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Sci di fondo, per l’Italia si prospetta un grande digiuno. Quella di Pechino 2022 sarà l’ultima medaglia olimpica?

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Pechino 2022 ha abbandonato l’ambito della cronaca per trasferirsi in quello della storia. Al riguardo, l’Italia dello sci di fondo ha saputo arpionare una medaglia, ovvero l’argento di Federico Pellegrino nella sprint. La speranza era quella di bissare il podio nella prova a coppie, ma la competizione si è rivelata troppo dura per il tandem composto dallo stesso Chicco e da Francesco De Fabiani. Quest’ultimo è stato il solo azzurro, oltre al corregionale, in grado di lasciare in qualche modo il segno, classificandosi ottavo nello skiathlon, seppur senza mai essere davvero in lotta per le medaglie. Peraltro, il più giovane dei due valdostani è rimasto al di sotto delle aspettative sia nella 15 km a tecnica classica che soprattutto nella sprint a coppie, arrivando a rinunciare alla 50 km mutilata.

Alla vigilia si sognava di raccogliere due medaglie, ma l’obiettivo più verosimile era di arpionarne una. Così è stato, anche se l’8 febbraio 2022 rischia di diventare uno spartiacque nella storia dello sci di fondo italiano, il cui filone metallifero appare prossimo all’esaurimento. Dopo l’oro ante litteram di Franco Nones nel 1968, tra il 1988 e il 2010 si è avuta una serie di cicli in grado di produrre la bellezza di 33 medaglie nell’arco di 22 anni. Il timore concreto è che il doppio argento di Pellegrino (2018, 2022) rappresenti il proverbiale canto del cigno di un settore in enorme sofferenza.

Difficile immaginare Chicco ancora competitivo per il podio a Milano-Cortina 2026, perché se mai dovesse essere ancora in attività, arriverebbe a quei Giochi olimpici all’età di 35 anni in una specialità dove già essere incisivi dopo aver scollinato le 30 primavere è un’eccezione. Guai a porre limiti alla provvidenza, ma la biologia spesso e volentieri è più forte delle ambizioni. Inoltre non si può chiedere a De Fabiani di essere ciò che non è, ovvero una carta da medaglia. Parliamo di un ottimo fondista, che per quanto incostante è in grado di garantire picchi di rendimento di alto profilo. Atleticamente ha però qualcosa in meno rispetto ai mostri sacri della disciplina. Se le gare assumono uno schema tattico particolare, oppure è dotato di materiali al di sopra della media, può dire la sua per il podio, altrimenti la dimensione dell’alpino di Gressoney è quella di lottare per un piazzamento nella top-ten.

Dietro a soliti due noti cosa c’è? Il deserto. Non si intravede neppure lontanamente un atleta in grado di raccogliere il testimone di chi, nel passato recente o remoto, ha saputo emergere in ambito globale. Al di là delle promozioni ad personam effettuate a mezzo social (e non solo) da genitori, parenti, amici o sci club legati a questo piuttosto che a quell’altra giovane, la realtà dei fatti è che lo sci di fondo italiano è in coma. Togliendo Pellegrino e De Fabiani, in campo maschile nessuno è stato in grado di entrare tra i primi 15.

Il coma è certificato da una serie di sintomi, che per anni sono stati ignorati da chi ha voluto essere compiacente con il sistema, salvo poi svegliarsi all’improvviso ora che i buoi sono scappati dalla stalla. In primis gli unici due uomini spendibili nei salotti buoni delle classifiche sono andati a chiedere asilo in Russia per preparare una stagione olimpica. Non per crescere esponenzialmente di colpi, bensì per confermare i risultati del passato! In secondo luogo a Zhangjiakou si è cinicamente, ma correttamente, deciso di sacrificare la staffetta in ottica team sprint, spendendo entrambi i big in alternato allo scopo di testarli in vista della prova a coppie. Una situazione avvilente per l’intero movimento. In terza istanza, nell’economia del settore femminile, l’Italia è ormai marginale ed è priva di qualsiasi peso concreto. Certo, in Coppa del Mondo arriva qualche discreto risultato di tanto in tanto, ma poca roba. Peccato, perché fra le donne in questo momento storico c’è tanto spazio per emergere. Il livello medio è bassissimo, come testimoniato dalla staffetta olimpica, dove si sono viste immagini inquietanti in merito allo stato di salute globale dello sci di fondo rosa. Le possibilità di arpionare risultati di grido anche se non si è scandinave o russe c’è. Citofonare Katharina Hennig e Victoria Carl per delucidazioni.

Però è inutile gettare la croce addosso agli atleti. Non si può mettere in dubbio il loro impegno. Le magagne sono altre.
Il problema è che i loro limiti sono quelli che vediamo.
Il problema è che la generazione attuale è stata costruita nel recente passato, quindi gli errori sono stati commessi anni orsono.
Il problema è che questi errori sono stati reiterati e rischiano di affondare sul nascere un’altra generazione.
Il problema è che il sistema del fondo italiano è un minestrone continuamente rimescolato, gestito di fatto da anni dal medesimo establishment che ha portato alla situazione attuale.
Insomma, se non si è ancora capito, le prestazioni dei Giochi olimpici sono il sintomo, non la malattia.
A essere malato è l’intero sistema italiano, che spinge i figli del ciclo precedente ad andare ad allenarsi  con i russi e non è più in grado di generare alcun ricambio. Perché? Se lo sapessimo, il guaio sarebbe risolto. Un suggerimento potrebbe essere quello di analizzare approfonditamente come vengono preparati i ragazzi e le ragazze nella cruciale fase dell’adolescenza. Da qui si può, forse, ripartire.

In conclusione, Pechino 2022 è andata come ci si aspettava che andasse. I risultati sono stati in linea con le aspettative della vigilia. Il dramma è che se le prospettive attuali dovessero essere confermate anche in futuro, l’8 febbraio 2022 rischia di restare a lungo come il giorno in cui lo sci di fondo italiano ha ottenuto la sua ultima medaglia olimpica.

Foto: La Presse

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