proprietà enorme dietro, molto solida e con potenzialità enormi. Potrebbe essere veramente quella con più potenzialità dopo le grandi, non a quel livello. Anche il nostro proprietario, socio di maggioranza ha la possibilità di creare un progetto che possa essere stabile. Oltre a pensare che Ramondino sia un buon allenatore, che fa giocare le sue squadre come lui è abituato a fare, secondo me sono saggiamente riusciti a valorizzare i giocatori che hanno dato loro la possibilità di vincere il campionato di A2, su tutti Tavernelli e Mascolo, e poi sono stati molto bravi a mettere nel sistema subito i giocatori di grande esperienza, perché tranne Daum che sta facendo molto bene secondo me il segreto è stato quello di mettere dentro giocatori come Chris Wright, Tyler Cain e Jamarr Sanders. Sono riusciti a fare un mix importante tra giocatori di grande conoscenza del campionato, dell’Europa. Credo che il grande salto gliel’abbiano fatto fare Wright e Cain, nonostante Macura e Daum stiano facendo molto bene. E’ ovvio che hanno preso una strada leggermente diversa dalla nostra, perché in uno dei ruoli più importanti hanno Wright, mentre noi abbiamo provato a prendere un’altra strada, più rischiosa all’inizio e più lunga per provare ad avere dei risultati con continuità, ma abbiamo puntato tutto su un giocatore come Naz Mitrou-Long, che credo possa veramente fare molto bene, ma per abituarsi a quello che succede da questa parte dell’Oceano (era la prima volta che decideva di fare quest’esperienza che non fosse di G League) è ovvio che i tempi per riuscire ad avere delle performance personali e avere un impatto sulla squadra sono un pochino più lunghe“.
Però è anche vero che quest’impatto lo stanno avendo in grandissima parte lui e Amedeo Della Valle. Sono i due uomini che più nel bene che nel male stanno decidendo le sorti di Brescia.
“Assolutamente. Io penso che in questo momento le tre squadre che hanno un roster quantomeno decisamente più importante sono Milano, Virtus e Venezia. Se guardi per esempio la nostra prossima avversaria, per mettere la lente d’ingrandimento sul prossimo impegno, è una che ha in Tonut, in Daye, in Watt tre giocatori di assoluto livello per riferimenti offensivi, ma riesce ad avere giocatori come Michele Vitali, Victor Sanders, o, quando rientrerà, giocatori come Bramos che possono dare grande impatto. Si parla di una squadra che ha come minimo almeno tre giocatori di grande impatto, ma soprattutto dichiaratamente leader o terminali. Le squadre di media fascia tendenzialmente ne hanno sempre due e poi devi andare a cercare dal tuo sistema l’altro o gli altri giocatori che da quella capacità di creare possono prendere. Credo che in questo momento i piccoli problemi che abbiamo avuto, per esempio, nell’ultima partita di Reggio Emilia passano proprio da quello. Noi abbiamo sicuramente Naz Mitrou-Long e Amedeo Della Valle che sono i nostri due creators. Tutto parte dalle loro mani, che sia in termini di punti segnati o gioco creato per gli altri. Stiamo lavorando fortemente per avere un terzo violino, e non è un caso che nelle partite in cui abbiamo vinto ci siano state grandi prestazioni da parte di John Petrucelli o di altri giocatori che magari non hanno fatto i 16 punti di Lee Moore a Reggio Emilia, ma hanno contribuito difensivamente e offensivamente di squadra. Ovviamente avere un terzo giocatore con le stesse capacità di attirare la difesa e le attenzioni degli altri come Della Valle o Mitrou-Long sarebbe un giovamento da parte di tutti. Noi, per esempio, abbiamo un super giocatore come David Moss che fa del sacrificio e dell’abnegazione da tutta la sua carriera, ma in questo momento a 38 anni continua a lottare come un leone dal punto di vista difensivo, è ovvio che il suo contributo offensivo è limitato, così come lo è stato quello di John Petrucelli a Reggio Emilia, dove in due hanno segnato 3 punti in 40 minuti. Ovviamente facciamo più fatica se Mitrou-Long e Della Valle decidono insieme di fare la peggior partita della stagione. E’ ovvio che quella partita si sviluppa come si è sviluppata. Però è indubbio che la nostra squadra è costruita su queste due bocche da fuoco“.
