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Biathlon, la stella Dorothea Wierer sta per tramontare. Serve recuperare Vittozzi e far crescere Giacomel e Bionaz

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La Coppa del Mondo di biathlon si è conclusa nella giornata di ieri a Oslo, dove il francese Quentin Fillon Maillet e la norvegese Marte Olsbu Røiseland sono stati incoronati come nuovi monarchi della disciplina. Il transalpino succede a Johannes Bø, il cui regno è durato tre stagioni, mentre la scandinava eredita lo scettro dalla connazionale Tiril Eckhoff. Nel 2021-22 nessun azzurro, uomini o donne non fa differenza, è mai stato veramente in lotta per la conquista della classifica generale. Non sono però mancati i risultati di rilievo. In chiave Italia complessivamente resta un po’ di amaro in bocca, perché un paio di grandi soddisfazioni sono sfumate proprio in extremis, ma non si può sempre pretendere che vada tutto per il verso giusto come accaduto nel 2019 e nel 2020, soprattutto in uno sport dall’altissima aleatorietà qual è il biathlon. Andiamo, dunque, ad analizzare nel dettaglio i connotati dell’inverno appena concluso.

Partiamo giocoforza da Dorothea Wierer, che rimane la stella dell’intero movimento. L’esperta altoatesina ha concluso la classifica generale al di fuori della top-five per la prima volta dopo sette anni, soprattutto perché a differenza delle abitudini è partita piano e non fortissimo. Poco male, l’obiettivo principe era conquistare una medaglia olimpica individuale ed è stato centrato grazie al bronzo della sprint. Basta questo a rendere positivo il bilancio della sua stagione. Peccato solo per l’inseguimento di Zhangjiakou, che per come si era messo avrebbe potuto regalare una seconda grande gioia a Cinque cerchi.

La veterana di Rasun-Anterselva ha rappresentato una certezza assoluta per almeno un quadriennio. Le sue performance hanno sovente tolto le castagne dal fuoco all’intero movimento, facendo talvolta da scudo a tutto l’ambiente. Cionondimeno tra pochi giorni Wierer festeggerà i 32 anni. La sua carriera proseguirà, oppure appenderà sci e carabina al chiodo? La decisione arriverà solo a primavera inoltrata, ma qualunque sia bisogna prendere atto che Dorothea non è eterna. L’orologio biologico non è uguale per tutti, però prima o poi l’ora del declino scocca per chiunque.

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È ancora troppo presto per dire se il 2021-22 ha rappresentato l’inizio della parabola discendente della biathleta azzurra più grande di tutti i tempi. Il carburante per qualche ultima fiammata potrebbe esserci ancora, tuttavia è palese come Wierer sia più vicina alla fine della sua carriera che all’inizio della stessa. Dunque, in casa Italia, non si può pensare di contare perennemente su Santa Dorothea, il cui rendimento ha spesso salvato capra e cavoli. Bisogna cominciare a ragionare sul “dopo”. Come?

In primo luogo è imperativo recuperare Lisa Vittozzi. Dopo aver chiuso il 2017-18 al 6° posto nella classifica generale, raccogliendo nell’arco della stagione 3 podi e 13 piazzamenti nella top-ten, la veneta di scuola friulana cominciò il quadriennio olimpico con un 2018-19 da urlo, durante il quale indossò il pettorale giallo e si giocò la Sfera di cristallo sino all’ultima tappa. La sappadina concluse la classifica generale di quell’inverno in 2a posizione, arpionando 2 vittorie, 6 podi (compreso un argento iridato) e 16 piazzamenti nella top-ten. Alla luce dell’età (24 anni) e della continua progressione che l’aveva caratterizzata sin dall’esordio nel massimo circuito, sembrava destinata a restare in pianta stabile nell’empireo del biathlon, tanto da poter mirare a traguardi ambiziosissimi.

Invece un meccanismo apparentemente perfetto si è inceppato e, anziché venire riparato in tempi brevi, ha continuato a girare in maniera controproducente, generando una spirale negativa. Il 2019-20 è andato in archivio con il 10° posto nella classifica generale, 2 podi e 9 top-ten. Un rendimento deludente se raffrontato a quello del biennio precedente, ma che riletto con i canoni odierni assume addirittura contorni soddisfacenti. Il 2020-21 si è difatti chiuso con la 16ma piazza nella graduatoria assoluta, 1 podio e 4 top-ten. Ancora peggio è andato il 2021-22, terminato con la 31ma posizione in classifica generale, nessun podio per la prima volta dopo sei anni e due soli top-ten.

