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Il 2021 di Jannik Sinner: da n.37 a n.10 del mondo, le ATP Finals e una crescita inesorabile
Per spiegare l’eccezionalità di Jannik Sinner al numero 10 del mondo a vent’anni non bisogna far riferimento alla sola età. Del resto, l’altoatesino non è il primo ad esser giunto in top ten a vent’anni: c’è chi è riuscito ad arrivarci ancora prima, e alcuni di quei giocatori sono tuttora in attività. Quello che fa impressione, invece, è che fino a soltanto tre anni e dieci mesi fa era senza ranking ATP. Ci è entrato per la prima volta il 12 febbraio del 2018.
A quel tempo Roger Federer stava per tornare al numero 1 del mondo a spese di Rafael Nadal, Novak Djokovic era in profonda crisi, Juan Martin del Potro era ancora numero 9 del mondo. L’unica somiglianza con l’attualità, in breve, riguardava Alexander Zverev: al tempo era già quarto, oggi è terzo. Daniil Medvedev era numero 57, Stefanos Tsitsipas numero 82. In Italia, invece, i top 100 erano ancora quattro, Fabio Fognini era 22°, Paolo Lorenzi 52°, Andreas Seppi 81°, Thomas Fabbiano 83°. Un italiano non raggiungeva una semifinale Slam da quarant’anni, Matteo Berrettini era ancora fuori dai 100 e Lorenzo Sonego era da poco entrato nei 200.
Basterebbe già questo per definire due ordini di termini: il primo legato a com’è cambiato il tennis in pochissimi anni, il secondo, chiaramente, connesso alla crescita apparentemente irresistibile di Sinner, passato dall’essere uno dei tantissimi all’uomo sul quale è generale il consenso circa il suo essere una stella del futuro. Che, poi, è già presente, perché tale risulta uno che ha già un quarto e due ottavi Slam in bacheca, nonché una dignitosissima partecipazione alle ATP Finals con tanto di prima vittoria di un giocatore italiano a classifica non ancora definita, al netto del fatto che si è trovato a entrare da riserva per il forfait (infortunio con Zverev) di Berrettini.
Un anno, quello di Sinner, che avrebbe dovuto prendere il via già ad Antalya, ma così non è stato (e lo stesso discorso è valso per tantissimi giocatori, in quella sede che con ogni probabilità sul circuito non si rivedrà mai più a livelli tanto alti). Si è presentato direttamente ad Adelaide, in un’esibizione un po’ pittoresca in cui ha affrontato prima Krajinovic e poi Djokovic nella stessa ora e mezza. Primo impegno ufficiale, quello del Great Ocean Road Open, figlio di un portare a Melbourne tutto il pre-Australian Open nel Paese. Pioggia, rinvii, tre ore di lotta con il russo Karen Khachanov e match point annullato, finale vinta con Stefano Travaglia, impegno al lunedì sera, per questioni di programmazione, con Denis Shapovalov nel primo turno del primo Slam dell’anno. Arriva la sconfitta in cinque set, ma anche la sensazione che, senza i problemi della settimana, si sarebbe potuto assistere a qualcosa di diverso.
Le stagioni non vengono senza le difficoltà: ecco allora giungere qualche problema alla schiena nel finale di match perso con lo sloveno Aljaz Bedene a Montpellier. Ma è dopo i quarti a Marsiglia e a Dubai (Karatsev e Medvedev i giustizieri) che arriva il primo vero colpo grosso: la finale a Miami, la prima in un Masters 1000, con diversi scalpi importanti, da Khachanov (di nuovo) allo spagnolo Roberto Bautista Agut, incontrando in sostanza un adeguato mix di vecchia e nuova generazione. Ed è proprio uno dei nuovi come lui, il polacco Hubert Hurkacz, con il quale condivide sia una buona amicizia che il campo in doppio, a batterlo in un ultimo atto dai molti volti.
Sul rosso, per Sinner si apre un periodo di sorteggi spesso complicati. Accade a Montecarlo (Djokovic al 2° turno), Roma (Nadal al 2° turno) e Roland Garros (ancora Nadal agli ottavi). Ma è anche la stagione della semifinale sul rosso di Barcellona, con scalpi di Bautista Agut e del russo Andrey Rublev, prima di cedere a Stefanos Tsitsipas, che avrebbe poi giocato con il padrone di casa assoluto forse la partita al meglio dei tre set più bella e lottata dell’intero 2021. E se il greco poi sfiorerà il secondo Slam dell’anno, Sinner a Parigi si trova a dover subito salvare un match point con Pierre-Hugues Herbert; tra i momenti complicati riesce ad arrivare fino alle porte della seconda settimana, ma dell’esito s’è già detto.