E oltre a tutti questi nomi c’è anche quello di Christian Burns, che se non sta vivendo una seconda giovinezza in questa stagione sembra aver perso almeno 2-3 anni.
“Lui è un giocatore che fa dell’energia, dell’istinto la sua arma principale, è un giocatore molto mobile e ormai esperto di questo campionato, ha giocato in tante squadre ed è stato allenato da tante persone. Lui si è sentito molto ringiovanito, secondo me, in questa stagione non tanto o non solo per il mio arrivo, anche se ci conoscevamo già e c’è grande rispetto reciproco, ma per il sistema, il clima e il gruppo che siamo riusciti a creare che, parole sue e di altri giocatori che c’erano l’anno scorso, è un pochino diverso come clima da quello della stagione passata. Si sente molto coinvolto, partecipe, e rispetto alla prima versione che ho avuto di condividere con lui a Brescia anni fa si sente molto più all’interno della squadra, e sente la responsabilità di essere, vista l’età, un role model, un esempio per gli altri in allenamento. Siamo molto contenti di quello che lui sta facendo, sapendo che deve dividersi il ruolo con un altro giocatore per noi chiave come Mike Cobbins, un altro leader silenzioso, uno che ha sempre una parola per tutti, che rimane sempre concentrato e coinvolto per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi che gli vengono assegnati. Entrambi si dividono quello spot con grande voglia di far bene“.
Tra tutti questi giocatori uno sta cercando di capire di nuovo il suo posto nella pallacanestro dopo che si è trovato vicino all’altra parte dell’Oceano: Paul Eboua.
“Quello che ha fatto dall’altra parte dell’Oceano è semplicemente una G League e una Summer League. Lui ha partecipato a quello, però credo che siano ingiuste le critiche che gli vengono mosse al grido di “ah, ma vuole andare in NBA, non è ancora pronto” e tutto il resto. Quello che viene detto dispiace per un ragazzo che vedi tutti i giorni in palestra allenarsi con quella voglia lì di crescere. Sai però benissimo che viviamo in un mondo dove l’hating sembra diventare il primo biglietto da visita da parte di molte persone. E’ un ragazzo con un talento fisico pazzesco per quel livello lì, ma è ovvio che gli manca tanto la comprensione del gioco. E sono due mondi totalmente diversi: è più facile forse per lui performare in G League che in una partita tirata in Italia, dove l’impatto e l’esuberanza fisico-atletica possono non bastare soprattutto nel ruolo di 4, dove sia in attacco che difesa sono secondo me i secondi playmaker, cioè quelli che hanno la capacità di muovere la palla da un lato all’altro, dare ritmo all’attacco, parlare in difesa. Lui sta ancora lavorando, lo sta facendo con ferocia ogni giorno sia con il development coach Isaac Jenkins, con cui sta cercando di migliorare il suo bagaglio, che sta crescendo giorno dopo giorno, che con la squadra, con cui sta cercando di velocizzare il più possibile il suo processo di comprensione del gioco, di quello che sta succedendo, quindi utilizzare tutto quello che sta imparando nel momento e modo giusto. E’ un ragazzo di vent’anni che sta crescendo, siamo contenti del percorso che sta facendo, ma sapevamo dall’inizio che le nostre fortune non sarebbero passate immediatamente dal rendimento di Paul Eboua. Quando sarà pronto, e sta facendo un percorso importante per dare un contributo continuo e solido, allora sarà il momento in cui faremo un passo in avanti“.
