Ciclismo

Vincenzo Nibali, romantico fuoco magico e vittorie storiche: tra neve, pavé, attacchi e invenzioni

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Vincenzo Nibali ha annunciato il proprio ritiro dal ciclismo al termine di questa stagione. Dopo 18 annate agonistiche da professionista, lo Squalo ha deciso di appendere la bicicletta al chiodo. Un fuoriclasse dal palmares semplicemente vertiginoso: un Tour de France (2014), due Giri d’Italia (2013 e 2016), una Vuelta di Spagna (2010), una Milano-Sanremo (2018), due Giri di Lombardia (2015 e 2017). Uno dei sette miti capaci di conquistare la Tripla Corona, accoppiandola anche a tre sigilli nelle Classiche Monumento. Un vincente nato, entrato nel cuore della gente non soltanto per i sigilli mietuti nell’ultimo decennio, ma per la sua modalità di correre.

Mai freddo calcolatore, ma inguaribile romantico. Incarnazione dell’epica più pura, pugnace e tenace, sempre all’attacco con quell’estro e quella fantasia degni dei migliori aedi, depositari di leggende che colpiscono dritto al cuore. Surreale, stupendo, magnifico. Un uomo in grado di inventarsi un’azione funambolica proprio quando meno te lo aspettavi, capace di fare ribollire il sangue nelle vene, di fare volare la fantasia, di fare pedalare una Nazione intera alle sue spalle. Vincenzo Nibali ha segnato un’epoca, ha giganteggiato nell’ultima decade e oggi si conclude un’era per il ciclismo tricolore, con l’incognita del futuro.

Memorabili alcune gesta di Vincenzo Nibali. L’attacco solitario sul Poggio alla Milano-Sanremo 2018, riuscendo ad arrivare trionfante sul traguardo quasi in maniera insperata. Le stoccate al Tour de France 2014, quando dominò in lungo e in largo: tutto iniziò nell’antologica tappa sul pavé dove surclassò Alberto Contador e Chris Froome, mettendo insieme quattro successi di tappa e l’apoteosi finale. La pazzesca rimonta nel Giro d’Italia 2016, quando si ritrovò a quasi cinque minuti dalla maglia rosa e poi ribaltò tutto tra il Colle dell’Agnello in mezzo alla neve e Sant’Anna di Vinadio. Neve che fece da cornice anche al sublime trionfo nel 2013 alle Tre Cime di Lavaredo.

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Oppure gli attacchi indemoniati al Giro di Lombardia, l’affondo da brividi alle Olimpiadi di Rio 2016 (cadde quando era lanciato verso la conquista di una medaglia), i tentativi alla tanto amata e mai domata Liegi-Bastogne-Liegi. Vincenzo Nibali era in possesso del sacro fuoco dell’arte magica, di un magnetismo fuori dal comune e sui generis, di una personalità ammaliante e accattivante, trascinante e travolgente. Un fuoriclasse del popolo che pone i titoli di coda alla sua gloriosa carriera, nella sua Messina, nel suo Giro d’Italia. Meriterebbe una Statua, un Monumento, un’Effigie per come ha portato in alto il ciclismo italiano, ora ancora più in crisi senza il faro carismatico e trionfante dell’ultimo decennio.

Foto: Lapresse

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