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Tennis: è morto Gianni Clerici, lo Scriba

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Aveva 91 anni. Dovremo abituarci a parlare di lui al passato, e sarà difficile per tanti. Gianni Clerici non c’è più: è morto, a 91 anni, a Bellagio. Lo ha reso noto al mondo l’ex direttore de La Repubblica Mario Calabresi con un tweet che così lo ricorda: “Un gigante del giornalismo sportivo, aveva eleganza, competenza e sapeva spiegare tutto. (Un giorno mi portò con lui a Wimbledon e mi insegnò che il vero spettacolo erano i picnic sull’erba con fragole e panna). Buon viaggio Maestro“.

Solo lo scorso gennaio Nicola Pietrangeli aveva raccontato di come un ictus lo aveva colpito pochi mesi prima, e parlando in modo commosso di come la situazione, per lui, non fosse così serena. Con Clerici se ne va un pezzo enorme del giornalismo tennistico italiano, ma non solo. Giocatore, scrittore, poeta, Clerici è stato tante cose a volte anche contemporaneamente.

Iniziò con la racchetta in mano dopo la Seconda Guerra Mondiale: fu vicino a giocare la Coppa Davis, ma non vi riuscì mai. In singolare riuscì a partecipare a due tornei dello Slam, Wimbledon 1953 e Roland Garros 1954; nel secondo caso chi si trovò di fronte a lui fu addirittura Vic Seixas, in quegli anni tra i più forti al mondo. Neppure agli Internazionali d’Italia gli riuscì mai, su sei tentativi, di vincere un match.

Rafael Nadal fa 14, il Roland Garros è ancora suo. Casper Ruud demolito in finale

Cominciò già allora a collaborare con La Gazzetta dello Sport, poi con Il Mondo e Il Giorno: fu qui che rimase dal 1956 al 1988, e fu in questo ruolo che ebbe a vivere un’epopea infinita. La semifinale di Pietrangeli a Wimbledon, lo stesso Nicola che al telefono gli confessò di non voler più passare professionista, gli anni d’oro di Adriano Panatta, un suggerimento lanciato dagli spogliatoi del Roland Garros. Dal 1988 fino alla fine è su L’Espresso e La Repubblica che il pubblico ha potuto apprezzare i suoi scritti, passati dal genio e follia di Paolo “Neuro” Canè agli anni ’90 della Davis italiana, fino a quello Slam di Francesca Schiavone che, per sua ammissione, lo portò a raccontare di nuovo qualcosa che mai avrebbe creduto possibile.

Ma non solo: Clerici è stato prolifico autore di libri, il più famoso dei quali, “500 anni di tennis”, è diventato una tale pietra miliare da essere tradotto in Francia, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Spagna: fino a ben oltre gli Anni 2000 è stato aggiornato con puntualità e costanza. Una biografia è uscita sia su di lui (scritta da Veronica Lavenia e Piero Pardini) che scritta da lui (“Quello del tennis. Storia della mia vita e di uomini più noti di me”).

In tv lo si è potuto apprezzare per anni accanto a Rino Tommasi: sono rimaste leggendarie le loro lunghe ore di telecronaca da qualunque luogo possibile, da Roma agli Slam. Tanto numericamente preciso era l’uno, diventato “ComputeRino”, tanto pieno di capacità di divagare con abilità era l’altro, tant’è che proprio Tommasi gli appiccicò il nomignolo di “Dottor Divago”. Insieme sono andati avanti fino a Wimbledon 2010: l’ultima loro telecronaca, su Sky Sport, fu quella della finale tra Rafael Nadal e Tomas Berdych. Famosissimo è l’aneddoto per cui, agli US Open del 1987, fu “mandato” da Bud Collins a seguire un match del torneo juniores. C’era in ballo un talento. Clerici ne vide uno, Collins ne vide un altro. L’altro fu il primo dei due a vincere uno Slam, Michael Chang. L’uno fu quello che ne vinse 14 e segnò un’era: Pete Sampras. Ma se ne potrebbero raccontare altre mille. Lui, però, era uno. E unico: lo Scriba. Che, per giusti meriti, entrò nella Hall of Fame.

Foto: LaPresse / Olycom

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