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Biathlon, l’Italia verso Pechino 2022 in pieno ricambio generazionale. Bene per gli uomini, male per le ragazze

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Mancano meno di venti giorni all’inizio dei Giochi olimpici di Pechino 2022 e l’Italia del biathlon si appresta a celebrare la propria tappa di casa. Anterselva sarà, infatti, l’ultimo appuntamento agonistico di primo livello antecedente alla manifestazione a Cinque cerchi. Quanto accaduto nel weekend a Ruhpolding ha generato un interessante spunto di riflessione, ovverosia che la squadra azzurra si appresta a vivere l’edizione cinese delle Olimpiadi bianche in pieno ricambio generazionale. Le gare di Zhangjiakou avranno in pista praticamente solo ultratrentenni affermati all’ultima recita da protagonisti, oppure giovani relativamente acerbi in cerca di affermazione.

Tale circostanza è sintetizzata perfettamente dal settore maschile dove, a meno di clamorose sorprese, l’Italia si presenterà con tre uomini over-30 e due under-22! Sì perché vedremo impegnato un tandem del 1989 (Hofer-Windisch) e uno del 2000 (Giacomel-Bionaz), a cui si aggiungerà il classe 1991 Bormolini. Proprio quest’ultimo appare l’unico veramente al top della carriera, mentre gli altri o hanno già passato il loro prime (soprattutto Dominik), oppure sono ben lontani da raggiungerlo (parliamo, ovviamente, dei due nati nel XXI secolo). In una situazione del genere, è evidente come ci si trovi di fronte a un sistema di equazioni con incognite multiple. Complicato da risolvere, certo, ma che se dovesse essere sbrogliato, regalerebbe un’enorme soddisfazione.

Nel caso tutto giri per il verso giusto, l’Italia avrebbe anche l’opportunità di far saltare il banco in qualsiasi gara. Non c’è competizione dove gli azzurri non partano con il ruolo di outsider. Tuttavia, è evidente come ci si muova sul filo del rasoio e tutto possa girare anche per il verso sbagliato. Nel qual caso, non stupiamoci di assistere a eventuali controprestazioni. Dopotutto il duo del 2000 è ancora acerbo, mentre quello del 1989 si divide tra chi sta provando a riaccendere il fuoco del passato e chi, invece, deve fare i conti con una serie di acciacchi fisici. Cionondimeno, bisogna sottolineare come raramente il Bel Paese abbia potuto affrontare un’edizione olimpica con una squadra maschile così forte. Bisogna tornare agli anni ’90 per trovare un team azzurro con un numero 5 qualificato quanto quello attuale. Magari non arriverà nulla, perché di certezze non ce ne sono, ma le speranze non mancano e il potenziale neppure.

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In campo femminile il quadro è totalmente diverso, perché si arrivava a Pyeongchang 2018 in maniera sicuramente migliore. La golden generation è ormai a pezzi. Solo Dorothea Wierer è ancora al vertice, senza però essere più al proprio apice. La veterana di Rasun-Anterselva ha saputo disputare stagioni di altissimo profilo da novembre a marzo, portandosi a casa Coppe del Mondo e ori iridati. Quest’anno ha invece faticato a carburare e ha puntato tutto proprio su Pechino.

In termini numerici, il quartetto del biennio 1990-1991 è ormai dimezzato, in quanto Nicole Gontier e Alexia Runggaldier hanno già appeso la carabina al chiodo. Inoltre Federica Sanfilippo non è più l’atleta capace di salire sul podio in Coppa del Mondo o di sfiorare una medaglia ai Mondiali. Tuttavia, in barba persino al proprio crepuscolo, la trentunenne della Val Ridanna ha dimostrato di essere ancora la numero tre italiana. Per quanto in apparente declino e non più brillante come qualche tempo fa, le è bastato riuscire a lavorare con profitto durante l’off-season per tornare davanti a tutte le under-25 “rampanti”.

Le virgolette sono volute, perché di rampante c’è davvero poco. Bisogna essere onesti nelle valutazioni e non si possono vendere lucciole per lanterne. La tanto decantata generazione femminile del 1997-1998 non vale neppure lontanamente quella del 1990-1991, al di là di quelli che possono essere stati i successi in ambito giovanile. Dopotutto, trionfare fra le junior, non garantisce di ripetersi tra le senior. Non è certo una questione di scarso impegno, perché quello è sicuramente massimo. Lo testimonia il progresso effettuato da Samuela Comola proprio in vista di questa stagione. Cionondimeno, non si può pretendere che una Fiat Duna vada quanto una Ferrari Testarossa. L’errore, semmai, è stato illudersi che delle berline a tre volumi fossero delle coupé.

Proprio per questo, per trovare atlete potenzialmente in grado di fare la differenza nel massimo circuito, bisognerà aspettare ancora qualche anno. Nella speranza che le nate a inizio XXI secolo possano sbocciare appieno, mettendo così a frutto il loro potenziale. Ecco perché le fisiologiche difficoltà figlie di ogni ricambio generazionale sono destinate a essere più acute fra le donne.

Chiaramente, nei rapporti di forza dell’Italia femminile, pesa oltremodo la crisi di fiducia in cui è sprofondata Lisa Vittozzi, ormai prossima a compiere 27 anni. La veneta di scuola friulana andò vicinissima a conquistare una medaglia già a Pyeongchang e chiunque sarebbe stato certo di vederla tra le donne da battere a Pechino 2022. Nessuno, però, avrebbe potuto prevedere l’incredibile crollo progressivo della precisione a terra, precipitata dall’86% di quattro anni orsono all’attuale 62,5%. Una spirale negativa cominciata quasi tre anni fa e alla quale non solo nessuno è riuscito a porre rimedio, ma che sembra non avere fine. Se il percorso agonistico di Lisa fosse proseguito in maniera lineare, oggi sarebbe la leader indiscussa di un team che avrebbe il lusso di poter contare su una numero 2 del calibro di Dorothea Wierer! Invece non sarà così e la sappadina si presenterà in Cina con il ruolo di mina vagante, sperando di innescarsi al momento giusto.

Foto: La Presse

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