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Riccardo Riccò: “Ho sbagliato perché non avevo persone di cui fidarmi. Ora sono gelataio e non tornerò”

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Riccardo Riccò ha diviso il mondo del ciclismo: prima è salito molto in alto, poi è caduto nella polvere. Un carattere forte, che tuttavia con il tempo pare essersi ammorbidito. Nato a Sassuolo il 1° settembre 1983, professionista dal 2006 al 2011 con tre vittorie di tappa al Giro d’Italia, un secondo posto nella classifica generale della Corsa Rosa, oltre due vittorie al Tour de France, è stato poi l’infelice protagonista di vari problemi con il doping, con la squalifica di 12 anni che scadrà nel 2024. A distanza di tante stagioni Riccò ha trovato l’amore, è tornato a lavorare in Italia con la sua gelateria e ha ritrovato la giusta serenità. 

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Riccardo, dagli errori si impara sempre. Tu che cos’hai capito?

“Ho capito tante cose che mi sono servite nella vita. Un esempio? Riconoscere le persone. Sicuramente ha influito anche la mia maggior maturità che ho sviluppato con il passare degli anni.” 

C’è stata una persona in particolare di cui ti fidavi durante i tuoi anni di carriera?

“L’unica persona che ascoltavo era Carlo Santuccione che a livello ciclistico è stato come un papà per me. Carlo era una persona molto competente sia a livello umano che come preparazione. Da quando poi mi è mancato il suo punto di riferimento non sono riuscito a fidarmi più di nessuno. Lì ho commesso i miei errori, che tutti sanno.”

Sei uno dei più grandi rimpianti del ciclismo italiano… 

“Lo so e mi dispiace. Quello che è stato, è stato. Non si può tornare indietro, purtroppo. Ho capito di aver commesso degli errori e da questi ho imparato.” 

Il tuo rimpianto più grande invece qual è?

“Non aver avuto una persona di cui potermi fidare.” 

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Cosa provi oggi quando guardi le corse in tv?

“Dipende. Alcune volte mi arrabbio perché mi rendo conto di quello che ho buttato via, poi però guardo il bicchiere mezzo pieno. Ho conosciuto mia moglie Melissa, abbiamo aperto una gelateria e sono più felice.” 

Come procede la tua attività della gelateria?

“Io e mia moglie siamo molto felici. A fine 2019, prima del lockdown, siamo riusciti a vendere la gelateria che avevamo a Tenerife e siamo tornati in Italia. Entrambi avevamo voglia di tornare a casa. Così ne abbiamo aperta un’altra a Vignola e sono contento di quello che siamo riusciti a costruire. E’ un bel lavoro, creativo e che mi piace.”

Rebellin a 50 anni è ancora in gruppo. Ti piacerebbe tornare a squalifica conclusa?

“No, perché sarebbe una brutta copia. Ogni cosa ha il suo tempo e una sua età.” 

Com’è cambiato il ciclismo oggi?

“Sinceramente non seguo molto. Quello che vedo però è che le medie non sono inferiori rispetto a quelle che facevamo noi…”

Il ciclismo a volte logora. Come valuti il caso di Fabio Aru?

“Credo che Fabio abbia fatto bene, al suo posto avrei fatto anche io così.” 

Perché secondo te il ciclismo italiano fa fatica ad attirare sponsor e non procedute corridori da corse a tappe?

“Perché il ciclismo italiano è molto sotto i riflettori. Per quanto concerne invece i corridori credo che la Federazione non aiuti i ragazzi ma al contrario li bastoni. Dal mio punto di vista in altri paesi i corridori sono più tutelati.” 

C’è un corridore che ti piace in particolare modo?

“Sì, ce ne sono quattro o cinque che danno spettacolo: Van der Poel, Evenepoel, Van Aert, Valverde e Alaphilippe. Sono davvero dei fenomeni.” 

Hai ancora degli amici nel mondo del ciclismo?

“Pochi. Il mondo del ciclismo è strano. Pian piano però, a distanza di anni, non sono più visto come una ‘brutta bestia’ ma solo una ‘bestia’ (ride ndr).

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