Pattinaggio Artistico
Pattinaggio artistico, Kamila Valieva vittima di una vicenda drammatica più grande di lei
La sensazione, riflettendo dopo il clamoroso quarto posto ottenuto alle Olimpiadi di Pechino 2022, è che sul caso riguardante Kamila Valieva sia mancato l’equilibrio. La fuoriclasse, appena quindicenne, come prevedibile non è riuscita a reggere la tensione nel segmento più lungo, apparendo irriconoscibile sul ghiaccio, maledettamente tesa, contratta e, poco concentrata.
Non poteva che andare così. La cavalcata olimpica della nativa di Kazan si è infatti arrestata molto tempo fa, precisamente l’8 febbraio scorso, quando è emersa in maniera prepotente la notizia del fallimento del suo test antidoping. Da quel momento in poi è cambiato tutto: le sorti della sua gara, la percezione del suo gruppo di allenamento, la veridicità dei record raggiunti nella stagione ancora in corso. Tutto sbriciolato.
Una piccola, fragile, ragazza in pasto al mondo intero, in primis a una stampa di matrice anglofona che non si è certo distinta per garbo e correttezza, arrivando ad alludere nelle battute iniziali della vicenda che la protagonista in questione in realtà facesse uso di sostanze stupefacenti, nello specifico marijuana a scopo ricreativo e spingendosi poi direttamente ancora oltre chiedendole face to face in mixed zone se fosse effettivamente dopata oppure no.
VIDEO Kamila Valieva non regge la tensione e scivola giù dal podio. Riviviamo la prova
Un cammino paradossalmente complicato dalla sentenza del CAS che ha dato ragione alla russa, consentendole di prendere parte a una gara che, con il senno di poi, non ha fatto altro che scoperchiare tutta la sua vulnerabilità, celandone proprio sul palcoscenico più importante, davanti agli occhi scettici di tutto il mondo, il suo talento smisurato.
Un caso dunque iniziato male, gestito peggio e concluso in uno scenario surreale: con una Campionessa Olimpica appena proclamata lasciata sola nel divanetto dedicato alle tre medagliate, con una Trusova in preda a una crisi nervosa (da valutare il motivo, c’è chi sostiene si sia disperata per il mancato podio della compagna di allenamento, chi per non aver conquistato l’oro) e una Valieva circondata da telecamere in una valle di lacrime. Non un bello spettacolo, non il massimo a livello comunicativo per uno sport così affascinante come il pattinaggio di figura.
Anche perché, in questo circolo vizioso, a risultare vittime sono proprio le pattinatrici, schiacciate da un sistema che deve per forza essere ripensato (non stravolto, ma ripensato) dopo questa Olimpiade. Ma non con interventi semplicistici e populisti come quello di innalzare l’età delle partecipanti (a memoria, sia Tara Lipinski che Oksana Baiul erano minorenni) ma andando a scavare alla radice, migliorando le falle di un regolamento ad oggi lacunoso e costellato da zone d’ombra, sia a livello internazionale che (e forse soprattutto) in quello delle Federazioni locali.
La minore età è una questione da affrontare cruciale e da tenere in considerazione, ma non può essere la panacea di tutti i mali. Anche perché, proprio in questo caso, i sedici anni di Valieva hanno creato un effetto boomerang: in pochi hanno fatto davvero scudo intorno alla piccola pattinatrice. I più critici non ci hanno pensato due volte ad attaccare invece che la diretta interessata, oltre che il team di lavoro, ad esempio la sua famiglia, accusando i parenti di essere responsabili dell’eventuale caso di doping senza nessuno straccio di prova, illazioni inaccettabili che non hanno fatto altro che mandare ancora più in tilt la nostra.
Valieva dunque in questi dieci giorni è stata cannibalizzata da un mondo malato, affamato di violenza digitale, di polemica, di odio, di giustizialismo. E adesso per lei si aprirà un’altra gara, quella giuridica, una gara che non avrà due segmenti, non uno short e un libero, ma tanti appelli, ricorsi, contro ricorsi, sentenze.
Riflettendo da garantisti, in ultimo, poniamo una domanda. Ma se analizzando il famoso campione B del test di dicembre si arrivasse ad attestare che la positività di Valieva era, in realtà, una falsa positività, chi darà indietro alla pattinatrice tutto questo? Chi restituirà anni e anni di lavoro, di sacrificio a una giovane sognatrice di soli quindici anni? Chi la ripagherà da questo tumulto, da questa logorroica cascata di sentenze emanate dal Tribunale dei social? Forse è meglio non pensarci.
Foto: LaPresse