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Claudio Pistolesi: “Berrettini può vincere Wimbledon. Mi aspetto un’ultima zampata da Federer”

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Ha preso il via una nuova stagione di tennis, dopo un 2021 in cui abbiamo visto quasi accadere il ‘miracolo’ del Grande Slam grazie a Nole Djokovic. Nel corso degli anni si è notata una differenza di come ogni tennista stia arrivando sempre più preparato ai grandi appuntamenti; merito non solo del talento, ma anche di come viene coltivato settimana dopo settimana. Ne abbiamo parlato con uno dei migliori coach del panorama internazionale, Claudio Pistolesi, ex numero 1 juniores e ora parte del Comitato Allenatori dell’ATP, in una lunga intervista.

Cominciamo subito: il 2021 può aver segnato l’inizio di un nuovo ciclo?

“Se per nuovo ciclo intendi un tennis non dominato dai Fab Three, penso di no. Djokovic e Nadal sono ancora presenti e possono vincere ancora molto. Il punto interrogativo è Federer. Sarebbe bello che tornasse a vincere qualcosa di significativo, per salutare il circuito nella maniera migliore. Non è impossibile che possa piazzare qualche zampata: darei ancora un anno di transizione verso nuovi campioni che domineranno la scena”.

Per ordine di classifica, i Fab Three hanno 34, 35 e 40 anni: degli strepitosi esempi di longevità rispetto al passato, in cui calcavi anche tu i campi.

“I tempi della carriera di un tennista si sono allungati. Se ci pensi, Nadal che vince 13 Roland Garros è disumano. Non vince solo per questioni tecniche, ma è ovvio che ha il suo peso una parte mentale ed emozionale che li aiuta. Se tu metti di fronte il Nadal 2019 contro il Nadal 2005, vince il Nadal 2019 6-2 6-2. Ho giocato con Agassi nel 1988, poi lui sfidò i miei allievi nel 2006: l’Agassi trentaseienne avrebbe vinto facilmente con quello diciottenne. Questi giocatori hanno capito che il tennis non era basato solo sulla biomeccanica, ma che vicino a loro serve una squadra di esperti, oltre che di coach e preparatori atletici. Hanno fatto ricerca, il tennis è, come dico io, Psycho-Neuro-Emotional-Muscular”.

Spiegami meglio questo concetto.

“Non si tratta più solo del puro gesto con la racchetta. Questi tennisti hanno lavorato sulla parte mentale e non solo: la mia generazione di atleti ha fatto ‘da cavia’, era incentrata palesemente sulla forza fisica. Ora è cambiata la morfologia del giocatore tipo: più alto e snello, con leve lunghe, ma con la giusta comprensione dell’importanza della mobilità in mezzo al campo. Ogni aspetto è comunicante con l’altro, è stato capito che per poter controllare tutti i dettagli c’era bisogno di un team privato e non solo di un allenatore; il coaching privato ha preso il sopravvento e ha portato il tennis alla ricerca di un miglioramento costante”.

Un aspetto importante è proprio l’allungamento della carriera tennistica rispetto al passato.

“L’equilibrio fra i vari aspetti è importante, ora anche la cura della salute è fondamentale. Quando stavamo male noi giocatori degli anni ‘80, si andava di ghiaccio e aspirina. Ora c’è una prevenzione maggiore, la salute è al primo posto: a trent’anni tempo fa si era considerati sul viale del tramonto poiché il fisico era assai provato, messo sotto pressione. Ad esempio, io sono stato operato tre volte di ernia del disco in carriera a furia di usura. Oggi invece si tende a riposare per presentarsi al 100% nei grandi appuntamenti, è stata scoperta e sottolineata la necessità di legare la gestione della salute assieme al programma dei tornei”. 

Come hanno fatto i nostri maggiori alfieri, Sinner e Berrettini.

“Jannik prese parecchie critiche quando si rifiutò di andare alle Olimpiadi ma non avevano assolutamente senso. Poi ha vinto a Washington e tutti a dire che l’Italia aveva vinto. Anche Berrettini ha fatto lo stesso, ed ha fatto bene: se necessario, bisogna anche prendersi un paio di mesi senza forzare il rientro, non è un caso che il 2021 sia stato per lui un anno eccezionale. La finale di Wimbledon è arrivata perché ha saputo prendersi il suo tempo dopo essersi fatto male in Australia. Al contrario di altri, come Dominic Thiem che giocava ogni torneo ma ora ne sta pagando le conseguenze. Un altro che dovrebbe apprendere la cultura del lavoro è Tsitsipas”.

A cosa è dovuta per te questa mancanza da parte loro?

“Devono pensare un po’ meno alla classifica. Rimane importante, anche perché legata a questione di contratti pubblicitari e sponsor, ma ci arrivi con la salute, facendoti trovare pronto ai grandi appuntamenti. E lo fai dando il tempo al corpo di recuperare, non solo di caricarsi di tornei. Ci sono le settimane di allenamento, le settimane di tornei e le settimane di riposo. E queste ultime spengono spesso sottovalutate”.

