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Jannik Sinner e Matteo Berrettini ai quarti di finale in uno Slam: all’Italia non succedeva dal 1973

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Era dal 1973 che l’Italia non si trovava con due giocatori ai quarti di finale in un torneo del Grande Slam, almeno per quanto riguarda il tennis maschile (dal momento che, al femminile, i casi ci sono stati: basti ricordare gli US Open 2012, 2013 e 2015). Jannik Sinner e Matteo Berrettini, 49 anni dopo quel Roland Garros che ha numerosissime valenze storiche anche oltre il nostro Paese, riportano in terra tricolore una doppia rappresentanza che testimonia come il loro livello sia ormai quello dei più forti al mondo, in una generazione che ormai si sta prendendo il tennis e non lo vorrà mollare per parecchi anni.

Allora furono Adriano Panatta e Paolo Bertolucci a fare il grande passo insieme. Si trovavano nella stessa parte di tabellone, i due che sono rimasti amici per la vita, con episodi narrati dall’uno e dall’altro che potrebbero regalare aneddoti per parecchi giorni. Erano gli anni in cui lo Slam parigino aveva la particolarità che vedeva i primi due turni giocati al meglio dei due set su tre, invece che dei tre su cinque, un periodo che durò dal 1973 al 1975 prima di far ricorso a quel che già c’era.

Uno dei motivi per cui il 1973 è famoso si lega alla prima delle due occasioni in cui Panatta sconfisse Bjorn Borg, ed è stato il solo esserci riuscito sulla terra rossa parigina. Accadde negli ottavi di finale, dove il punteggio finale fu di 7-6 2-6 7-5 7-6. L’italiano non ebbe un tabellone difficile, ma rischiò molto con il belga Bernard Mignot al secondo turno, prima di procedere a battere il cileno Jaime Fillol e poi, appunto, Borg. Arrivò nei quarti e batté anche l’olandese Tom Okker, che si era anche tolto lo sfizio di eliminare il forte americano Stan Smith, che allora rivestiva il ruolo di numero 1 del tabellone.

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Contemporaneamente, Bertolucci aveva fatto un percorso forse anche più impressionante. Eliminato l’inglese Marc Cox, uno di quelli che sulla terra rossa sapeva giocarci e anche bene, ed era numero 13 del seeding, riuscì a sopravvivere a quel particolare personaggio che era Andrew Pattison, della Rhodesia (odierno Zimbabwe) e più tardi cittadino anche americano, in cinque set. Ma l’impresa venne dopo: fu Arthur Ashe lo sconfitto negli ottavi, e se è vero che uno degli uomini simbolo del tennis non solo per il tennis non era proprio il re del rosso, è altrettanto vero che il 7-6 6-3 6-4 fu di grandissimo pregio. Fu però contro Nikola Pilic, per tutti Niki, che Bertolucci si fermò, ai quarti, in quattro set. E fu ancora lo jugoslavo a eliminare, stavolta in tre, Panatta, solo per essere travolto da Ilie Nastase, con il rumeno che gli lasciò soltanto sei giochi. Poche settimane dopo, Pilic sarebbe stato centro della vicenda che portò a un enorme sciopero dei tennisti per Wimbledon, con rinunce a decine e il ceco Jan Kodes, pedigree sostanzialmente terraiolo, che si prese il titolo nella superficie più lontana possibile dal suo normale credo tennistico.

E sempre al Roland Garros si erano avute le altre tre occasioni di due italiani nei quarti nello stesso Slam, sempre in Era pre-Open. Nel 1948, in particolare, furono Gianni Cucelli, nato Giovanni Kucel in quel di Fiume, e Marcello Del Bello, il più forte dei due fratelli romani, a riuscirci. Importante fu il percorso di Cucelli, che arrivò al secondo di tre quarti consecutivi a Parigi battendo agli ottavi Frank Sedgman, australiano allora ventunenne che, in futuro, sarebbe stato acclamato numero 1 del mondo, mentre Del Bello ebbe un percorso particolare, facendosi portare al quinto set nel suo secondo incontro dal belga Pierre Geelhand De Merxem. Entrambi furono eliminati da americani con un ruolo nella storia del tennis: Frank Parker, tra i maggiori campioni del dopoguerra, e Budge Patty, vincitore in Francia e a Wimbledon nel 1950 e recentemente scomparso.

Il 1956, invece, vide l’incrocio di due ere tennistiche, quella di Giuseppe Merlo, per tutti Beppe, il veterano del tennis italiano del tempo, e quella di Nicola Pietrangeli, che stava per imporsi all’attenzione mondiale. Merlo, pioniere del rovescio bimane, al tempo numero 5 del tabellone, fu perfetto nell’arrivare fino ai quarti, sconfiggendo tutti avversari di minor levatura, e poi sconfisse in cinque durissimi set il francese Paul Remy, cui diede il 15 che lo mandò a servire per il match, prima di recuperare tutto lo svantaggio. Il racconto è dello stesso Pietrangeli, che nel frattempo era riuscito a battere Luis Ayala, cileno sul quale si ritornerà, per entrare tra i migliori otto. Non poté però evitare la classe e il genio di Lew Hoad: l’australiano prima demolì lui e poi, seppur meno facilmente, ma sempre in tre set, sconfisse Merlo in semifinale prima di prendersi il trofeo.

Il 1960, invece, fu l’anno più esplosivo per la coppia d’oro del tennis azzurro del tempo. Così diversi e così vicini, Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola insieme riuscirono a fare grandissime cose in doppio, tanto in Coppa Davis quanto nei tornei, fino a raggiungere anche una finale a Wimbledon e, nel 1959, la vittoria proprio sui campi parigini. Ma in quel 1960 i due si fecero tanta, tantissima strada. Non solo arrivarono ai quarti, ma giunsero insieme fino in semifinale. E se Pietrangeli nessuno temeva sul mattone tritato (perse tre set, due dei quali col futuro italiano Martin Mulligan al 2° turno e con Andres Gimeno nei quarti), fu Sirola, il gigante di quasi due metri venuto da Fiume, a colpire nel segno in maniera sorprendente. Due colpi, quell’anno, diede a Barry Mackay, al tempo numero 1 americano: uno in Coppa Davis, nella finale interzone di Perth (Australia) a dicembre, l’altro proprio a Parigi. E, per giunta, proprio dopo che Mackay aveva vinto al Foro Italico di Roma. Sirola dovette poi cedere ad Ayala in quattro set, ma Pietrangeli avanzò, sconfisse il francese Robert Haillet e, nell’ultimo atto, rimontò e batté anche il cileno in cinque parziali, per il secondo trionfo sotto la Tour Eiffel della sua vita. Alcune di quelle immagini sono ancora oggi conservate nell’Institut National de l’Audiovisuel, il curatissimo archivio radiotelevisivo francese, che dal 1975 effettua quest’opera.

Foto: LaPresse

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