Sci di fondo
Sci di fondo. La triste parabola dell’Italia, da gioiello a sgorbio. Può una Fenice azzurra risorgere dalle ceneri?
La Coppa del mondo di sci di fondo si è conclusa in anticipo domenica 13 marzo. Tanto si è detto dei mali che affliggono la disciplina, la quale assomiglia a una corsia d’ospedale per quanto sta soffrendo. Cionondimeno, all’interno di questo ipotetico sanatorio c’è una malata apparentemente in fase terminale. Parliamo dell’Italia, che ha archiviato l’ennesima stagione negativa. Perché non può essere definito altrimenti un inverno in cui, come avviene da troppo tempo, Federico Pellegrino è stato l’unico in grado di lasciare veramente il segno.
Il valdostano è andato all-in sui Giochi olimpici di Pechino, fregiandosi di un luminosissimo argento. Però altri acuti non ne sono arrivati e l’impressione è che Chicco inizi a mostrare la corda, come è normale che sia. Ha 31 anni ed è specialista di un format dove la biologia generalmente non consente di essere competitivi molto a lungo. Certamente esistono le eccezioni, ma prima o poi la natura fa il suo corso e, in tal senso, il futuro non è roseo. Ai Mondiali 2023 la sprint sarà a tecnica classica, mentre nel 2024 non ci saranno medaglie in palio. Vero che il prossimo anno la prova a coppie sarà nell’amato skating, ma servirà comunque un compagno all’altezza della situazione.
Certo, c’è Francesco De Fabiani, ma sono più i grandi appuntamenti in cui nella team sprint ha incassato di quelli in cui ha colpito. Dopotutto, degli ultimi quattro, solo Seefeld 2019 è andato per il verso giusto. Come Pellegrino, anche l’alpino di Gressoney ha deciso di andare ad allenarsi con Markus Cramer e svariati atleti russi. Però a differenza di quanto accaduto con il conterraneo, che ha centrato il proprio obiettivo stagionale salendo sul podio olimpico, per il più giovane dei due valdostani si può parlare di esperienza improduttiva. Le cose non hanno funzionato, perché se la mossa doveva servire a effettuare il salto di qualità, questo proprio non si è visto. Anzi. Quando mai De Fabiani ha lottato per il podio? È arrivato qualche piazzamento di prestigio qua e là, ma niente di molto diverso da quanto aveva già realizzato negli anni scorsi senza la consulenza di rinomati tecnici stranieri. Guardando al resto del movimento, si andrebbe solo a ripetere concetti che chi scrive ha più volte espresso nell’ultimo anno e mezzo. Prima di proseguire la riflessione, è bene riproporre il link all’articolo pubblicato subito dopo la fine dei Giochi olimpici, giusto per ribadire il tutto ancora una volta.
C’è chi tacciò l’articolo di disfattismo, sventolando poi la medaglia d’argento conquistata da Elia Barp ai Mondiali junior pochi giorni dopo come la dimostrazione del fatto che, al contrario, il fondo italiano è vivo e lotta insieme a noi. Ebbene, andiamo a leggere l’albo d’oro dei Mondiali junior. Troviamo fianco a fianco nella stessa edizione (2008) i nomi di Calle Halfvarsson, Hans Christer Holund e Philipp Marschall. Vogliamo confrontare le carriere senior di questi tre? C’è chi ha vinto ori mondiali e chi non ha combinato praticamente nulla.
Qualche anno dopo (2011) abbiamo Sergey Ustiugov, Sindre Bjørnestad Skar e Markus Weeger. Idem come sopra, vogliamo paragonare l’attività agonistica senior di ognuno di loro? Passiamo dal campione olimpico al Carneade.
Ci sono edizioni dove i protagonisti sono stati Johannes Høsflot Klæbo e Ivan Yakimushkin, ma in altre i campioni iridati junior sono stati Jean Tiberghien, Eirik Augdal e Roman Kaygorodov.
Insomma, chiunque conosca le dinamiche sportive ed è onesto intellettualmente, sa bene come il successo giovanile non sia propedeutico a quello a livello assoluto; e viceversa. Lo dimostra la storia di ogni ambito, non solo dello sci di fondo.
Nessuno sa quale potrà essere l’evoluzione agonistica di Elia Barp. Val la pena di ricordare che, prima di lui, negli ultimi dodici anni ci sono stati altri due italiani in grado di conquistare una medaglia nella sprint ai Mondiali junior. Uno è Federico Pellegrino, l’altro è Giacomo Gabrielli. Serve aggiungere altro per avere un’ulteriore dimostrazione di quanto è appena stato scritto? Una medaglia iridata giovanile non garantisce alcunché. Le carriere sono tutte da scrivere e si può passare da un estremo all’altro, con ogni possibile sfumatura nel mezzo.
Il nodo gordiano, però, non è “cosa sarà” in futuro Barp e qualsiasi altro azzurro. Il nodo gordiano è quanto è già stato e ha portato alla situazione a cui siamo arrivati. Al riguardo, ci si consenta di proporre un poker di spunti di riflessione basati su fatti concreti e impossibili da smentire.
