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Paolo Cané: “Berrettini ha un problema cronico. Su Sinner sono convinto che…”

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Nuova puntata di Tennismania, il programma a cura di Sport2U, in collaborazione con OA Sport, dedicato al mondo della racchetta. Ospite di Dario Puppo è Paolo Canè, ex n.26 del mondo ed apprezzata voce tecnica su Eurosport. Tanti i temi toccati in oltre mezz’ora di dialogo tra i due, partendo dagli ultimi avvenimenti internazionali, passando per Zverev e Nadal, per poi toccare l’argomento italiani.

Sulla delicata situazione in Ucraina: “E’ una situazione difficile. Se pensi allo sport, lo sport abbatte tutte le barriere, anche quelle che sono delle guerre. Grazie a questa guerra, questo gran casino, poi non si parla più della pandemia, di quello che è successo fino ad una settimana fa, che ne parlavamo 24 ore al giorno. Questa è una notizia ancora più forte, una notizia bruttissima. Ho visto dei filmati, anche dei giocatori che sono stati chiamati alle armi piangendo, Stakhovsky, eccetera eccetera. È una situazione difficile, ho letto qualche cosa, ti ricordi Arthur Ashe, con l’Apartheid, la discriminazione, contro il razzismo cosa fece lui? Invece di andare in piazza e andare a far riunioni per combattere il razzismo, pensò solamente a fare la cosa più semplice, cioè cercare di vincere il più possibile e lanciando un messaggio importante, che è quello che poteva essere: ‘Vinco, poi posso parlare perché vinco per per una causa giusta’. Come in tutte le cose ci sono i pro e contro: qualcuno sceglie di non partecipare perché sceglie una causa giusta, è una cosa che mi piace molto perché sei un patriota, la tua Nazione, faresti qualsiasi cosa, dall’altra parte, o tutti o nessuno. Io la vedo così: fossi in attività in una situazione così, da un lato per dare un messaggio importante per la mia Nazione a difendere i miei colori sto fermo? Sto fermo se posso servire ad andare a combattere, ma di ex giocatori o quant’altro che ti mettono in mano un fucile e ti mandano non so dove, non so quanto quanto possa servire come messaggio importante. Diventa un grande casino alla fine, perché poi sono quelli che giocano contro i russi che non si presentano in campo e non affrontano la partita, ma può esserci, anche il contrario, cioè che i russi non vadano a gareggiare, quindi non c’è bisogno di un tuo rifiuto, ma c’è il mio perché capisco che non devo devo gareggiare per una causa importante“.

Prosegue Canè: “Pensa a cosa si può andare a creare in tutti i vari eventi sportivi, in tutti gli eventi mondiali di qualsiasi sport. Diventa difficile per l’atleta stesso. poi penso: in che condizioni puoi andare? Cosa sei? Un vigliacco, uno che tradisce, o uno che pensa, come abbiamo detto prima di Arthur Ashe, a fare solamente il proprio lavoro e a portare a portare avanti il nome del Paese, a portare avanti quella che è una tua tradizione, quello che è tuo il tuo pensiero per una cosa molto semplice? Non leghiamo lo sport al discorso della guerra. Poi quando combaciano tutti questi fattori, qua da una cosa singola difficilissima da gestire diventa poi caos totale. Ci saranno tantissimi problemi anche perché sei una persona normale, una persona che ha sempre fatto sport, una persona pulita, di colpo puoi diventare uno che viene subito preso di mira, è considerato non buono. Ogni decisione va rispettata, non deve essere unita a quello che sta succedendo: o tutti o nessuno. Comunque a me dispiace molto“.