Più facile allenare un gran giocatore oggi o in passato?

“Oggi il lavoro è più difficile, perché da solo ormai non ce la fai. Il coach per me è come un direttore d’orchestra che ha bisogno dei vari musicisti, strumenti che prima suonava solamente lui. Quando giocavo io il coach non lo avevamo per niente, ora c’è un vero e proprio team: non è un caso che nei ringraziamenti dopo un torneo venga menzionato direttamente il team. Ad oggi quello del coach non è più soltanto un lavoro di allenamento, ma di leadership di un team: ci sono numerose figure di cui tenere conto, organizzare la parte finanziaria, creare un equilibrio e una sinergia. Oggi è molto più articolato, quindi molto più difficile: si gestisce il giocatore e anche il team per farlo rendere al meglio. A parte questo, l’importanza di allenare un giocatore che vuole vincere rimane lo stesso. Ho avuto la fortuna di essere nel team di Monica Seles quando riprese a giocare: il carico di responsabilità era enorme. O si vince o si vince. Il suo successo agli Australian Open 1996 fu una dimostrazione di forza morale, di passione per il tennis impressionante e fui fortunato a viverlo in presa diretta”.

Psycho-Neural-Emotional-Muscular, riprendiamo questo concetto. Quale pensi sia il più importante?

“La mia convinzione è che siano dei vasi comunicanti. Deve esserci un equilibrio tra questi fattori; e il compito del coach deve essere trovarlo fra tutti gli aspetti e trovarlo in maniera parallela: non è possibile permettersi dei buchi. Fra gli italiani, anche questo è la base dei grandi successi azzurri soprattutto nel maschile. Analizziamo le varie storie dei giocatori azzurri: Arbino con Sonego, Tartarini con Musetti, Santopadre con Berrettini; Piatti con Sinner anche se è leggermente diverso perché è arrivato successivamente. Sono tutte storie differenti, storie singole. Sono stati tutti bravi ad allenare la parte emotiva, mentale dei propri atleti, basandosi sull’empatia verso il proprio giocatore essendosi conosciuti anni fa tanto da quasi avergli messo la racchetta in mano per primi. La parte emozionale ha ripreso terreno, mentre in precedenza era addirittura combattuta dalle istituzioni in maniera vergognosa. Dopo anni si è capito che i protagonisti sono i coach privati, prendendosi la responsabilità di mandare avanti queste storie e i giocatori hanno capito che serve un team attorno a loro, come hanno fatto i grandi campioni. L’Italia si è rimessa al passo con i tempi e ora sta raccogliendo i frutti in maniera eccezionale”.

Quanto è cambiato l’allenamento con il giocatore in questo periodo di Covid?

“Sono cambiati soprattutto i luoghi di allenamento. Ad esempio, qui in Florida c’è la possibilità di potersi allenare all’aperto tutto l’anno. In molti, come Berrettini, si allenano a Montecarlo, sul mare, rimanendo all’aperto. Molti sono andati a Dubai o in paesi dove si può usare il vantaggio del tennis: c’è distanza tra i due contendenti, i partecipanti all’allenamento. Con un po’ di attenzione si possono evitare i contatti. Forse c’è meno lavoro in palestra, e nei campi indoor”.

Impossibile non parlare del 2022: cosa ci aspetta?

“Probabile e possibile la sopravvivenza dei grandi, soprattutto Nadal e Djokovic, che potranno cercare il record di Slam. Sarà difficile per Roger, ma per gli altri due, soprattutto Nole, ci sono grosse chance di vincere un Major. Nole ha chiuso per il settimo anno al numero 1 al mondo e vorrà allungare il passo, sarà focalizzato sui Major. Vedo un punto interrogativo, se la ATP e la WTA potranno resistere con le limitazioni con il Covid: ci tengo a dire che sono vaccinato e che penso possa essere arrivato il momento dell’obbligo vaccinale per tutti, mi sembra doveroso verso gli altri. Si parlava, quando il vaccino era assente, che i tornei sarebbero ripresi soltanto al momento dell’ultimazione di quest’ultimo. Dobbiamo far terminare quest’incubo tutti insieme”.

E gli altri?

“Medvedev sembra aver staccato gli altri, ma potrebbe essere soltanto un momento. Gli altri, Zverev, Tsitsipas e Berrettini, si stanno avvicinando e possono avere chance di vittoria. Matteo rimane tra i favoriti di Wimbledon, sperando stia bene fisicamente. Tsitsipas e Rublev hanno avuto una seconda parte dell’anno un po’ altalenante ma sono sempre lì, Thiem speriamo che possa tornare bene. Farei attenzione a Norrie, giocatore uscito dall’Università e arrivato alle Finals. Poi Hurkacz, Sinner, Auger-Aliassime e Shapovalov sono lì vicino, i nomi sono questi. Se poi tornassero definitivamente in auge Andy Murray e Stan Wawrinka sarebbe davvero affascinante”.

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