Numero uno. Giandomenico Salvadori è costantemente il numero tre della squadra italiana maschile da sei anni. In questo ampio lasso di tempo non ha ancora chiuso la classifica generale di Coppa del Mondo nelle prime 50 posizioni.
Numero due. Dal ritiro di Arianna Follis e Marianna Longa, avvenuto undici anni fa, nessuna azzurra ha più chiuso la classifica generale di Coppa del Mondo nelle prime 25 posizioni.
Numero tre. Nessun italiano nato dal 1994 in poi ha ancora chiuso la classifica generale di Coppa del Mondo nelle prime 80 posizioni. Siamo nel 2022, i classe ’94 stanno compiendo 28 anni.
Numero quattro. L’ultimo podio azzurro in campo femminile è datato 20 marzo 2011. Da quel momento, nelle gare di primo livello, ne hanno ottenuto almeno uno Norvegia, Svezia, Russia, Finlandia, Stati Uniti, Polonia, Germania, Slovenia, Svizzera, Austria, Canada, Slovacchia e finanche Giappone. Tredici Paesi diversi, provenienti da tre dei quattro continenti situati nell’emisfero boreale (Europa, America, Asia). Manca all’appello solo l’Africa. Così come manca all’appello l’Italia.
Alla luce di questi fatti, qualcuno ha ancora il coraggio di dire che lo sci di fondo tricolore non si stia spegnendo come una candela? Il problema non è tanto De Fabiani che assume i contorni dell’incompiuto, il numero tre della squadra maschile che non riesce a chiudere nei 50 della generale, o le sprinter che anche sputando sangue non vanno oltre la semifinale. IL PROBLEMA È TUTTO QUELLO CHE MANCA ATTORNO A QUANTO VEDIAMO. Ci si permetta di gridarlo, per una volta.
Si ribadisce quanto scritto subito dopo Pechino 2022. Nel caso non sia chiaro è l’intero sistema a essere malato sin dalle fondamenta, ovvero da quando i ragazzini si affacciano al livello agonistico. Inoltre è l’intero ambiente a essere marcio, nel profondo, in quanto a contare non sono i risultati (che tra l’altro non ci sono), ma logiche dettate dall’interesse immediato dei singoli o di gruppi molto ristretti, siano essi di natura locale o gestionale.
Un tempo lo sci di fondo italiano si mangiava gli avversari, ora sta solo divorando sé stesso. Il dramma è che di questa raccapricciante tendenza non si vede la fine, in quanto è proprio l’atteggiamento generalizzato a essere perdente, essendo impregnato di un corporativismo inquietante, talvolta generato addirittura dalle famiglie. Ormai sui social network si sprecano gli esempi di genitori, parenti e amici che perorano la causa di questo o di quell’altro atleta. Talvolta apertamente, talvolta addirittura utilizzando pseudonimi o account intestati a nomi falsi. Un lobbying costante, ’evidente segnale di quanto sia asfissiante l’ambiente. Se non si ha remore a comportarsi così in pubblico, figuriamoci cosa succede nel privato o dietro le quinte…
Nel 2002 festeggiavamo due campionesse olimpiche differenti nella stessa edizione dei Giochi, un traguardo sino a quel momento raggiunto esclusivamente dalla Russia (nelle sue varie emanazioni) e successivamente eguagliato solo da Norvegia e Svezia. Nel 2006 l’Italia sfatava uno dei più grandi tabù della storia delle Olimpiadi, diventando la prima nazione a vincere in casa la medaglia d’oro della staffetta maschile. L’impresa firmata da Fulvio Valbusa, Giorgio Di Centa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi resta tutt’ora ineguagliata.
Fra le donne ci si sedeva al tavolo delle superpotenze. Fra gli uomini si scriveva la Storia, quella con la “S” maiuscola. Questo era lo sci di fondo italiano. Un gioiello guardato con invidia e rispetto dal resto del mondo. Oggi invece cos’è? Un mostriciattolo troppo impegnato a divorare sé stesso per rendersi conto di quanto sia diventato brutto, piccolo e marginale rispetto al passato. Uno sgorbio distorto dalle ingerenze di parenti, amici e burocrati (i cui ruoli talvolta si sovrappongono tra loro). Un rospo avvelenato dall’assenza di meritocrazia e alla mistificazione della realtà dei fatti. Se qualcuno si sente toccato nel vivo da queste immagini, allora non ha da che da guardarsi allo specchio.
A rendere tutto ancora più avvilente c’è il disinteresse dei piani alti per l’imperante sfacelo, perché altrimenti si sarebbe già agito per fermare il degrado. Così non è stato e ci troviamo dove ci troviamo. Il termine giusto inizia con la lettera “M” e finisce con la lettera “a”.
La domanda a questo punto è una sola. Si riuscirà a bruciare tutto il marciume, in maniera tale da apportare una salutare purificazione sperando di assistere alla rinascita di una splendida Fenice azzurra dalle ceneri di quanto c’è ora? Oppure dovremo rassegnarci allo squallore attuale, fingendo sia “il migliore sci di fondo italiano possibile”? Ai posteri l’ardua sentenza.
Foto: La Presse