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Nuoto, a Roma l’apoteosi di un movimento che deve fare scuola per tutto lo sport italiano

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Troppo spesso lo sport preferito dagli italiani che non praticano sport è quello di recriminare o giocare a sminuire le grandi imprese di chi, invece, lo sport lo pratica eccome. L’Europeo di nuoto di Roma è sicuramente sovradimensionato rispetto al reale valore del nuoto italiano in Europa perchè, si è detto in tutte le salse, manca la Russia e mancano alcuni big di livello assoluto del nuoto mondiale ma nessuno può negare che il movimento del nuoto azzurro sia in un trend positivo almeno da quattro anni e che, comunque, l’Italia resterà competitiva ad altissimi livelli sia in Europa che nel mondo quando al via ci saranno tutti (cosa che accadrà probabilmente solo a Parigi).

Il cambio di passo del movimento del nuoto italiano è arrivato 22 anni fa. A fare da traino la prima generazione di fenomeni, i Rosolino, i Fioravanti, i Brembilla e subito dopo l’ingresso in squadra di atleti di valore assoluto come Magnini e Federica Pellegrini. I risultati e l’epopea di questi campioni ha aiutato le piscine a popolarsi e soprattutto ha spinto i genitori che hanno gioito con loro di persona o davanti alla Tv ad accompagnare ai corsi di nuoto i loro figli. Quando ci sono numeri grandi è molto più probabile trovare giovani da plasmare e da far crescere.

L’aspetto più importante, però, è come far crescere questi prospetti e qui si inserisce il lavoro di una Federazione che non ha mai perso un colpo da questo punto di vista. Il settore tecnico è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni: anche chi aveva retaggi delle precedenti gestioni si è dovuto adeguare a quelli che sono i metodi innovativi che la nuova generazione di tecnici ha fatto sua con poche remore e con tanto coraggio. Pian piano si è creata una rete di allenatori che studia tanto e parla la stessa lingua e spesso questa lingua è l’americano, visto che proprio dagli States vengono acquisiti i dettami su come far crescere nel modo giusto i giovani, come non spremerli troppo nelle categorie giovanili e farli rendere anche nel passaggio da settore giovanile ad assoluto, ostacolo spesso letale (dal punto di vista sportivo) per tanti campioncini azzurri in erba che non hanno retto il confronto in passato. Un sistema inclusivo, quello dei tecnici azzurri, aperto a nuovi ingressi in ogni angolo dello Stivale, senza invidie o inutili dualismi, che aggiunge ogni volta qualcosa: l’esperienza di uno diventa esperienza di tutti e così l’intero movimento cresce.

Altro aspetto che non sempre si riscontra nelle altre discipline sportive è il confronto. Tanti, ultimamente, sono gli atleti azzurri che, magari anche a spese della propria (piccola) società oppure rischiando di persona, affrontano trasferte non sempre remunerative e dall’esito positivo scontato per andare a confrontarsi con altri atleti a livello internazionale, per capire cosa accade fuori dai confini italici. La ISL, con tutti i suoi difetti e le sue storture, si è rivelata, tanto per fare un esempio, un banco di prova fondamentale per la crescita di alcuni dei medagliati di Budapest o di Roma.

Vivere a contatto con i grandi campioni di altri continenti aiuta ad aprire la mente, ad affrontare il confronto nel giorno in cui conta di più con l’atteggiamento giusto, a non vedere l’avversario come un marziano impossibile da battere, a scrollarsi di dosso quel latente complesso di inferiorità che ti fa partire perdente anche quando non lo sei in partenza. In futuro se non sarà la ISL, sarà la Coppa del Mondo ma quei passaggi possono rivelarsi fondamentali nella crescita del campione.

L’ultimo aspetto da prendere in considerazione è quello della gestione dell’atleta. Tanti sportivi (anche nuotatori) in passato, avevano promesso bene, magari ottenuto risultati interessanti non solo a livello giovanile, poi, dopo due o tre grandi manifestazioni al di sotto delle aspettative, si sono trovati messi in un angolo, quasi spinti ad abbandonare l’attività. Oggi si può essere vincenti anche dopo i 30 anni, anche con una storia complicata alle spalle.

Per fare qualche esempio si può fare 50″75 lanciato in staffetta e una finale europea anche se ti chiami Rivolta e spesso non hai mantenuto le aspettative, si può salire sul podio per la terza volta in Europa o fare la quinta finale continentale consecutiva anche se ti chiami Pizzini o Bianchi e arrivi da due anni difficilissimi. Gli atleti non vengono più abbandonati a loro stessi al secondo fallimento o quando sono alle prese con infortuni seri, e questo ha permesso all’Italia di festeggiare tante medaglie o risultati di altissimo spessore di protagonisti di second life sportive. Un esempio da raccogliere e da trasportare in altre discipline dove troppo spesso si tende a considerare finiti atleti che possono avere ancora tanto da dare.

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