Chiaramente, le ragioni di questo regresso sono tutte da ricercarsi nella precisione al poligono, passata dall’88% del 2018-19 al 71% odierno. Un dato però da declinare, perché se in piedi la fluttuazione è stata ridotta, a terra le percentuali sono precipitate di quasi 30 punti. Nelle gare individuali siamo giunti a un’agghiacciante 55%, con il quale non si può essere competitivi in alcun modo.

La domanda da porsi è una sola e, a seconda del riscontro, se ne genera conseguentemente un’altra. Può Lisa Vittozzi essere ricostruita dopo questa autentica implosione, priva di precedenti nella storia del biathlon? Il soggetto ha 27 anni, non è più una ragazzina. Però, al tempo stesso, non è ancora troppo tardi e Milano-Cortina arriverà quando avrà 31 primavere, età che nel biathlon moderno può rappresentare la piena maturità agonistica. Se la risposta al quesito di cui sopra è , allora bisogna fare di tutto affinché l’atleta possa invertire una tendenza che, di fatto, l’ha portata a perdere tre anni di carriera. Stiamo parlando di un patrimonio italiano delle discipline invernali, perché è verosimile come il potenziale del 2018-19 ci sia ancora, seppur in stato di latenza. Se invece la risposta alla domanda di prima è no, allora bisogna comprendere chi sono i responsabili di questo scempio (ammesso ci siano) e impedire loro di fare altri danni, perché affossare un talento del genere è un autentico crimine sportivo.

“Fare altri danni” significa, soprattutto, mettere a repentaglio il futuro del settore maschile. Ed è questo il secondo campo dove costruire il post-Wierer. Tommaso Giacomel si è fatto notare in positivo, proponendosi occasionalmente nella top-ten e iniziando a qualificarsi alle mass-start. Magari qualcuno si aspettava di più, ma a costoro è sufficiente porre una domanda. Quali e quanti atleti coetanei o più giovani del trentino hanno ottenuto risultati migliori? Mentre aspettiamo i nomi, che tarderanno ad arrivare perché non ce ne sono, va sottolineato come il quasi ventiduenne di Imer sia all’inizio del proprio percorso agonistico, dove alti e bassi sono fisiologici. Certo, guardando in una prospettiva più a lungo termine, è chiaro che le percentuali al poligono non sono di eccellenza assoluta (da tre anni si galleggia attorno al 75%). Sarà questo il campo dove si giocherà la partita in merito alla dimensione futura del ragazzo. È destinato a rimanere una mina vagante, oppure può diventare una carta da top-ten in ogni gara?

Il coetaneo Didier Bionaz ha invece incamerato un 2021-22 in cui ha fatto più fatica del previsto. Ci può stare, la crescita non è per forza di cose lineare e progressiva, soprattutto in un contesto come quello dell’attuale biathlon maschile, dove la competitività è esasperata. L’importante è capire cosa non è andato per il verso giusto e porvi rimedio, in maniera tale da ricominciare la scalata verso i vertici della disciplina. Non può essere un’annata sottotono a far dubitare del talento del valdostano, altro patrimonio da valorizzare da qui al 2030 e oltre.

Restando sul settore maschile, è indubbio come la stagione di Lukas Hofer sia stata inferiore a quella precedente. Sicuramente l’infortunio patito alla spalla in autunno ha condizionato in negativo il rendimento del trentaduenne altoatesino nella prima metà dell’inverno. Dispiace non sia arrivata una medaglia olimpica, comunque sfiorata nell’inseguimento. Quel 4° posto al termine di una prova perfetta rimane una performance da applausi e dimostra come il veterano di San Lorenzo di Sebato abbia ancora del potenziale da mettere in campo nel prossimo futuro, a differenza del coetaneo Dominik Windisch, che ha deciso di dire addio.

Il bronzo olimpico 2018 nella sprint, nonché oro iridato 2019 della mass start, ha zittito i detrattori che ne chiedevano l’accantonamento riguadagnandosi il posto in Coppa del Mondo a dicembre, quando era stato retrocesso in Ibu Cup, e soprattutto chiudendo 5° la partenza in linea dei Giochi di Pechino, a dimostrazione di come la classe non sia acqua e, per quanto imbolsito, resti un cavallo di razza. Saggiamente Dominik ha scelto di farsi da parte, conscio di aver davvero imboccato la parabola discendente. Meglio salutare adesso, con dei risultati di peso al proprio attivo, anziché trascinarsi tristemente nei bassifondi delle classifiche.

