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Golf, Jacopo Vecchi Fossa: “Voglio puntare in alto, ma anche divertirmi. Manassero? Tornerà come un tempo”
Jacopo Vecchi Fossa, per larga misura, è uno dei maggiori protagonisti del 2021 golfistico italiano. Dopo aver iniziato l’anno appena dentro i primi 900 del mondo, ha effettuato una scalata prodigiosa che lo ha innalzato fin quasi alle porte della top 400. Da 890 a 424, in particolare, sono 466 posizioni, anche se poi, per i soliti movimenti di fine anno, il 2022 l’ha iniziato da numero 464. Ora che è passato sul Challenge Tour dopo una stagione trionfale sull’Alps Tour, il classe ’94 di Reggio Emilia mette nel mirino nuovi obiettivi. Di questo e della sua storia di golfista racconta in questa intervista.
Possiamo dire che questo 2021 sia stato praticamente perfetto, con 400 posizioni e più scalate nel ranking e la carta conquistata conquistata per il Challenge Tour.
“Assolutamente. Meglio di così!”
Quali sono stati per te i momenti chiave?
“Sicuramente il primo momento chiave della stagione è stato subito all’inizio, quando sono riuscito a vincere la terza gara dell’anno. Mi ha dato una bella spinta sia nell’ordine di merito che anche morale, perché sono partito in forma, quindi il lavoro che avevo fatto in inverno era sicuramente giusto. Un altro momento chiave, dopo una brutta, se posso dire brutta, fase centrale del mio anno, è stato verso le ultime gare, dove sono riuscito a vincere la penultima per presentarmi al Grand Final già praticamente primo nell’ordine“.
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Tra tutte le vittorie ottenute quest’anno e anche gli altri risultati conseguiti, qual è quello per te più sentito?
“Il risultato più sentito ti direi sia l’ultima gara della stagione a Roma. Venivo dall’anno scorso dov’ero riuscito a vincere, e riconfermarsi in due anni di fila sullo stesso campo è stata una bella soddisfazione“.
Quella vittoria del 2020 si può definire, poi, il momento da cui è partito tutto.
“Esattamente. Dove ho capito che potevo dire la mia“.
Parlando di 2020, già all’inizio sembravi in una buona forma, solo che poi è intervenuto il Covid…
“Esatto. Ero già in buona forma“.
C’è stata anche l’esperienza dell’Open d’Italia. Cos’è stato affrontarla, quali sono state le emozioni che hai sentito, quale il contesto generale?
“Venivo da un’estate in cui non avevo giocato un granché bene sull’Alps Tour. Avevo giocato un buon primo giro, intorno alla cinquantesima posizione, ma nel secondo mi sono ritornate quelle brutte sensazioni che ho avuto durante l’estate che mi hanno portato a fare dei brutti colpi nella parte centrale del giro, dove ho perso praticamente tutte le speranze di accedere al weekend“.
A livello mentale quanto è stato complesso riuscire a rimettersi in marcia dopo questo periodo negativo?
“Non è mai così facile. Non è stato in realtà un vero periodo negativo, semmai uno dove ho fatto fatica a mantenere il mio stato di forma che ho avuto nelle settimane precedenti. Io almeno ho cercato di pensare meno al risultato e più al vivere il momento. Senza pensieri in testa sono riuscito ad affrontare meglio il finale di anno e a arlo girare a mio favore“.
Sei stato il dominatore dei campi italiani, a vedere i risultati…
“Sì, diciamo di sì, in Italia ho sempre giocato a un ottimo livello”.
Il prossimo step è di eguagliare o avvicinare questi risultati anche lontano dall’Italia.
“Esatto, riuscire a sentirmi bene come quando gioco in Italia anche all’estero. E quelle gare, anzi, saranno la maggior parte il prossimo anno, praticamente tutte“.
Anche perché si tratta di un salto importante, che hai già sperimentato all’Italian Challenge e non era neanche andato male, con il 14° posto, e all’Open de Provence.
“Sì, ho giocato anche in Italia e in Francia in quell’occasione. Mi ero difeso, ma non avevo brillato come facevo in Italia sull’Alps Tour“.
E sull’Alps Tour hai incrociato Matteo Manassero, che è stato a sua volta protagonista di un gran recupro nel ranking tramite gli ottimi risultati che l’hanno riportato nei 400. Tu come l’avevi visto in quel periodo?