Parlavamo di backup di alto livello, e si va immediatamente su Tommaso Laquintana, autore di un’ottima stagione passata (e non solo).
“A lui sono molto legato, l’ho già allenato, ci eravamo sentiti anche quand’ero all’estero. E’ amato dalla piazza e ama la piazza, perciò quando è stato necessario costruire la squadra abbiamo puntato su di lui e Lee Moore, anche se lui l’avevo già avuto in Polonia per un anno e mezzo ed era stato la miglior guardia del campionato polacco, era stato al Dabrowa Gornicza con me. Ma abbiamo puntato anche su quelle che potevano essere le motivazioni dei giocatori, la voglia di voler tornare a giocare in questa città, rivestire questa maglia. Questo potrebbe essere un plus, avere delle extra motivazioni non di natura economica o tecnica: la grande volontà di voler vestire una maglia per poter dare tutto quello che si ha per un club, una città, dei tifosi. Tommy, dopo un inizio in cui ha fatto un po’ fatica, ci sta dando un grande contributo. E’ un giocatore molto particolare, perché è di grande energia, di rottura, fa dell’aggressività e della difesa dei marchi di fabbrica. Anche lui sta lavorando tanto sulla comprensione del gioco per cercare di crescere e diventare sempre più playmaker, e fino a questo momento soprattutto nelle ultime partite ha dimostrato di essere cresciuto e di riuscire a dare il suo impatto quando entra dalla panchina“.
Si parlava di Polonia, e a proposito di Polonia e anche di VTB League, quanto sono diverse le dinamiche in campo e fuori della pallacanestro in quei luoghi rispetto all’Italia?
“Sono molte. La VTB è un campionato che a mio avviso è il secondo per talento rispetto alla Liga ACB: ci giocano squadre che fanno Eurolega o EuroCup per vincerla, Lokomotiv Kuban, UNICS Kazan, CSKA Mosca, Zenit San Pietroburgo, Khimki fino a quando ci sono stato io (Magro si riferisce al periodo precedente il dissesto della scorsa stagione, N.d.R.). Ci sono almeno 5 squadre di grande livello e poi, visto il potere economico di tante squadre russe, tanti americani vanno a giocare a Krasnoyarsk o a Perm. La VTB è un campionato di assoluto livello che sta crescendo anche dal punto di vista del coaching. In quel campionato incide tanto l’impatto che hanno i viaggi sul gioco e sulla vita delle squadre, dei giocatori, degli allenatori, del modo di lavorare. Noi abbiamo fatto la partita a Reggio Emilia e poi giochiamo ora in casa contro Varese, dal 21 novembre la prossima trasferta la faremo l’11 dicembre, dopo Trento che è la partita del 27 ne giocheremo due di fila in casa e la trasferta successiva sarà Tortona il 16 gennaio. Quando allenavo il Lokomotiv Kuban, per una trasferta che si faceva sempre e solo in aereo, c’erano due ore e mezza solo per raggiungere Mosca, perché non c’era modo di andare direttamente da nessuna parte. Poi da Mosca ti dovevi muovere in Europa o in Russia, con gli spazi che ci sono in Russia, per almeno altre due ore di viaggio. Cambia totalmente il modo di vivere la settimana e anche fisico di approcciare le partite. E’ un modo molto diverso. Per lo stesso motivo la Polonia, essendo un campionato con meno disponibilità economiche delle squadre, le trasferte vengono fatte tutte in pullman. Io allenavo nella parte sud del Paese, e facevamo sempre viaggi verso nord che duravano tutte le volte dalle 4 alle 8 ore. Ovviamente anche quello ha un’incidenza sul modo di lavorare e di vivere, ma a prescindere da questo la Polonia è un campionato dove ci sono degli americani molto interessanti. Dispiace che quest’anno gli americani che erano l’anno scorso in Polonia stiano facendo fatica in Italia, che è la dimostrazione di come la Serie A sia di livello più alto. Il campionato polacco lo ricordo a metà tra l’A2 e l’A1 perché i giocatori polacchi sono molto interessanti, fisicamente molto prestanti, hanno una disciplina completamente diversa perché anche il modo di lavorare con i giovani è diverso. E i giovani rispecchiano le nazioni in cui sono nati e cresciuti, perché allenare i giovani russi e polacchi è diverso dall’allenare i giovani italiani. Questo te lo dico con certezza. Si possono schierare 6 americani, che non sono del valore di quelli che vediamo in Italia, ma sono interessanti. E’ una lega molto diversa, molto più fisica, a livello di fischi molto basso. Il mio assistente la chiamava la Bully League. Si fa molto a botte in quel campionato, bisogna adattarsi velocemente, però è molto bello avere la possibilità di lavorare e fare quello che uno ama, l’allenatore di pallacanestro, vedendo fare la stessa cosa in modi molto diversi. Ti accresce molto come esperienza“.
