Formula 1
F1, Ferrari e la sindrome del provincialismo: all-in su Monza, ma una gara non salva una stagione
Il Gran Premio d’Italia 2022 è stato un enorme successo di pubblico, con quasi 340.000 presenze nell’arco dei tre giorni. Si sono riviste le tribune stracolme e tanto entusiasmo da parte dei tifosi. Il ricordo della surreale edizione 2020, corsa a porte chiuse, sembra oggi quasi uno scenario onirico. Eppure lo spettacolo offerto dal GP del Bel Paese è stato a tratti deplorevole. Non parliamo della Safety Car che non trova il leader o della gru contromano per recuperare la McLaren di Ricciardo, bensì dell’atteggiamento ferrarista (o meglio dei ferraristi) nei confronti della gara in terra brianzola.
La Ferrari aveva un disperato bisogno di salvare la faccia dopo tre appuntamenti da dimenticare. In Ungheria c’è stato il clamoroso autogol mediatico di annunciare trionfalmente una doppietta che, oltre a non concretizzarsi, ha tramutato la corsa magiara in una clamorosa disfatta, in quanto non è neppure arrivato il podio. In Belgio e in Olanda le performance sono state deludenti e ci sono state figuracce incredibili legate ai pit-stop, quali quello controproducente di Charles Leclerc a Spa-Francorchamps e la comica di veder persa una ruota durante quello di Carlos Sainz a Zandvoort. Dunque la prova odierna era cruciale per ritrovare un po’ d’amor proprio.
Il caso ha voluto si corresse proprio in Italia, davanti a una marea umana di tifosi. Però la Scuderia di Maranello avrebbe avuto bisogno di salvare la faccia anche se oggi si fosse stati di stanza al Montmelò, a Singapore, ad Austin, a Interlagos, a Melbourne o a Kyalami. In qualunque continente il Cavallino Rampante avrebbe dovuto reagire. Finanche si fosse gareggiato sulla Luna, per la Squadra fondata dal Drake sarebbe stato imperativo risollevare le proprie sorti per una questione d’orgoglio. Il fatto di essere impegnati a Monza ha caricato, ulteriormente, di significato un appuntamento che avrebbe rappresentato un momento di cruciale importanza ovunque si fosse disputato sull’orbe terracqueo.
Perché nell’economia di un Mondiale, 25 punti conquistati nel GP d’Italia contano tanto quanto 25 punti ottenuti in Arabia Saudita o ad Abu Dhabi. Una vittoria a Monza vale esattamente come una raccolta a Miami o a Baku. Il peso specifico di imporsi in un autodromo dalla tradizione centenaria è il medesimo di quello che ha un’affermazione nel più banale circuito edificato l’altroieri a furia di petroldollari o nel più squallido dei tracciati cittadini. Dunque, considerare l’eventuale successo nel Gran Premio d’Italia quasi alla stregua di un risultato salvifico per l’intera stagione, come qualcuno ha fatto intendere nei giorni di avvicinamento alla gara, rappresenta un abominio concettuale.
Ciò premesso, il pasticciaccio generato dalla Fia negli ultimi giri è stato superato in squallore dalla reazione avuta da svariati tifosi. Fischi, polemiche, ululati. Mancava solo il lancio di oggetti. Il peggio del peggio dal punto di vista sportivo. Il “tifo” nella sua espressione più becera e, appunto, malata. C’è chi strepita per la mancata ripartenza del GP, gridando all’ennesimo complotto anti-Ferrari, alla mafia federale, alla gestione pilotata delle corse per far vincere Red Bull, aggiungendo magari amenità trite e ritrite legate a regolamenti scritti in maniera occulta dalla Mercedes, quale la direttiva tecnica 39. Mancano all’appello solo le trame ordite da alieni rettiliani per impedire i successi delle Rosse.
La Formula 1 non sarà un mondo di santi e il finale del GP è stato gestito male. Nulla quaestio. Però signori, abbiate quantomeno un minimo di onestà intellettuale. Cosa si è visto in pista? Un Verstappen inattaccabile, che con mescola media teneva lo stesso passo di un Leclerc con gomma morbida. La mancata ripartenza della Safety Car ha forse inquinato i valori in campo? No, semmai li ha congelati, certificando quanto si era visto sino a quel momento. Ha vinto il più forte ed è giunto secondo chi meritava di classificarsi alla piazza d’onore. C’erano 20 secondi di differenza tra l’olandese e il monegasco quando la vettura di sicurezza ha fatto il proprio sconclusionato ingresso.
Va bene avere passione, ma questa non dovrebbe mai obnubilare la ragione. L’olandese ha dominato e conquistato legittimamente il successo, così come ieri il monegasco si è legittimamente fregiato di una pole position che qualcuno ha festeggiato neppure fosse la vittoria del Mondiale. Dunque non solo Monza 2022 ha denotato provincialismo e mancanza di obiettività, ma è anche scaduta nella più corrosiva polemica da bar. Nei prossimi giorni si parlerà solo di Safety Car, mancate bandiere rosse, connessioni occulte di matrice anglosassone e così via. Dimenticando come i fatti parlino chiaro. Verstappen le ha suonate di santa ragione alla Ferrari anche in Brianza.
A tutto c’è un limite. Quindi, cari ferraristi starnazzanti, lasciatevi dire una cosa. Non solo tifate una Scuderia che non sa più vincere, ma non avete neppure ancora imparato a perdere. Dopo 15 anni di sconfitte, quantomeno il callo dovreste esservelo fatto. Invece, evidentemente, non è così. La speranza è che voi siate solo la minoranza rumorosa degli appassionati di Formula Uno italiani. In caso contrario viene da dire che “ogni squadra ha i sostenitori che si merita”; e viceversa.
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