“E’ un po’ di tempo che dico anche ai ragazzi che sono con me, o alla gente che mi fa magari solo una semplice domanda su come sta giocando Matteo, che, incrociando le dita e facendo le corna, secondo me tornerà a giocare come un tempo, perché lo vedo bene, sereno, tranquillo, gioca bene, putta bene. Secondo me è a buon punto, poi, come ben sai, il golf è uno sport un po’ particolare“.
Però è come se gli fosse andato via tutto quello che, fino al 2019, l’ha portato a giocare nei tour inferiori.
“Sì, quelle cose pian piano gli sono sparite. Adesso è più tranquillo, secondo me“.
Tornando a te: quali sono le cose che vorresti migliorare a livello di gioco?
“A livello di puro gioco sto cercando di limare sul gioco corto e nient’altro. Più che altro sto cercando di migliorare un aspetto mio di comportamento, mentale: quando le cose bene riesco a stare tranquillo, quando iniziano a complicarsi faccio fatica a gestirle. Di anno in anno le ho gestite sempre meglio, ma devo migliorare ancora e mi sento ancora work in progress da quel punto di vista“.
In sostanza, quel discorso per cui dopo una o due buche in cui, per così dire, perdi la maniglia, un po’ ti lasci andare.
“Esattamente. Un po’ così“.
Torniamo indietro nel tempo, al 2017 e all’intervento. Un periodo difficile: da una parte volevi spaccare il mondo, dall’altra calmarti per la ripresa. Ripensando ad allora, e guardando dove sei adesso, cosa ti viene in mente?
“Se penso anche a livello fisico dov’ero arrivato, perché sono stati i 6-7 mesi prima dell’intervento, sono stati i mesi in cui avevo una dieta particolare. Certe cose non potevo farle per non rischiare. Il mio corpo aveva perso un sacco di massa muscolare. Sapere che dopo poco tempo sono riuscito non a tornare come prima, ma a essere di nuovo competitivo quasi subito, è qualcosa di cui non ero convinto durante la convalescenza. E’ stata dura, ma con tanto lavoro e tanta sofferenza ne sono saltato fuori“.
A sentirti parlare, è come se avessi vissuto due carriere, una prima dell’intervento e una dopo, che quasi si completano tra di loro.
“Sì, perché io avevo giocato solamente un anno da professionista e poi ho fatto quest’intervento e quello è stato un anno un po’ particolare, proprio perché sapevo che mi sarei dovuto operare. Era una situazione non dico al limite, ma alla quale dovevo stare attento. Ogni volta che facevo una salita e sentivo il battito più accelerato mi venivano dei pensieri. E’ stato un periodo non facile, anche per il fatto di giocare con questi pensieri“.
Quali sono state le persone che ti hanno aiutato tanto sia a livello professionale che golfistico che, soprattutto, umano?
“Sicuramente la mia famiglia mi ha aiutato un sacco. Mi ha sempre supportato, mi ha sempre incoraggiato su tutta la preparazione e tutto quanto. Il mio preparatore atletico ha fatto un gran bel lavoro, perché, una volta tornato in pista, c’erano comunque molte cose che non potevo fare ancora per via dell’intervento che avevo subito, ed è stato bravo anche lui ad adattarsi molto a quel che dicevano i medici. E’ stato un lavoro di gruppo, sono stati tutti molto essenziali, disponibili e bravi“.
La persona o le persone più importanti dal punto di vista tecnico, della formazione di Jacopo Vecchi Fossa golfista quali sono state, sia all’inizio che in quel futuro che è diventato presente?
“Mi sono trovato un team dove già da dilettante avevamo iniziato a lavorare come dei professionisti ed è rimasto quello, invariato, dal 2014. Mi conoscevano prima, sapevano la persona che ero, sapevano quello di cui avevo bisogno per andare avanti, per non deconcentrarmi. Sono riusciti a fare un bel lavoro anche loro insieme a me“.
Abbiamo parlato degli obiettivi tecnici: quali sono invece quelli di risultati per il 2022?
“Puntare in alto è la cosa che voglio, nel senso che voglio arrivare nei primi 20 per accedere al tour maggiore, ed è di sicuro un obiettivo. Quello principale, però, è che questo è un lavoro che devi fare divertendoti. Altrimenti ti logora. Sei tu in mezzo a un campo e la prima cosa è che devi riuscire a divertirti, da quest’anno ho imparato questo. Se non ti diverti arrivi in fondo che quasi ti passa la voglia di stare via, lontano da casa, per tantissimo tempo. Soffrendo non è facile, riuscire a divertirsi è l’obiettivo principale“.
