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F1, il grande male della storia recente della Ferrari: lo sviluppo

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Per la Ferrari, il 2022 era cominciato nel migliore dei modi, con una doppietta in Bahrain. Per la prima volta dal 2010, le Rosse avevano concluso la gara inaugurale in prima e seconda posizione. Il risultato aveva fatto sognare i tifosi del Cavallino Rampante, sicuri di rivedere i propri beniamini lottare per il Mondiale dopo anni difficili. La speranza è stata corroborata dai risultati nei GP immediatamente successivi, durante i quali la F1-75 si è proposta come la monoposto da battere. Invece, la stagione si è sviluppata in maniera infausta per la Scuderia di Maranello, indicando ancora una volta la tendenza a calare cammin facendo nell’arco dell’anno. Un trend ormai conclamato.

La “cura dimagrante” a cui si è sottoposta Red Bull tra il GP di Australia e quello di Emilia Romagna ha cambiato i valori in campo. La RB18 ha preso, seppur leggermente, il sopravvento. Ferrari aveva però programmato in maniera diversa lo sviluppo della propria vettura, pianificando i primi aggiornamenti sostanziali per il Montmelò. Il progresso prestazionale c’è stato, ma è andato a discapito dell’affidabilità. Il passo in avanti sulle power unit ne ha aumentato la fragilità, come testimoniato dalle rotture verificatesi anche nei team clienti Alfa Romeo e Haas.

Dopodiché è giunta l’estate e, con essa, la direttiva tecnica 39, atta a irrigidire i controlli sulla flessibilità del fondo vettura. Non appena questa è entrata in vigore, la competitività delle Rosse è crollata. Tra Spa-Francorchamps e Zandvoort, il Cavallino Rampante non solo è diventato totalmente impotente nei confronti di Red Bull, ma si è visto ormai prestazionalmente raggiunto e superato dalla Mercedes. Mattia Binotto aveva giurato che il risultato delle Ardenne non fosse legato alle nuove direttive tecniche federali, ma quanto accaduto in Olanda ha smentito la sua teoria.

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A inquietare, però, è il fatto che questa decrescita di competitività in corso d’opera sia una caratteristica della Ferrari dell’ultimo lustro. La prova? Basta guardare alle due stagioni in cui si è concretamente lottato per il Mondiale nell’era Arrivabene-Vettel. Tra il 2017 e il 2018 le Rosse hanno vinto 11 gare, ma il dato eclatante è che 8 di esse sono state conquistate prima della pausa estiva. In quel biennio, la percentuale di successi è stata pari al 34,8% prima dello stop agostano e del 16,7% dalla ripresa alla bandiera a scacchi finale.

L’unica eccezione è rappresentata dal 2019 e dal famoso improvviso balzo in avanti prestazionale, fin troppo marcato per non destare sospetti. D’altronde il Cavallino Rampante passò dal venire praticamente doppiato in Ungheria a dettare legge a Singapore, due piste dalle caratteristiche analoghe. Difatti nel giro di poche settimane si verificò l’affaire power unit e dopo il famigerato “accordo segreto” con la Fia, la competitività tornò quella antecedente alla pausa estiva. È verosimile pensare che, tre anni orsono, pur di progredire si cercò di aggirare il regolamento.

Insomma, la tendenza è conclamata e sembrerebbe confermarsi anche nel 2022. Mattia Binotto ha di fatto ammesso che la Ferrari ormai guarda al 2023. Però, oltre a capire perché in ogni gara vengano commessi errori clamorosi, a Maranello sarebbe il caso di analizzare anche questo male ormai palese. Perché, pur partendo da progetti talvolta ottimi, non si riesce a svilupparli adeguatamente in corso d’opera? In fin dei conti, gli ingegneri sono gli stessi che li realizzano! Un paradosso. l’ennesimo di questo Cavallino Rampante il cui digiuno iridato si sta facendo sempre più lungo.

Foto: La Presse

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