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Australian Open 2022, dove sarebbe ora Matteo Berrettini senza gli infortuni? N.6 del mondo nonostante tanti problemi fisici

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Un interrogativo attraversa spesso la mente di buona parte degli appassionati italiani di tennis: e se Matteo Berrettini non avesse avuto la quantità di infortuni con cui ha dovuto convivere nell’arco della sua carriera? L’elenco è lungo, e non bastano solo gli episodi più recenti a mostrare il fatto compiuto. Per questo, occorre andare con ordine.

Il primo, serio problema ad alto livello gli è capitato nel 2019, dopo che la stagione sulla terra si era conclusa in maniera amara al Roland Garros (era finito contro il primo Casper Ruud) e l’erba, invece, aveva regalato i primi ottavi Slam a Wimbledon, con la celebre battaglia in cinque set con l’argentino Diego Schwartzman e il primo assaggio di Centre Court con Roger Federer. Berrettini avrebbe dovuto difendere il titolo a Gstaad, ma si fece male a una caviglia mentre si allenava e dovette saltare tutta quella parte di programmazione e rientrò soltanto a Cincinnati, dove perse subito dall’argentino Juan Ignacio “El Topo” Londero. Il resto è storia: semifinale agli US Open, semifinale a Shanghai, ATP Finals raggiunte.

L’inizio di 2020 del numero 1 d’Italia, invece, fu costellato di problemi, di quelli che a volte si trascinava dietro da inizio carriera. Lo confessò in più di un’occasione lui stesso: se non erano problemi alla spalla erano al polso, se non erano al polso erano alla caviglia, alla schiena e via discorrendo. I problemi si sono trascinati, nell’anno citato, fin dagli Australian Open, poi sono andati a proseguire nei minieventi che, in un modo o nell’altro, si cercava di organizzare durante la pandemia. Rimane, comunque, un anno che, ancor più che dagli infortuni, è stato condizionato da una partita, quella con il tedesco Daniel Altmaier al Roland Garros.

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Il 2021 è forse stato qualcosa di emblematico. Berrettini fisicamente c’è, mentalmente pure, gioca bene in ATP Cup, agli Australian Open sale piano piano, ma durante il match con il russo Karen Khachanov ha dolore agli addominali. Chiude e vince lo stesso in tre tie-break, ma gli costano cari quei minuti in più in campo: rimane fermo fino al torneo di doppio a Cagliari giocato con il fratello Jacopo. Poi ricomincia, sta bene, eccome se sta bene, e raggiunge la finale a Madrid e i quarti al Roland Garros. Poi, sull’erba, non lo ferma nessuno. Tranne uno: Novak Djokovic, ma in finale a Wimbledon. Ma di guaio ne arriva un altro, l’infortunio alla gamba dei Championships. Risultato: addio Olimpiadi e stop fino a Cincinnati. Qualche problema minore lo ha anche nella stagione indoor, ma si tratta più che altro di gestione verso le ATP Finals. A Torino, però, un altro colpo. Duro, secco. Lo vedono tutti, su Rai2 come su Sky, e naturalmente all’interno del Pala Alpitour. Altro guaio addominale, tentativi di allenarsi, rinuncia al resto del torneo e alla Coppa Davis.

Detto che proprio Olimpiadi e Coppa Davis non assegnano alcun punto a livello ATP al giorno d’oggi (ma lo facevano in passato), per quanto riguarda il resto delle situazioni i conti sono presto fatti. Se Berrettini avesse potuto giocare, se non del tutto, almeno in parte, in certi momenti della stagione che invece ha saltato per infortunio, allora le prospettive di classifica sarebbero con ogni probabilità cambiare. Una quantificazione esatta è ovviamente impossibile, ma per il livello di gioco espresso dal romano da quando è diventato un top ten stabile un’idea ce la si può fare. E quell’idea si chiama almeno numero 5 del ranking ATP, quello che avrebbe potuto occupare se fosse arrivato in finale a Melbourne. Sarà comunque numero 6, l’obiettivo è vicino, ma l’impressione generale è che non sia finita qui. E che, forse, nel futuro non ci sia solo il quinto posto. Il record del 4° di Adriano Panatta aspetta solo di essere eguagliato, e in un futuro anche non troppo lontano possono essere in due a metter mano alla questione.

Foto: LaPresse

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