È invece indiscutibilmente positivo l’inverno di Thomas Bormolini, che ha mandato in archivio la miglior stagione della sua carriera. Basta un dato per dimostrarlo. Il valtellinese gareggia in pianta stabile in Coppa del Mondo dal 2014 e, da allora, si è classificato per 40 volte fra i primi trenta. Ebbene, di questi piazzamenti nella top-thirty, 19 sono arrivati nel 2021-22! In altre parole, solo nell’ultima stagione il trentenne lombardo ha raccolto un numero di ingressi tra i migliori trenta quasi pari quasi a tutti quelli arpionati nei sette anni precedenti messi assieme! È mancata solo la proverbiale ciliegina sulla torta, ovvero il primo top-ten della carriera, ma potrebbe esserci spazio per riuscirci l’anno prossimo.

Sono questi quattro, Hofer, Giacomel, Bormolini e Bionaz, i perni della squadra maschile del futuro. L’esclusione della Russia dalle competizioni di carattere internazionale ha consentito all’Italia di salire in quinta posizione nella Coppa per Nazioni, guadagnandosi quindi il diritto alla quota massima nell’inverno 2022-23. Ciò significa che potranno esserci fino a 6 azzurri al via di ogni gara con partenza a intervalli. Un’ottima notizia per l’intero movimento, poiché ci sarà spazio di manovra per schierare nel circuito maggiore anche chi, sinora, ha avuto poche possibilità, come Daniele Cappellari e Patrick Braunhofer. Ci sarà anche la chance di impiegare al piano superiore un paio di classe 2000 meno precoci rispetto a quelli che già vediamo con costanza, ovvero Michele Molinari e David Zingerle.

Attenzione però. Potere non significa dovere. Quindi poter avere sei atleti al via, non vuol dire dover usare sempre e comunque tutti i pettorali a disposizione. Al di là delle critiche che possono essere mosse al management della squadra italiana, bisogna comunque riconoscere il pregio di aver quasi sempre valorizzato la convocazione per la Coppa del Mondo. Nel massimo circuito gareggia chi può avere il livello per lasciare un segno. La speranza è che si persegua questa filosofia anche nell’immediato futuro, in quanto rappresenta un bastione contro la deriva da “ufficio di collocamento” e da “minimo sindacale” che ha ormai travolto altri ambiti sportivi, anche cugini (per non dire fratelli) del biathlon, dove è sufficiente essere il quarto o il quinto d’Italia per essere schierati in ambito internazionale, nonostante si faccia semplicemente da riempitivo nelle liste di partenza. Dunque, avere 6 posti è un’ottima novità, ma il consiglio è di considerarla un surplus, un tesoretto da gestire con acume per il bene di tutto il settore.

Prima di concludere è doveroso tornare alle donne, perché Samuela Comola ha saputo alzare la propria asticella sino a diventare un’atleta in grado di raccogliere punti in Coppa del Mondo e di rappresentare una solida frazionista in staffetta. Il 2021-22 è stato trionfale per sue le potenzialità. Quali possono essere i suoi margini di crescita? Dopotutto ha 24 anni e, in prospettiva, avere una versione femminile di Bormolini proprio male non farebbe. Peraltro la valdostana si è presa la soddisfazione di bagnare il naso alle più quotate, o chiacchierate, Michela Carrara e Irene Lardschneider, pressoché disperse negli ultimi mesi. Al contrario, va rimarcato come la cestinata Federica Sanfilippo abbia avuto la forza di rialzarsi e di dimostrare di essere ancora tra le quattro italiane più forti, nonostante i 31 anni d’età e un’incisività che non è più quella dei giorni migliori. Si vedrà quali saranno le decisioni primaverili della veterana della Val Ridanna, presasi una piccola-grande rivincita su chi l’aveva accantonata.

Dietro c’è un sottobosco da coltivare. Cosa possono valere e dove possono arrivare le ragazze nate nel XXI secolo? Dal terzetto composto da Rebecca Passler, Linda Zingerle e Hanna Auchentaller in tanti si aspettavano molto di più di quanto raccolto. A torto o a ragione? Di certo c’è che soprattutto la prima ha perso un anno e probabilmente non per colpe sue. Troppo brutta per essere vera la Passler del 2021-22. Aspettiamo e vediamo quale sarà l’evoluzione di ognuna di loro, così come delle sorelle Trabucchi e, guardando in una prospettiva più a lungo termine, delle sorelle Scattolo. Serve pazienza, affrettare i tempi non ha alcun senso. Così come non ha senso lasciarsi andare sulle ali dell’entusiasmo per qualche botto giovanile, o al contrario deprimersi se i risultati non arrivano immediatamente a livello senior. Stiamo parlando di un gruppo composto da chi è poco più che ventenne, oppure è ancora una teenager. Qualcosa di buono può venire fuori, ma se ne parlerà nell’avvenire.

Foto: La Presse

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