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Rugby, Andrea Di Giandomenico: “L’Italia femminile punta ai quarti ai Mondiali. Il Covid non aiuta verso il Sei Nazioni”

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Il 2022 è un anno importante per il rugby femminile. A fine marzo inizierà il Sei Nazioni di categoria, ma soprattutto a settembre andrà in scena la Coppa del Mondo in Nuova Zelanda, rinviata di un anno per il Covid. Un anno intenso per le azzurre e per Andrea Di Giandomenico, il ct dell’Italdonne. E con lui abbiamo proprio parlato di che anno dobbiamo attenderci, e non solo.

Iniziamo, purtroppo, con un refrain che conosciamo bene. Si sperava di aver superato il momento più difficile e, invece, ancora una volta il campionato femminile è stato interrotto a causa del Covid. Come cambia la tua programmazione in vista del prossimo Sei Nazioni?

“Avevamo la partita in Spagna che sarebbe stata un’ottima occasione per dare dei minuti alle ragazze meno esperte e purtroppo è stata annullata per le vicende che ben conosciamo. Faremo comunque dei raduni, ma sicuramente non è facile, con le ragazze cui mancherà in parte l’approccio alla partita. Speriamo che a febbraio almeno si riprenda a giocare, ma sono sicuro che arriveremo al 100% a primavera”.

Parlando di Sei Nazioni, mancano poco più di due mesi al fischio d’inizio. Che torneo ti aspetti? Quanto influirà il fatto che quest’anno ci saranno anche i Mondiali?

“La riforma del torneo ha modificato tanto, ma credo che avremo la capacità di affrontare le prime tre partite consecutive, che sono anche tre impegni pesanti. Sicuramente il fatto che ci sia il Mondiale cambia qualcosa. Il Sei Nazioni non riesce a venir vissuto come un torneo di avvicinamento ai Mondiali, ma sicuramente nella mente di molti – anche inconsciamente – sarà la partenza di una rincorsa verso la Nuova Zelanda. Ci sarà una gestione delle giocatrici, maggiori minutaggi per chi ha meno esperienza”.

Come detto, questo è finalmente l’anno dei Mondiali in Nuova Zelanda, dopo il rinvio di un anno fa. Vi siete qualificate dopo un torneo non sicuramente facile contro Irlanda, Scozia e Spagna e, ora, affronterete Canada, Usa e Giappone. L’obiettivo è conquistare un posto nella top 8 mondiale. Cosa dobbiamo aspettarci dalle nostre avversarie?

“Paradossalmente abbiamo un girone di difficile interpretazione. Sulla carta tecnicamente l’idea può essere quella di un girone abbordabile, non abbiamo squadre come Inghilterra, Nuova Zelanda, Francia, ma anche Scozia e Galles, ma vorrei non passasse un messaggio sbagliato. Canada e USA hanno forse un gioco un po’ essenziale, ma hanno una presenza fisica importante che sarà la nostra sfida più grande. Il Giappone, anche se non ha una dominanza fisica importante, sicuramente sarà una squadra scomoda. Insomma, da un lato ci è andata bene, dall’altro dobbiamo prevenire un ottimismo esagerato e concentrarci su noi stesse, arrivando al meglio da un punto di vista fisico e tecnico. Dobbiamo costruire grossa consapevolezza e gestire al meglio ogni partita, perché si è visto nel torneo di qualificazione che ogni partita, ogni meta e ogni punto fa la differenza”.

Si parla spesso dei limiti del rugby femminile in Italia, con l’annosa questione del dilettantismo. Ma le ambiguità sul ruolo delle donne nella palla ovale riguarda molte nazioni, tra Federazioni che mettono sotto contratto atlete d’interesse nazionale e altre dove le polemiche sono costanti. Come vedi il futuro del rugby femminile sia in Italia, sia all’interno di come si muove il rugby mondiale?

“Ci troviamo in un periodo di passaggio, dove ci saranno ancora per qualche anno tanti paradossi, alcune scricchiolature. Da un lato credo sia molto leggibile la volontà di World Rugby e del Sei Nazioni stesso di far crescere il rugby femminile, con un torneo americano e anche il torneo globale che partirà nel 2023. Ci sarà una differenziazione maggiore con il rugby Seven, serviranno più atlete nel futuro e servirà uno sviluppo e un sostegno per farlo. Dall’altro, però, c’è ancora la necessità di far combaciare tutto ciò con le necessità di vita delle rugbiste. Ma credo che il percorso sia avviato e che in futuro si arriverà a una sostenibilità del movimento e, di conseguenza, delle atlete. Poi ci saranno processi di adeguamento che avranno tempi un po’ più lunghi e necessitano di analisi del contesto per raggiungere questa sostenibilità”.

Hai accennato ai progetti per il futuro di World Rugby. Possono essere un volano proprio per risolvere le ambiguità attorno al rugby femminile o rischiano di scontrarsi proprio con i limiti che il rugby femminile ha, a partire dalla possibilità delle ragazze di essere impegnate a tempo pieno nella palla ovale?

“È il grande quesito. Non so darti risposta, il rischio che si creino delle velocità diverse per diversi contesti, tra chi già è pronto e sfrutterà come acceleratore queste proposte e chi, invece, tentennerà. È la grande sfida, ma bisogna sostenere questo processo, accelerarlo e vincere la sfida di sostenibilità. Va fatta dall’alto un’analisi concreta e completa sulla sostenibilità e sul contesto in cui muoversi”.

Chiudiamo tornando al prossimo Sei Nazioni. In questi anni tu ci hai abituati a inserire nel gruppo azzurro tante giovani ragazze esordienti. Ovviamente questo è un anno particolare, con i Mondiali alle porte, ma hai un paio di nomi sul taccuino che dovremmo tenere maggiormente d’occhio e che scopriremo nei prossimi mesi?

“Ci sono tanti inserimenti negli anni passati e adesso necessitano di maggior minutaggio. Non chiudo la porta a nuovi esordi, ma credo che in questo momento serve far crescere chi ha già esordito e che ha bisogno di continuità anche in ottica futura”.

Foto: Valerio Origo – LPS

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