Tennis
Coppa Davis, Diego Nargiso: “Volandri non può fare tutto. Il doppio è un altro mondo: serve un progetto”
Il tennis e la Coppa Davis al centro dell’ultima puntata di Sport&Go2U, trasmissione condotta da Alessandro Aita e Giandomenico Tiseo andata in onda lunedì 7 marzo. Tra gli ospiti che si sono succeduti durante l’ora di diretta, si sono aperti i giochi con un esperto del settore come Diego Nargiso, facente parte di quell’Italia che arrivò in finale di Davis nel 1998 (conquistando l’unico punto contro la Svezia) e ora allenatore e voce di Supertennis. Vi riportiamo l’intervista, in cui c’è un’interessantissima visione sul doppio azzurro in chiave presente e futura.
Una vittoria faticosa con la Slovacchia, ma che alla fine è arrivata. Quale è per te il lato più positivo di questo weekend?
“La cosa più interessante che traspare da questo appuntamento è quella di un gran gruppo di ragazzi che sta molto bene insieme. Quando c’è questa forza di squadra alla fine arrivano le risposte giuste, così come è stato. Ci sono due, anzi tre leader comprendendo Fognini, Berrettini e Sinner, ed una serie di giovani che sono a ruota di questi giocatori. La cosa che funziona di più è proprio quest’ambiente, che comprende anche una sana rivalità, questo è sempre uno sport individuale. Ma poi, in occasioni come queste, emerge l’unità di intenti, come visto ad ogni punto vincente della squadra“.
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Parallelismi con quella squadra che arrivò in finale di Davis contro la Svezia?
“Questa squadra è più forte della nostra. Noi non avevamo due giocatori ai primi 10 al mondo. Il parallelismo però può starci: noi come loro avevamo stretto un vero e proprio patto d’acciaio, dove ci si preparava e si lavorava tutti insieme. I nostri allenatori erano spesso presenti e si correva per andare in Nazionale con la voglia di stare insieme agli altri, quando non si veniva chiamati ci si rimaneva male. Ai tempi arrivammo vicini a un gran successo, ma purtroppo Gaudenzi si fece male proprio il giorno della finale. Arrivavamo con la Svezia sfavoriti per profilo tecnico, ma giocavamo in casa, dove non perdevamo da tempo. Purtroppo è andata in quel modo, ma speriamo di poter vincere un successo del genere da spettatori e addetti ai lavori”.
Il nostro tallone d’Achille rimane però il doppio.
“All’epoca il doppio si giocava il secondo giorno ed era un po’ il match che indirizzava la sfida. Quando riesci ad andare sul 2-1 i singolaristi poi, generalmente, vanno in campo con più serenità. Oggi invece, con la formula a tre partite delle fasi finali, acquisisce ancora più peso. Le grandi Nazionali hanno tutte un doppio davvero forte. Abbiamo bisogno di costruire, oltre a Fabio e Simone, un’alternativa a loro“.
Come costruire questo eventuale doppio?
“Con una certa progettualità. In una Davis come quella odierna, dove giochi tre o quattro partite nel giro di una settimana per poi fare semifinali e finali, i singolaristi perdono energie anche se si gioca due set su tre, perché in Davis c’è un’ansia che ti mangia. Negli ultimi appuntamenti i nostri singolaristi hanno anche disputato partite di doppio, e nella maggior parte dei casi è un impegno che ti prosciuga. Il doppio ad oggi è vitale, è necessario un progetto incentrato su questa disciplina. Il che non vuol dire giocare ogni tanto, ma giocare tanti tornei insieme, allenarsi insieme. L’ho detto a Torino e lo ribadisco: ci vorrebbe un allenatore dedicato, dei giocatori che seguono costantemente questo progetto. E purtroppo Filippo (Volandri, ndr) non può fare tutto: già è direttore tecnico e segue dunque tutti i giocatori italiani, segue i giovani… se dovesse seguire anche il doppio diventerebbe, per questioni organizzative, una questione al di fuori delle sue possibilità. Sia chiaro, potrebbe tranquillamente ‘suggerire’ delle coppie, con i giocatori che reputa più adatti per l’obiettivo e rimanendo a strettissimo contatto con il lavoro fatto, ma credo ci voglia una persona dedicata. Io conosco bene Filippo, ho fatto parte del suo periodo tennistico più florido, ed è stato un gran singolarista. Il doppio però non era il suo pane quotidiano: per poter seguire la creazione e crescita di questo aspetto della Nazionale, avrebbe bisogno di tempo e di qualcuno che lo affianchi, perché il doppio è praticamente un altro sport: avere un aiuto sarebbe fondamentale”.
Quindi per adesso, bisogna incrociare le dita per la coppia Bolelli-Fognini.
“Certo, ma loro due sul cemento indoor non hanno fatto grandi risultati. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, la Coppa Davis si gioca nelle sue fasi finali sul cemento indoor, su campi rapidi e veloci. Sia Fabio che Simone prediligono terra e cemento all’aperto. Le coppie moderne, come Herbert-Mahut per dirne una, sono giocatori che sono sempre dentro al campo, sempre in aggressione dello scambio. Infatti abbiamo fatto una fatica pazzesca, nonostante abbiamo giocato bene, con due giocatori ‘soltanto’ buoni in questa specialità come Polasek e Zelenay. Soprattutto il secondo, attorno alla centocinquantesima posizione del ranking, ha fatto la differenza con noi perché è abituato a giocare in doppio. Se gli metti contro Sinner, che esagerando fa dieci doppi l’anno, è normale che al momento opportuno Jannik non ha l’illuminazione della scelta giusta, anche per le sue caratteristiche tecniche, quindi fa quello che sa fare come martellare da fondo. Poi quando si tratta di fare qualcosa a cui non è abituato, si rischia l’errore come la volée sul 4-3 del tie-break o su una palla break nel primo set. Ma non è perché Sinner non abbia capacità, ma solo perché ha bisogno di un tot di tempo per imparare quelle meccaniche e per poi applicarle in partita”.
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Foto: LaPresse