Ciclismo
Damiano Caruso: “Mi dispiace non fare il Giro. Mancano i giovani italiani? Non c’è un vivaio di riferimento”
Damiano Caruso è uno dei più forti e apprezzati interpreti del nostro ciclismo. Il corridore ragusano (il professionista più a sud d’Europa, ndr) della Bahrain-Victorious nel 2020 è stato il migliore italiano sia al Tour de France che al Mondiale di Imola dove ha chiuso in decima posizione. Poi il Giro d’Italia 2021 dove è riuscito a fare qualcosa di immenso che resterà per sempre nella storia del nostro sport, vincendo in cima all’Alpe Motta e arrivando secondo alle spalle di Egan Bernal nella generale. Caruso è il simbolo del ciclismo forte, di chi da ragazzino ha lasciato la propria casa per una corsa, per un posto in squadra. Ha studiato ed è diventato grande, ha fatto il suo dovere con sacrificio e passione per inseguire il suo sogno. Poi il ritorno a casa con la consapevolezza di aver compiuto qualcosa di grande dopo una vita da gregario per grandi capitani.
Come stai Damiano?
“Bene, non c’è male. Sono in viaggio e sto tornando a casa (dopo la Tirreno-Adriatico, ndr)”.
Quali sono le sensazioni di questo inizio di stagione?
“Le sensazioni sono più che positive perché ho avuto un inverno come l’ho cercato e quindi tranquillo nella prima parte, per poi proseguire con un blocco di altura al Teide e poi sono andato direttamente alla Ruta del Sol. Già in questa prima corsa avevo percepito di essere a buon punto, alla Tirreno-Adriatico è arrivata la conferma. Non ero lì come capitano, ma come spalla per Landa e Bilbao. Il livello medio alla Tirreno era molto alto e noi siamo riusciti a portare a casa una buona settimana. Chiudere con una top-ten è un buon segnale che mi dà morale per il prosieguo di stagione”.
Adesso come proseguirà il tuo calendario? Non ti vedremo alla Corsa Rosa ma sarai al via del Tour de France?
“L’obiettivo di questa stagione per me sarà il Tour. Prima però sarò al via della Milano-Sanremo, al Giro di Sicilia con la Nazionale e poi Giro di Romandia. Dopodiché mi fermerò un po’ per poi ricominciare con l’altura e poi Giro di Svizzera, Campionato Italiano e Tour de France”.
Cosa significa per te non aver la possibilità di cercare di riconfermare il podio ottenuto lo scorso anno al Giro? Sarebbe potuto essere alla tua portata?
“Un po’ mi dispiace soprattutto perché mi sarebbe piaciuto ricambiare l’affetto ricevuto lo scorso anno dal pubblico. Naturalmente però bisogna sempre trovare un compromesso tra quello che voglio fare io e quello di cui ha bisogno la squadra. Al Tour non curerò la classifica generale, ma mi piacerebbe vincere una tappa anche perché questo vorrebbe dire essere riuscito a vincere una tappa in tutti e tre i Grandi Giri. Mancano ancora un po’ di mesi, ma l’idea è questa. Il Giro? Magari torno l’anno prossimo. Non so se quest’anno sarei riuscito a ripetere il podio, sicuramente se fossi stato al via della Corsa Rosa avrei provato a riconfermare il podio anche se non sarebbe stato semplice. Più abbordabile una top5”.
Non ti piacerebbe ricoprire il ruolo di capitano in squadra, soprattutto dopo il secondo posto della scorso anno al Giro?
“Quest’anno farò 35 anni e quindi travolgere quella che è sempre stata la mia carriera da gregario non è semplice. Mi sto facendo valere e mi sto togliendo delle belle soddisfazioni. Capitano poi lo si può sempre diventare strada facendo, come è successo lo scorso anno al Giro d’Italia”.
Cosa preferisci tra Giro e Tour?
“Sicuramente il Giro, non tanto per il podio dello scorso anno, ma per il fatto che si corre in Italia, sulle strade di casa, mi piace il calore del pubblico a bordo strada e anche a livello tecnico lo preferisco rispetto al Tour, i percorsi sono più adatti alle mie caratteristiche e fa meno caldo rispetto a luglio. Anche il Tour però ha il suo fascino”.
Siamo negli anni del ricambio generazionale. Cosa pensi di questi giovani che stanno emergendo?
“Wow! Questo penso (ci dice ridendo, ndr). Questa settimana ho avuto la possibilità di correre a stretto contatto con ragazzi come Pogacar, Evenepoel, Vingegaard giusto per citarne alcuni. E’ il nuovo che avanza, è normale che sia così. La differenza rispetto a dieci anni fa? I ragazzi oggi maturano prima e sono vincenti sin da giovanissimi. Questo è il nuovo ciclismo a cui tutti ci dobbiamo adattare”.
Stiamo vedendo tanti giovani campioni stranieri e pochi italiani. Come mai?
“Non lo so, ma mi piacerebbe capire il perché. Secondo me parte tutto dal fatto che in Italia non ci sia una vera e propria scuola con una squadra World Tour e un suo vivaio di riferimento. Per le corse a tappe oggi abbiamo dei buoni elementi come Ciccone, ma non abbiamo il fenomeno di turno. Magari arriverà…”.
Con Vincenzo Nibali invece che rapporto hai?
“Con Vincenzo ho un buon rapporto, ci sentiamo e confrontiamo spesso anche su aspetti non inerenti al ciclismo”.
C’è un momento insieme a lui che porti più nel cuore?
“Il Giro d’Italia 2019 in maglia Bahrain-Merida. Abbiamo vissuto tutta la stagione a stretto contatto e poi trovarsi al Giro a lottare per la vittoria finale è stato un periodo molto importante e cha ha fortificato anche la nostra amicizia”.
Foto: Lapresse