Biathlon
Biathlon, il post di Darya Domracheva esempio di come, in tempo di guerra, il giornalismo si tramuti in propaganda
Nella serata di martedì 22 marzo Darya Domracheva ha scritto un lungo post su Instagram, accompagnato da un’inequivocabile immagine di una colomba che spicca il volo, con argomento l’invasione russa dell’Ucraina. Il fatto che la trentacinquenne di Minsk, vincitrice di 4 ori olimpici, prenda posizione sull’argomento non è certo banale. Dasha è un’autentica eroina nazionale in Bielorussia, ovvero la più stretta alleata della Russia in questa operazione militare cominciata ormai un mese fa. Dunque le sue parole hanno giocoforza un peso nazionalpopolare. Ebbene, non ha espresso concetti particolarmente sconvolgenti, ma a colpire è il modo in cui sono stati riportati dai media. Le reazioni suscitate dal suo post sono un autentico saggio su quanto possa essere distorto il giornalismo in tempo di guerra.
Domracheva scrive. “Alla luce della situazione di conflitto in Ucraina, è difficile pensare a qualcosa di piacevole. Sono preoccupata, ma credo che la guerra finirà e la pace tornerà presto. Purtroppo il bilancio delle vittime è catastrofico già oggi. Nessun traguardo politico dovrebbe portare alla perdita di vite umane. La vita è un bene inestimabile e certe persone dovrebbero ricordarselo, cercando di risolvere le discordie in maniera civile. Parlando di sport, ritengo ci sia stata un’assoluta ingiustizia nei confronti di atleti che non hanno supportato la guerra, sono contrari alla soluzione militare come strumento di risoluzione delle diatribe, amano lo sport e dedicano la vita a esso. Questa guerra ha già distrutto molte vite, ma proprio per questo perché si cerca di rovinare anche quella di chi non è colpevole di questa situazione? Credo sia davvero ingenuo pensare che rimuovere bielorussi e russi dalle competizioni di carattere internazionale possa aiutare a porre fine al conflitto. La mia opinione è che queste azioni non facciano altro che aumentare la discordia”.
Lo sport può portare la pace nel mondo. Può unire, non dividere. Io invito a cogliere questa opportunità. Mi piacerebbe vedere punizioni, sospensioni e misure disciplinari per violazioni specifiche commesse da determinate persone. È triste leggere le parole di atleti che applaudono a queste decisioni. Persone che sul podio stringevano la mano agli avversari, si davano una pacca sulla spalla e parlavano dei momenti più difficili della gara. Ora invece c’è chi tira calci agli altri per eliminarli dalla contesa. Cominciamo noi sportivi a dare un segnale di distensione, chissà che il mondo attorno non possa migliorare di conseguenza”.
Insomma, Dasha punta il dito contro le sanzioni emesse dalle autorità sportive nei confronti degli atleti russi e bielorussi, lamentando anche il supporto di colleghi di altri Paesi che le applaudono. Ne fa una questione umana, ragionando sul singolo e non sulla bandiera. Al tempo stesso, però, parla apertamente di “guerra in Ucraina”. Non è una locuzione banale visto che, come ben sappiamo, in Russia e in Bielorussia utilizzare il termine “guerra” per quanto sta avvenendo è di fatto vietato per legge (soprattutto a Mosca). Inoltre la condanna senza se e senza ma. Il focus del post è in ogni caso l’embargo posto verso gli uomini e le donne di una determinata nazionalità. Un messaggio lanciato in nome degli atleti da chi atleta è stata e ragiona con la medesima forma mentis.
Orbene, a colpire è il modo in cui il post è stato presentato dai media, siano essi russi od occidentali. In Russia la notizia è stata “Darya Domracheva contro l’embargo imposto ai nostri atleti”. Le parole della quattro volte campionessa olimpica vengono quindi usate per perorare la causa di chi è stato sanzionato. In Norvegia, Paese a cui Dasha è legata avendo sposato Ole Einar Bjørndalen, invece la notizia è stata “Darya Domracheva condanna la guerra in Ucraina”, ponendo l’accento sulla prima parte del post. In questo modo la trentacinquenne di Minsk è stata dipinta come una sorta di dissidente.
In realtà la vincitrice della Coppa del Mondo 2014-15 non ha preso alcuna posizione politica, ma ha espresso opinioni di carattere personale, mettendosi poi nei panni di chi si è visto escluso a priori dalle gare di livello internazionale, senza alcuna colpa specifica, solo sulla base del proprio passaporto. Sì ha condannato l’embargo, ma partendo da presupposti che esulano dal conflitto. Sì ha stigmatizzato la decisione di ricorrere alle armi, ma facendone un discorso generale più ampio del caso di specie.
Proprio per questo ci troviamo di fronte a una lezione di giornalismo che dovrebbe far riflettere. Un’opinione personale, basata su concetti fondati sul buonsenso e sulle individualità, è stata presentata dai media in un senso piuttosto che in un altro, dando un’interpretazione dei pensieri di Dasha, i quali non sono stati travisati, ma “solo” confezionati in maniera tale da tirare acqua al proprio mulino. Indice di come, in tempo di guerra, l’informazione si tramuti facilmente, seppur con toni e modi molto diversi, in propaganda.
Anche questa è una goccia nell’oceano di come, quando scoppia un conflitto armato, la prima vittima sia sempre la verità. Proprio questo rende il panorama ancora più inquietante, perché se un post su Instagram di un’ex atleta viene sfruttato in un senso o nell’altro, figuriamoci cosa può accadere con altri avvenimenti…
Foto: La Presse