La parte più complessa: stagione su erba. Arrivano i consigli di Andy Murray, ma anche due sconfitte che bruciano, su una superficie molto poco amica, con il britannico Jack Draper al Queen’s e poi con l’ungherese Marton Fucsovics a Wimbledon. Sei giorni dopo la sconfitta ai Championships, arriva la rinuncia alle Olimpiadi, cosa che del resto fa oltre metà dei top 50 (con una simile mossa il norvegese Casper Ruud ci ha guadagnato l’approdo alle Finals, ma anche per Sinner il discorso non è stato poi tanto lontano).
In breve, la stagione di Sinner riparte da Atlanta. Se da una parte lo sorprende Christopher O’Connell, australiano in quel momento ben fuori dai 100, dall’altra vince in doppio con il gigante Reilly Opelka. Ed è solo l’inizio: a Washington gioca ogni giorno meglio, facendo incetta di americani, chiudendo con Mackenzie McDonald e vincendo il primo 500 in carriera. Ma è agli US Open che un altro pezzo della costruzione dell’altoatesino si svela: contro Gael Monfils, ma anche contro un indecente Louis Armstrong Stadium (se ne accorgerà, sull’Ashe, anche Medvedev una settimana dopo): ha due set di vantaggio, divora soprattutto il quarto, ma nel quinto resiste. E resiste bene: è questione di imparare nel giro di poche ore, nello stesso confronto. E pazienza se poi Zverev, con teutonico servizio-bomba, lo ferma negli ottavi.
Ma è nel finale di stagione che il numero 2 d’Italia legittima il proprio status di top ten: vince Sofia risparmiandosi fino alla finale, dove ribadisce il concetto a Monfils, in stile “qui il padrone sono io”. Stesso discorso, ancor più imperioso, ad Anversa, ed è l’argentino Diego Schwartzman a soccombere in finale. In mezzo, la parentesi non fortunata a Indian Wells. Sembra andare tutto nella giusta direzione anche a Vienna, compreso lo scalpo di Ruud, e invece ci si mette di mezzo Frances Tiafoe, in una partita che l’americano ribalta senza forse neanche sapere come. Sembra essere, quella con Ruud, l’ultima vittoria del 2021: le sconfitte con Carlos Alcaraz a Parigi-Bercy e Andy Murray a Stoccolma appaiono il preludio a una chiusura di anno amara.
Invece qualcosa succede. E non per sua volontà. L’infortunio di Berrettini contro Zverev gli apre le porte delle ATP Finals: lui risponde presente, si unisce col pubblico di Torino, demolisce Hurkacz. E, a qualificazione oramai sfumata, dopo lo 0-6 fa tremare Medvedev, costringendo il russo ad annullare due match point. Sempre al Pala Alpitour c’è un’ultima appendice: si chiama Coppa Davis, dove Sinner va forte, anzi fortissimo. Una vittoria, due vittorie. Ma la terza è la più complicata, quella con Marin Cilic: non servirà per battere la Croazia, ma rimarrà di sicuro nell’immaginario di molti.
Cos’è successo, intanto? L’allievo di Riccardo Piatti è salito dal numero 37 al numero 10 del ranking mondiale. Ha completato un’ascesa spettacolare, ancor più se si considera che l’ha ottenuta a ranking parzialmente bloccato. Altrimenti in top ten ci sarebbe entrato molto prima. Il servizio si è evoluto, e anche il gioco a rete ha visto evidenti miglioramenti. Ma, com’è noto, Piatti ha sempre posto l’asticella sulle 150 partite a livello ATP. Non le ha ancora disputate, eppure è già in alto, anzi in altissimo. E il potenziale che può ancora esprimere il ragazzo di San Candido è davvero elevatissimo. Non si vincono per caso quattro tornei in un anno, ben corredati dal resto dei risultati. Ora lo step successivo: la costanza nei 1000 e maggiori soddisfazioni negli Slam.
Foto: LaPresse