MotoGP
MotoGP, il disastro Honda al Sachsenring inquieta in ottica futura. L’industria giapponese investe ancora nelle corse?
C’è un fatto riguardante il Gran Premio di Germania di MotoGP disputato nella giornata di ieri che merita di essere sottolineato. L’unica Honda a essere giunta al traguardo è stata quella di Stefan Bradl, 16° e ultimo tra i piloti benedetti dalla bandiera a scacchi. Le altre tre RC213V si sono invece ritirate. Dunque nessuna moto marchiata dall’Ala è entrata in zona punti. Si tratta di un evento incredibile, perché pone fine a una sequenza che durava da più di 40 anni!
Per trovare l’ultima gara della classe regina in cui si è verificato lo stesso accadimento si deve tornare al 9 maggio 1982, giornata traumatica nel mondo dei motori tout-court, perché successiva alla morte di Gilles Villeneuve. La tragedia avvenuta in F1 aumenta ulteriormente il disinteresse attorno al GP di Francia del Motomondiale, di per sé già boicottato da piloti e Case di vertice a causa della pericolosità del contesto in cui si tiene. L’autodromo di Nogaro è ritenuto obsoleto e, in quel weekend, vi si presentano solo privati. Vince il mediocre Michel Frutschi, che vive la sua giornata di gloria. Un crudele scherzo del destino farà sì che lo svizzero perda la vita in un incidente avvenuto proprio in Francia, ma sul ben più sicuro tracciato di Le Mans, meno di un anno dopo.
Dunque a Nogaro, nel 1982, di Honda in pista proprio non ce ne sono. Ieri, invece, sono partite in quattro e nessuna ha chiuso tra le prime quindici. È pertanto terminata una sequenza lunga 633 GP, curiosamente cominciata e terminata in Spagna. Da Jarama, 23 maggio 1982, al Montmelò, 5 giugno 2022, una moto dell’Ala ha sempre raccolto almeno un punto. Fino a ieri, quando è stato toccato il punto più basso della storia. Quanto accaduto certifica la profonda crisi in cui è sprofondata Honda. Un decadimento prestazionale progressivo, a lungo mascherato da un fuoriclasse di nome Marc Marquez. È emblematico che la debacle sia avvenuta proprio al Sachsenring, dove la Casa di Minato vinceva ininterrottamente dal 2010!
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L’accaduto apre un importante tema di riflessione. Quanto sta davvero investendo e soprattutto quanto è disposta a investire nel Motomondiale l’industria motoristica nipponica? Attenzione ai segnali, perché unendo i puntini viene fuori un quadro ben poco rassicurante per tutto il mondo dei motori. In Giappone non trapelano mai “indiscrezioni” o “voci”, gli ambienti aziendali sono ermetici e certe decisioni arrivano come fulmini a ciel sereno.
Non a caso, Suzuki si è improvvisamente ritirata dalla MotoGP. Honda è tecnicamente allo sbando e non dobbiamo dimenticare come nel frattempo abbia abbandonato la Formula 1. Resiste Yamaha, che però è competitiva unicamente con una moto, quella affidata a Fabio Quartararo. Peraltro nel 2023 la Casa di Iwata non avrà neppure un team satellite (anche se la situazione dovrebbe essere provvisoria, in vista del ritorno di una struttura clienti nel 2024). A onor del vero, la situazione dei Tre Diapason non è poi così dissimile da quella in cui versava la storica rivale nel 2019, quanto i risultati di peso arrivavano col solo Marquez.
Insomma, quanto sono davvero interessate le aziende del Paese del Sol Levante a impegnarsi a fondo nel motoracing? Forse non è un caso che in MotoGP Ducati e Aprilia stiano prendendo sempre più piede, sia sul piano tecnologico che su quello numerico (nel 2023 più della metà delle moto della griglia saranno di Case italiane). Solo un momento transitorio? In Giappone raramente ci sono vie di mezzo. Se c’è una crisi la si affronta quasi sempre in maniera radicale, così come se si deve investire. O lo si fa senza badare a spese, o non ci si impegna per niente. In quale senso evolverà la situazione di Honda e, soprattutto, avrà conseguenze sugli equilibri dell’intera MotoGP?
Foto: MotoGPpress.com