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Vela
America’s Cup, il vile denaro attanaglia New Zealand: dov’è il rispetto per il proprio Paese? Per 70 milioni in più
Il vil denaro preferito all’orgoglio nazionale. Soldo sonante anteposto alla Patria. Una scelta disonorevole e da autentici mercenari. Ci sentiamo di etichettare in questo modo la decisione di Team New Zealand: avevano la possibilità di difendere la Vecchia Brocca nelle acque amiche di Auckland e invece hanno portato la America’s Cup lontanissima da casa, optando per il Mar Mediterraneo.
Una presa di posizione decisamente discutibile da parte del sodalizio guidato dal CEO Grant Dalton, che non ha altre motivazioni se non quella del contante che porterà a casa facendo traslocare la competizione sportiva più antica al mondo: dal Golfo di Hauraki a Barcellona, a 19.000 chilometri di distanza dalla propria tana e dal proprio pubblico. Con 70 milioni di euro in più in tasca, va detto.
Ma ne valeva davvero la pena? Il malumore in Nuova Zelanda è palpabile: la vela è sport nazionale, Peter Burling e compagni rappresentano un orgoglio al pari degli All Blacks (la Nazionale di rugby) e le regate che andranno in scena tra un paio di anni in terra catalana potranno essere seguite soltanto nel cuore della notte ad Auckland e dintorni (sono avanti dodici ore rispetto a noi).
Sia chiaro: non si tratta di una novità inattesa, era chiaro già da nove mesi circa che la kermesse sarebbe volata verso altri lidi. L’ufficialità odierna della scelta di Barcellona mette semplicemente la ceralacca su una scelta che riteniamo irrispettosa nei confronti degli appassionati, degli investitori locali, della propria Nazione. La Coppa America è un volano per l’economia locale e per il turismo, sarebbe stata una boccata di ossigeno dopo la pandemia.
Barcellona giustamente esulta (e ne ha ben ragione), Auckland si lecca le ferite per la fuga dei propri beniamini, da oggi forse meno eroi nell’immaginario collettivo. Il Governo guidato da Jelinda Ardern, sempre più gradita alle proprie latitudini, aveva fatto le sue offerte, ritenute insufficienti da Grant Dalton. Meglio i 70 milioni di euro messi sul piatto da Barcellona (doveroso fare i complimenti alle istituzioni locali e ai fondi privati per avere trovato le coperture finanziarie in un momento così complicato) che il sostegno e l’affetto del proprio popolo, oltre alla possibilità di aiutare i propri concittadini…
Per qualche dollaro in più. Per una manciata di oro in più in tasca. Ritenuta necessarie per imbastire una campagna degna di nota per cercare di conservare la Coppa delle 100 Ghinee. Per snaturare il romanticismo insito nella competizione sportiva più antica al mondo, quella America’s Cup nata addirittura nel 1851 e che ha mantenuto intatto il suo fascino nonostante il rapido mutare di tempi, usi, costumi, tradizioni. E dire che il CEO si è nascosto dietro al dito del “il nostro intento è quello di fare crescere in generale la competizione“…
Team New Zealand stavolge il diritto del detentore di gareggiare in casa. Lo aveva dovuto fare Alinghi nel 2007 e nel 2010 poiché la Svizzera non ha sbocchi sul mare. Lo avevano fatto anche gli statunitensi di Oracle, ma si spostarono nelle vicine Bermuda nel 2017 (perdendo contro i Kiwi). Agli amici neozelandesi auguriamo delle buone nottate per seguire Peter Burling e compagni nella difesa del titolo contro chi avrà la meglio tra gli sfidanti. Gli italiani non hanno fatto mancare il loro supporto a Luna Rossa nelle freddi notti del 2021. Con una convinzione: se i ragazzi di Max Sirena avessero trionfato dodici mesi fa, la Coppa America si sarebbe disputata al largo delle coste italiane. Il mercenariato non avrebbe trovato proseliti.
Foto: Lapresse