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F1, Ferrari vanagloriosa. Mai ti era mancato il rispetto dei rivali. Oggi, invece, sei lo zimbello del Circus. Puoi tollerarlo?

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Ferrari, cosa vuoi fare? La questione è di attualità dopo il Gran Premio d’Ungheria disputato ieri, autentico acme di due mesi neri. La parte iniziale del 2022 non era stata malvagia, anzi, tra il Bahrain e Miami la Scuderia di Maranello aveva avanzato concretamente la propria candidatura in ottica iridata. Cionondimeno, la seconda fase del Mondiale è stata un supplizio. Delle otto gare andate in scena tra la Spagna e l’Ungheria, il Cavallino Rampante ne ha vinte solo due, restando peraltro con un po’ di amaro in bocca in entrambi i casi. A Silverstone per la scelta di non richiamare Charles Leclerc quando è entrata la Safety Car, a Spielberg per il rogo della power unit di Carlos Sainz.

La pausa estiva è provvidenziale, perché il team è in piena confusione. Le lacune a livello gestionale sono evidenti. Ognuno potrà anche avere le sue ragioni, ma a tutto c’è un limite e non si può giustificare l’ingiustificabile. Le Rosse sono ormai diventate lo zimbello della Formula Uno. L’immagine di Max Verstappen e Lewis Hamilton scoppiati a ridere sul podio dopo la gara di ieri mentre parlavano della scelta di montare mescola dura sulla monoposto del monegasco è eloquente. Peraltro non mancano gli addetti ai lavori e gli ex piloti che non si capacitano di come si possa essere arrivati a questo punto. La domanda è se tutto ciò può essere tollerato.

Ferrari era sinonimo di eccellenza e di vittoria. Lo è stato per decenni, sia quando il Drake era in vita, sia dopo la sua scomparsa. Sono stati attraversati periodi bui anche in passato, come è normale che sia se la propria storia è lunga tre quarti di secolo. Non sono mancati neppure i momenti caotici simili a quello corrente. Mai, però, era venuta meno l’autorevolezza. Anche quando si trovava in difficoltà, la Scuderia di Maranello godeva del rispetto degli avversari.

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Nessuno si permetteva di sbeffeggiare il Cavallino Rampante, neppure quando mandava in pista vetture che venivano sistematicamente doppiate, oppure si rompevano solo a guardarle. Anche durante le proprie periodiche crisi, le Rosse mantenevano un prestigio derivante dalla storia della squadra e da tutto ciò che il marchio Ferrari rappresentava per la Formula 1 e per il mercato automobilistico.

Oggi, invece, la Scuderia di Maranello sta vivendo una crisi di credibilità. D’altronde, chi semina raccoglie. Se per una settimana non passa giorno senza che qualcuno rilasci una dichiarazione relativa alla volontà di fare doppietta nel GP successivo, ma poi questo si conclude con un 4° e un 6° posto, venendo peraltro caratterizzato dall’ennesima lettura sbagliata sul piano strategico, è comprensibile che la concorrenza se la rida. Soprattutto perché non si tratta di un episodio isolato, bensì di una situazione reiterata con inquietante regolarità.

La caratteristica principale della Ferrari del 2022 è la vanagloria, definita come segue dal Devoto Oli: “Accentuato compiacimento di sé, che, pur senza alcun fondamento di meriti effettivi, determina una smodata ambizione”. C’è bisogno di aggiungere altro? È una descrizione perfetta di quanto sta accadendo nella stagione corrente. Intendiamoci, l’ambizione non è un difetto. Anzi, nello sport è un pregio. Però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Lo stesso mare che separa l’ambizione dal successo. Salpare non è particolarmente complicato, il difficile è il viaggio, durante il quale non mancano complicazioni di ogni tipo. Se non si è in grado di fronteggiarle, si affonda.

Tutti sbagliano, anche Red Bull e Verstappen. In Australia e in Austria non è stato trovato il set-up ideale sulla RB18; in Spagna e in Ungheria l’olandese ha commesso un errore di guida. Vogliamo poi parlare della Mercedes, che “buca” il progetto dopo anni di dominio assoluto? Il problema non è sbagliare, bensì la frequenza con cui si presentano gli svarioni. Se sono episodi, allora sono fisiologici. Se sono la normalità allora significa che, al contrario, l’episodio è fare tutto per il verso giusto. È una differenza sostanziale. La differenza che intercorre tra chi ha testimoniato di saper raggiungere il successo e chi, invece, deve ancora dimostrare di poterci arrivare.

Inutile girarci troppo attorno, la Ferrari è alla deriva. A ogni cosa giusta ne corrispondono tre sbagliate. Gli avversari se ne sono resi perfettamente conto e se la ridono, perché implicitamente riconoscono il potenziale iridato di una monoposto nata benissimo, a dimostrazione che anche a Maranello si può lavorare bene sul piano concreto. Però, senza una guida capace, anche la nave migliore in assoluto non raggiungerà mai le coste del successo dopo essere salpata da quelle dell’ambizione. Si perderà in mare.

Davvero tutto ciò può essere tollerato? Imporsi solo quattro volte su tredici pur disponendo della vettura più performante? Prendere un granchio una gara sì e l’altra pure? Lanciarsi per giorni in roboanti dichiarazioni salvo poi fare la figura dei cioccolatai? Venire sbeffeggiati dagli avversari diretti e persino da chi, in F1, non ha mai vinto mezza gara? Davvero va bene così? Davvero si può permettere che il prestigio venga calpestato e il nome Ferrari susciti ilarità anziché rispetto?

Tutta queste serie di quesiti va girato a chi, nelle luccicanti sale dei consigli d’amministrazione, prende decisioni di altissimo livello. Ora ci sarebbe una pausa per riflettere sulla situazione. Si può dare fiducia al timoniere e il problema è l’equipaggio? Oppure, viceversa, è chi governa la nave a non avere il polso della situazione? Si cerchi di capirlo e si agisca per prendere le contromisure del caso.

Altrimenti, se si vuole andare avanti così, ci si faccia il segno della croce e si speri che la nave sia sufficientemente resistente per sostenere la serie di tempeste dentro le quali sta venendo condotta, raggiungendo comunque la meta preposta senza affondare. Però, se così fosse, almeno ci si renda conto di come il bastimento abbia cominciato a imbarcare acqua. E non da ieri.

Foto: La Presse

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