Parlando proprio del discorso crescita: tra giovani russi, polacchi e italiani quali sono le differenze sostanziali?
“Sono differenze culturali. Loro hanno un livello di disciplina molto più alto del nostro perché la storia dei loro Paesi è così, sono molto abituati ad ascoltare ed eseguire pedissequamente quello che viene chiesto. Da una parte è un vantaggio, dall’altra noi siamo sempre stati un popolo di artisti, di scopritori, di scienziati, e quindi abbiamo una capacità di elaborare le informazioni, una capacità di autonomia, di estro molto maggiore della loro. Ci sono plus e minus su entrambe le cose. E’ ovvio che per toccare quel punto lì, credo che a oggi per cercare di formare giocatori italiani ci sia bisogno di tornare a investire seriamente nei settori giovanili, perché purtroppo quello che viene fuori dai settori giovanili non è quello di cui ci sarebbe bisogno nell’altissimo livello o non c’è con grande continuità. Questo è un peccato perché ci sarebbe la voglia di produrre giocatori, e questo, nonostante vengano dette cose diverse in giro, credo che la necessità di continuare a investire seriamente con buoni tecnici, maestri sia fondamentale per cercare di avere dei giocatori italiani di un livello maggiore per la massima serie“.
Fra l’altro qui si va anche su due ordini di situazioni. Il primo è che è cambiata completamente la funzione dei settori giovanili perché è cambiato il mondo e sono cambiati i giovani. Il secondo è che, sul fronte italiano, per un Matteo Spagnolo che ce la fa in virtù del suo talento, ce ne sono altri che il talento magari ce l’hanno, ma dove trovano lo spazio?
“Qui dovremmo aprire un dibattito infinito e io non ho l’arroganza e la presunzione di conoscere la formula. Ho allenato in A2 dopo che Siena è fallita. Credo che, come dice Messina, agli allenatori non interessa quanti anni hai, o il passaporto, o il colore della pelle. Interessa provare a mettere in campo i giocatori più forti che ti aiutino a vincere le partite a prescindere dall’età, dal passaporto e via dicendo. Secondo me mettere le regole degli under e di obbligo di italiani non credo abbia favorito granché lo sviluppo di questi giocatori, ma magari mi sbaglio. Ne ha fatto magari soltanto aumentare clamorosamente il prezzo oppure, nel caso dell’A2 quando io allenavo Omegna, obbligava ad avere tre under che spesso erano giocatori che non potevano giocare, e quindi su 32 squadre che c’erano, e quindi 320 potenziali giocatori dei 10 a roster di ogni squadra, ce n’erano tre che non davano qualità all’allenamento, facevano fatica a giocare, a dare un supporto e questo faceva scadere la qualità dell’allenamento durante la settimana, perché quando tu fai 5 contro 5 ci sono tre giocatori nettamente di un livello più basso solo perché ti viene imposto di averli. Diventa un problema e in più crei, secondo me, delle false aspettative, perché ci sono tantissimi giocatori che sono purtroppo rimasti scottati dal fatto di trovare uno spot per loro in delle squadre anche di A2 e poi, una volta passata l’età, quando non erano più under, non riuscire più a trovare spazio. Quindi credo che quella formula non credo abbia aiutato più di tanto la qualità del gioco, che è scesa anno dopo anno e non ha aiutato i giovani, perché anche se le società erano obbligati a