Sulla squalifica di Zverev ad Acapulco: “E’ uno di quei giocatori che, arrivati ad un certo livello, nonostante l’esperienza, o tutto quello che stanno passando, sentono la pressione della classifica: aveva la possibilità di avvicinarsi al diventare numero uno al mondo in Australia, giocando un torneo ad inizio stagione dove mi sembrava bello in forma con tutte le possibilità per far bene, poi si va a complicare le cose giocando il doppio. Ho fatto un’intervista l’altro giorno per Sky dove sorridevo perché mi chiedevo chi glielo facesse fare. Mi sembra un po’ come l’anno scorso le Olimpiadi di Djokovic, quando giocò il doppio misto, che fece un gran casino anche lì, non giocando quella semifinale: era molto nervoso, non sopportava la pressione di quello che stava vivendo. Voglio dire, sono dei professionisti che incominciano ad essere anche un po’ abituati. Zverev non è che vince per caso i tornei. Lo avevo commentato e visto a Torino alle Finale e aveva giocato benissimo dimostrando anche grande carattere“.

Sempre ad Acapulco c’è stato il trionfo di Nadal: “Ha iniziato in Australia vincendo a Melbourne il 250 in preparazione agli Australian Open, poi gli è scattata la cosa che è scattata a Federer secondo me qualche anno fa, quella del ‘non mi interessa più niente di essere numero 1, gioco perché mi piace, mi diverto’. Senti anche meno dolori fisici e meno dolori in testa, sei più tranquillo perché alla fine sei forte fisicamente: è una persona allenata, nonostante poi ci siano le malelingue sui suoi 34-35 anni, ma è un atleta pazzesco. Non ha il pallino di essere il numero 1, cosa che ai tempi miei invece quando i numeri 1 andavano al numero 2, come McEnroe, Connors, Borg, si ritiravano: non giocavano per il piacere di giocare. Lui gioca perché gli piace giocare a tennis, perché è un grande sportivo, uno che ha dedicato veramente una vita ed ottiene i risultati perché gioca partita su partita. Non ha il pallino di essere il numero 1, è il migliore sulla terra, ha vinto 13 volte il Roland Garros e non deve dimostrare proprio niente. Lui è in pace con se stesso e farà ancora bene. Non scopriamo certo ora la sua intelligenza e deve essere un insegnamento per tutti. Passano gli anni anche per lui, per cui deve stringere il campo. Perdi un po’ di forza fisica, quindi devi accorciare gli scambi se ne sei capace. In un game che ha giocato contro Medvedev, che è durato 20 minuti, gli abbiamo visto fare servizio e volèe come non aveva fatto negli ultimi 10 anni. La sua intelligenza è incredibile, lo metto alla pari di Federer o Djokovic in questo, dal punto di vista del gioco invece sta migliorando ancora”.

Passando al capitolo degli italiani, stona l’ennesimo stop per Matteo Berrettini: “Anche io avevo avuto un problema simile. Ai Giochi Olimpici di Los Angeles 1984 mi ero strappato gli addominali e vi assicuro che è un bruttissimo infortunio. Quanto accaduto a Matteo ad Acapulco non è stato uno strappo di forza, ma si è trattato di un dolore che ha sentito giocando, per cui ha preferito fermarsi e prevenire, sapendo quello a cui poteva andare incontro. A questo punto deve proseguire con tanta terapia e attenzione, il problema è che rimane la cicatrice in quella zona e non è mai una cosa positiva”.

Per restare sempre nei confini italici, ha sorpreso e non poco la scelta di Jannik Sinner di dare l’addio a Riccardo Piatti: “Lasciamolo lavorare tranquillo questo ragazzo, perchè so bene che sarebbero subito partiti i processi se non avesse rimontato Davidoch Fokina a Dubai. La scelta di affidarsi a Vagnozzi ritengo sia una decisione proprio sua, perchè penso avesse voglia di cambiare dopo tanti anni, anche a livello di gioco. Piatti gli ha organizzato tutto alla perfezione fuori dal campo e lui, bruciando le tappe a livello di gioco, le ha bruciate anche a livello mentale, andando a capire come si muovessero gli altri team ad alti livelli. Ha fatto una scelta importante e difficile, lasciando un coach che lo aveva seguito per tanti anni e che lo aveva portato alla top10. Bruciando le tappe, Jannik è più esperto e maturo e ha deciso così. Una mossa che dovrà lasciarlo sereno e che dovrà dargli una mano a migliorare gli aspetti del suo gioco, proseguendo con il suo Piano A, ma inserendo anche un Piano B”.

Foto: LaPresse

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