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Tennis, Paolo Bertolucci: “Si deve boicottare Wimbledon e tirar fuori gli attributi”

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Sono parole forti e di critica quelle di Paolo Bertolucci all’Agi in merito a quanto sta accadendo per il torneo di Wimbledon. Come è noto, gli organizzatori hanno deciso, seguendo le linee guida del Governo del Regno Unito, di bannare dai Championships tennisti e tenniste di Russia e Bielorussia per il conflitto in Ucraina.

Ecco che negli ultimi giorni è arrivata la risposta di ATP e WTA con la presa di posizione di non attribuire punti per lo Slam a Church Road e nello stesso tempo la perdita degli stessi per i giocatori che tanto avevano fatto l’anno passato. Il riferimento è soprattutto a Novak Djokovic e a Matteo Berrettini, rispettivamente vincitore e finalista di Wimbledon.

A detta di Bertolucci non è questa la forma adatta per rappresentare dissenso e il riferimento dell’ex giocatore, ora apprezzato commentatore tecnico su Sky Sport, è il seguente: “Noi abbiamo boicottato Wimbledon nel 1973 per un giocatore, uno! (Nikola Pilić sospeso dalla Federtennis jugoslava perché si era rifiutato di giocare in Coppa Davis e escluso dai tornei internazionali dalla Federazione internazionale). Qui sono in ballo 16 donne e 5 uomini, quindi 21 persone, e stiamo qui a decidere se devolvere all’Ucraina il montepremi, oppure giocare senza bandiera, però non dite che sono nato a Mosca…“, le sue considerazioni.

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A me sembrano, sinceramente, tutti scemi. È meglio decidere che non si gioca, che si boicotta. Bisognare dare un segnale vero, dimostrare di avere le palle. Noi lo abbiamo fatto nel ’73, avevamo appena fondato l’ATP e non eravamo nessuno, eravamo dei disgraziati che pagavamo l’equivalente di mille euro all’anno, che era una cifra imbarazzante, quasi un milione di oggi l’anno. Abbiamo perso soldi, tre mesi di squalifica, però l’abbiamo fatto perché ci sembrava giusto. Questi sembrano tutti delle pecore“, le parole forti di Bertolucci riportate dall’agenzia stampa.

A conclusione, l’ultima riflessione: “Trovo assurdo tutto questo. Posso capire che non giochi la Nazionale, le squadre russe, ma se uno ha avuto la ‘disgrazia’ di nascere a Mosca non capisco che problema c’è. Anzi, Andrey Rublev ha dato una grande lezione quando ha scritto ‘No War’ sulla telecamera, tenendo presente che a Mosca c’è la moglie, la mamma, la sorella, la zia… io col cavolo che l’avrei scritto!

Foto: Olycom LaPresse

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