prenderli non giocavano, quindi credo ci debba essere un campionato dove possano dare dimostrazione di poterlo fare. Ma ti ripeto, se i giocatori non sono ancora di quel livello, e loro devono giocare per forza, il livello si abbasserà. Non si può risolvere il problema partendo dalla punta e obbligando A o A2 a, con regole particolari, far giocare giocatori non pronti. Secondo me bisogna partire dalla base, e far sì che i giocatori, quando arrivano alla punta, siano pronti. Quello è diverso, perché c’è un Matteo Spagnolo che a prescindere dall’età che ha può giocare a pallacanestro, ma nessuno lo fa giocare perché ha 18 anni, ma viene fatto giocare perché è bravo. Quella è la differenza. Se un giocatore a 20 anni è meno bravo gioca meno, perché gli allenatori e i club, soprattutto in Serie A, dove si devono raggiungere determinati obiettivi e arrivare a budget, come si fa nelle aziende, a fare il bilancio a fine stagione, ecco che devono far giocare i giocatori che permettono di raggiungere questi obiettivi a prescindere da età e nazionalità. Quindi credo che ci sia veramente bisogno di fare delle riforme investendo dei soldi in formazione, negli allenatori che possono fare crescere i giovani allenatori, investendo in strutture in modo tale che i giovani italiani arrivino a galla dagli abissi e siano pronti a giocare“.
A proposito di obiettivi, ma cambiando radicalmente argomento, quali erano quelli di Brescia a inizio stagione e come si stanno rimodulando?
“Gli obiettivi sono sempre stati quelli: creare un nuovo progetto. Il socio di maggioranza ha deciso di voltare pagina rispetto al passato, di investire su di me e su quelle persone che io ho avuto la possibilità di portarmi qua come capisaldi e pilastri di questo progetto. Parlo per esempio di Marco Di Benedetto, così come mi è stata data la possibilità di portare persone da fuori per puntellare il mio staff, Emanuele Di Paolantonio, Roberto Iezzi, Isaac Jenkins come development coach, e continuare a puntare su persone che già conoscevo e con le quali avevo già lavorato di assoluta qualità come Matteo Cotelli e Gianpaolo Alberti, e quindi l’idea è stata quella di costruire prima la struttura, di ripartire con il nuovo progetto che è di natura triennale, poi sai meglio di me che diventano tali solo se riesci negli step intermedi a essere in linea con le aspettative. Mauro Ferrari, il socio di maggioranza, ha detto che l’obiettivo di questa stagione è di mantenere la categoria. Purtroppo i risultati sono in quella direzione lì, ma su queste sei sconfitte se perdi alla fine di un possesso o di un canestro che entra o esce a Trento, se vinci una-due partite di quelle perse di un soffio staremmo parlando di un campionato diverso, che è molto equilibrato. L’obiettivo per questa stagione è di portare la nave in porto salvandosi e cercando di continuare a costruire questa nuova struttura, perché quando si cambia così tanto e in questo modo ci vuole un po’ di tempo per far sì che tutti funzioni come uno si aspetta. Però credo che questo club potrebbe consolidarsi in un tempo medio, e la volontà e il sogno sarebbe quello di fare il percorso della Reyer Venezia 10 anni fa: arrivando dall’A2 piano piano, aggiungendo ogni anno pezzi e con inventimenti giusti è diventata una solida realtà del panorama nazionale“.