Anche perché, alla fine, è una lotta di due (caddie compreso) contro tutto, dal vento a qualche colpo di sfortuna.
“Sei tu, la tua sacca, la tua pallina, prima contro il campo e poi contro gli altri partecipanti alla gara. Se non sei tranquillo tu, non vedo come tu riesca a dire la tua e gareggiare contro un’altra persona, che all’apparenza magari è tranquilla. Insomma, è uno sport particolare. A parer mio, se la mente è libera riesci a dare il meglio di te“.
Di tutti i campi che hai girato sul tuo percorso, ce ne sono stati alcuni che ti sono rimasti impressi perché belli o esaltanti da affrontare al di là del risultato?
“Di campi belli ne è piena l’Europa, ne è pieno il mondo. Quelli che ti ricordi meglio sono quelli dove hai performato meglio. Ci sono dei campi che sulla carta o nelle riviste sono i più belli, ma sono anche quelli dove hai un brutto ricordo. Questa è una regola anche per i dilettanti, se hai giocato su un campo bello in una giornata brutta, con la pioggia e il vento e hai pure giocato male non hai un bel ricordo“.
Parlavi anche di team che hai ormai da oltre un lustro. Parlando di tempo, si ricordano tutte le volte in cui sei stato in orbita azzurra. In questo senso quali sono i tuoi ricordi più nitidi?
“I più belli che ho sono sicuramente le trasferte e le gare a squadre, quando rappresentavo l’Italia insieme ai miei amici, poter gareggiare come squadra. Essendo sport prettamente individuale, questi sono i momenti che mi mancano di più. Per il resto, alla fine tra una stagione dilettantistica e professionistica le cose cambiano perché devi organizzarti le trasferte da solo, quindi sei un po’ più dentro ai costi e tutto il resto, però il punto comune è quello: prendi un aereo, fai la gara e torni a casa. La cosa diversa è legata a quei momenti in cui, con i tuoi amici, stai facendo una gara, un campionato a squadre e si gareggia tutti insieme per un obiettivo“.
A proposito di costi: per una stagione di Alps Tour, nel tuo caso con qualche accenno di Challenge Tour, quanto si spende e quanto serve per riuscire a mantenersi in pari?
“Ti faccio l’esempio su di me perché mi sono tenuto i costi per arrivare a fine stagione con un’idea. Quest’anno, su 15 gare di cui 7 in Italia, quindi con i costi che si abbassano di molto perché ci vado in macchina e ti puoi far da mangiare da solo in hotel o in appartamento, una stagione piena costa comunque circa 20.000 euro. Di conseguenza, per andare in pari devi riuscire a guadagnarne altrettanti, se no devi ricorrere a un buono sponsor, bisogna tappare i buchi da altre parti“.
Il ricordo finora più bello che ha lasciato a te il golf qual è?
“Vincere il mio primo torneo da professionista, quello tre mesi dopo l’intervento. E’ stato incredibile: avevo fatto tutte le visite del caso al CONI, mi avevano dato l’opportunità di giocare, perché se ci fossero state visite non buone a livello di prove sotto sforzo e tutto il resto non avrei potuto giocare quella gara. Mi hanno dato il via per poterla giocare, non ero al 100% e sono riuscito a vincerla. Era un campionato italiano dove c’erano molti buoni giocatori. Quella è la soddisfazione più grande che ho“.
Per te quali sono state le ispirazioni sia per cominciare con il golf che, poi, da prendere come esempio per la tua attività in seguito?
“Non è una domanda facile, nel senso che io venivo dal tennis, dove mi aveva indottrinato mio padre, perché era giocatore. Il mio idolo sportivo rimane e rimarrà sempre Roger Federer, per l’eleganza e la disciplina che ci mette. E per il fatto che, vada bene o vada male, l’espressione è sempre quella. Non lo vedrai mai arrabbiarsi, neanche in un momento dove, magari, è stato in difficoltà, anche sotto nel punteggio. Sembrava sempre che lui stesse facendo la stessa cosa, sempre nello stesso modo. Prendo l’ispirazione da lui. Nel golf un idolo non ce l’ho“.
Foto: Federazione Italiana Golf