Tennis
Tennis, Gianluigi Quinzi: “Non tutti sono fenomeni, avevo una lacuna. Con i Challenger non si vive”
Vi ricordate di Gianluigi Quinzi? Una decina d’anni fa veniva annunciato come il vero ‘Messia’ del tennis italiano. D’altronde i risultati conseguiti da giovanissimo lasciavano presagire un futuro radioso. Classe 1996, il nativo di Cittadella, che già a 14 anni lasciava intravedere un potenziale importante, balzò veramente agli onori della cronaca nel 2012, quando si aggiudicò il prestigioso Trofeo Bonfiglio e trascinò l’Italia a vincere per la prima volta la Coppa Davis juniores. Nel 2013 trionfò nel torneo giovanile di Wimbledon senza perdere neppure un set, peraltro superando in semifinale il britannico Kyle Edmund, quest’ultimo capace in seguito di spingersi sino alla posizione n.14 del ranking ATP nel 2018.
I trionfi da juniores generarono aspettative elevatissime, forse eccessive. Gli italiani si illudevano di aver trovato il nuovo Rafael Nadal, peccato che la carriera da professionista di Gianluigi Quinzi non sia mai decollata. Tra delusioni, infortuni e continui cambi di allenatore, il marchigiano non si è mai spinto oltre il 142° posto nella classifica mondiale. Di fatto la sua dimensione sono stati i tornei Challenger, di sicuro non quelli del circuito maggiore. Fino al precoce ritiro dall’attività a soli 25 anni, annunciato lo scorso mese di luglio.
Dopo aver vinto Wimbledon juniores, eri stato etichettato come il Messia del tennis italiano: quanto ti ha schiacciato la pressione?
“Sì, ero stato etichettato come il Messia del tennis dopo aver vinto Wimbledon, ho avuto determinate pressioni e troppe aspettative molto importanti, non sono poi stato bravo né a conviverci né ad affrontare questa ‘bolla di sapone’ nel non farmi coinvolgere da persone che non mi volevano bene. Ho fatto molta fatica nel dividere queste due cose, da lì in poi ho fatto fatica a resettare e a pensare ai tornei successivi“.
Quale è stato, a livello tecnico, il punto debole che ti ha impedito di fare il salto di qualità tra i professionisti?
“La seconda di servizio potevo migliorarla, la prima andava invece abbastanza bene, anche se a volte con poche percentuali in campo, ma la lacuna più importante era sul diritto perché perdevo molto campo con la mia preparazione, soprattutto sulle superfici veloci. Sul resto sono stato comunque bravo a migliorare anno dopo anno sempre più, anche negli aspetti più importanti del mio tennis“.
Quanto conta la testa nel tennis?
“La parte mentale conta al 70%, a determinati livelli tutti sanno giocare molto bene, ma a un certo punto non si parla più di chi gioca meglio o peggio, ed è qui che la testa fa la differenza. Poi vi sono giocatori come Federer, Djokovic e Nadal: ciò che li contraddistingue è che nei punti importanti non fanno mai scelte affrettate o sbagliate. La parte mentale è importantissima, puoi essere messo bene fisicamente, giocare benissimo a tennis, ma se poi hai dei blocchi mentali in campo non è semplice“.
Come convivi con il pensiero di non essere riuscito a sfondare nel tennis?
“Non ho rimpianti. Con le mie lacune, con i miei alti e bassi, ho dato il massimo. Mi sono risposto a determinate domande quando ho smesso di giocare a tennis, e ho preso questa decisione definitiva essendone completamente convinto. Con i ‘se’ e il ‘ma’ non si può andare avanti nella vita, ho dato tutto, ho faticato molto per raggiungere traguardi importanti, mi allenavo 7 ore al giorno per migliorare il mio tennis; ma non tutti sono fenomeni, ho cercato in tutti i modi di un essere un ragazzo determinato, ma rimpianti grossi non ne ho, ho fatto delle buone scelte, ma anche non buone che però mi hanno poi permesso di maturare“.
Di tennis si vive partecipando a Future e Challenger? E perché hai smesso così presto?
“Ti rispondo ‘nì’, a meno che non hai sponsorizzazioni importanti e a meno che non vinci 15 Challenger all’anno, allora puoi forse essere al pari con le tue spese; poi dipende, se viaggi da solo non hai i costi del team e puoi avere qualche entrata in più, però bisogna stare attenti… Quando sei nei primi 100 al mondo si comincia a guadagnare. Ho smesso così presto perché ormai era più un dovere che un piacere, non ero più convinto degli obiettivi che mi ero posto, stavo avendo una vita molto logorante, era diventata una monotonia, quindi oggi come oggi avendo 25 anni mi alzo la mattina e faccio ciò che mi piace fare“.
Cosa fai adesso?
“Mi sto laureando, sto facendo Economia e Management dello Sport, mi mancano 4 esami per finire la triennale, poi vorrei fare una futura magistrale o un master alla 24ORE Business School in Business Sport e Management, non so se poi intraprenderò quella strada, o comunque mi piacerebbe rimanere nell’ambito tennistico avendo esperienza in questo campo“.
Intervista a cura di Edoardo Diamantini
Foto: Olycom.com