Luca Baraldi, AD della Virtus Bologna, ha proposto due gironi da 20 squadre per la Serie A, per toccare altre città. Ritiene che questa sarebbe un’idea possibile per lo sviluppo del campionato?
“Sono d’accordo con lui sul fatto che abbiamo vitale bisogno e necessità di vendere un prodotto, perché quello che fa muovere tutto è il fatto di essere un prodotto appetibile per attirare sponsor, che è quello che fa Zanetti, quello che fa da anni il signor Armani, quello che potrebbe fare Gavio a Tortona. Attirare investitori in questo mondo non può far altro che bene, in tal caso Mauro Ferrari con Germani. In questo momento rispetto al calcio, che prendo come esempio di sport nazionale anche se sta vivendo un po’ di problemi vista la vicenda Juventus, e se dovesse scoppiare non sarà un episodio circoscritto al club Juventus, ma sarà a mio avviso un terremoto per tutto il calcio, abbiamo assolutamente bisogno di diventare più appetibili, di far sì che questo diventi uno spettacolo da poter vendere nelle televisioni, con il merchandising, ed è quello che in maniera eccellente sta facendo da anni la NBA. Quello è di primaria importanza. Se per farlo serve allargare la Serie A, questo non lo so, perché devi riuscire a reperire le risorse e a far sì che poi ci siano i giocatori che ti diano la possibilità di tenere un livello abbastanza alto. Avere così tante squadre in A2 con la regola degli under a mio avviso non è stata una scelta che ha portato veramente dei vantaggi, ma è una mia personalissima opinione. Di sicuro sono d’accordo con Baraldi sul dire che, avendo negli ultimi anni solo una promozione dall’A2, e solo da poco due, ci sono degli imprenditori che avrebbero la forza di partecipare alla massima competizione, e allora sono d’accordo, come già anni fa si era discusso, anche se so che sarò controcorrente perché siamo basati sull’idea calcistica di lottare per la promozione e la retrocessione, circa una preferenza per la stabilità del nostro sport e della massima competizione. Ci sarebbe bisogno di cercare quali sono le città con un palazzo adeguato, un investitore con la possibilità reale di fare certi tipi di investimenti, mettendo giù fidejussione di un certo tipo, garantendo determinate strutture. In quel caso lì gli darei la possibilità di accedere. E’ come quando vai al casino e c’è la fiche d’ingresso per sedersi al tavolo. Ci sono grandissimi investitori che hanno speso soldi in A2 e non sono mai riusciti a salire in A. Penso a Verona. Tortona dopo tantissimi anni ci è andata perché Torino ha perso due partite di fila di un punto, già vinte. Un rimbalzo in attacco su un tiro che neanche prende il ferro e un fallo sul tiro da tre all’ultimo secondo. Poteva benissimo andare in maniera diversa e avremmo potuto parlare di Tortona ancora in A2. Questo secondo me sarebbe stato un danno“.
La promozione di Torino poi avrebbe provocato un altro side effect, perché la sua vicenda è diventata diversa, ma fosse stata promossa cosa sarebbe successo?
“Infatti secondo me, seguendo quel che dice Baraldi, perché non dare a Torino la possibilità di fare comunque la Serie A avendo quel tipo di investimenti, di strutture, quella città che si presta? E’ quella dove ci sono più strutture in Italia, con le Olimpiadi Invernali che le hanno permesso di costruire quelle due arene meravigliose. Se avessero avuto la possibilità di avere delle persone solide, con un potenziale economico notevole, perché non dare loro la possibilità di fare ugualmente la Serie A? Io credo che sia il bene della A avere più investitori, più città coinvolte, e la possibilità di vendere il nostro prodotto al mondo esterno. E’ l’unico modo per attirare sempre più persone all’interno di questo circuito e con il quale ci possa essere un ritorno che non sia puramente quello della passione che per tanti versi muove le persone che hanno la volontà di spendere dei soldi in questo sport“.
Credit: Ciamillo