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Volley, la storia di Yuri Romanò: discriminato perché italiano, da riserva a campione del mondo

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La storia di Yuri Romanò è emblematica di quanto talvolta siano miopi gli allenatori ed i dirigenti dei club italiani di volley (ma il discorso si potrebbe tranquillamente espandere anche al calcio ed alla pallacanestro). Da ormai due decenni lo straniero gode sempre di una corsia preferenziale. Sinceramente non abbiamo mai capito il motivo. Se uno straniero è superiore ad un italiano, allora è giusto che giochi, ci mancherebbe: le squadre d’altronde investono milioni di euro e devono schierare la miglior formazione possibile per provare a vincere. Il discorso cambia radicalmente nella maggioranza dei casi, ovvero quando stranieri mediocri tolgono ingiustamente il posto ai talenti di casa nostra.

Partiamo da un presupposto: della Nazionale e dell’amor patrio non interessa quasi a nessuno, purtroppo. Non siamo in un mondo ideale, qui contano solo business e profitti, da raggiungere a qualsiasi costo. Per intenderci, salvo rare eccezioni, non troverete mai un presidente o un dirigente che punterà in maniera decisa sugli italiani per “il bene della Nazionale”. Apriamo gli occhi e cerchiamo di allontanare i sogni dalle nostre menti. Allora la domanda da porre è la seguente: a parità di valore tra un italiano ed uno straniero, perché il nostro connazionale viene discriminato? Forse perché un passaporto più esotico infonde inconsciamente maggiori sicurezze? Da anni cerchiamo una risposta, ma non riusciamo a trovarla.

Torniamo a Yuri Romanò. A 25 anni ha già vinto gli Europei ed i Mondiali, è passato alla storia. Potrebbe smettere domani ed il suo nome non verrebbe dimenticato. Alla sua età sembrerebbe un giocatore ormai nel pieno della maturità, con una storia alle spalle. Invece questo ragazzo non ha mai giocato da titolare in Superlega, ovvero la Serie A della pallavolo italiana! A dire la verità, fino alla stagione 2020-2021 militava addirittura in A2 a Siena! Ciò nonostante, nella passata stagione, il ct Ferdinando De Giorgi (vuoi perché ci credesse davvero, vuoi perché alternative non ce n’erano…) gli diede fiducia, convocandolo per la rassegna continentale. Ricordate come andò a finire? Yuri Romanò sostituì Giulio Pinali nel quarto set della finalissima contro la Slovenia: con il suo braccio mancino mutò radicalmente l’inerzia di un match che stava prendendo una brutta piega per gli azzurri. Quella sera la percentuale d’attacco del brianzolo fu un sovrannaturale 90%…

Eppure neanche questo bastò per meritarsi l’agognato riconoscimento di un ruolo da protagonista in una squadra di club. Fu Milano ad acquistarlo in Superlega, ma per ricoprire il ruolo di riserva del francese Jean Patry, peraltro quasi suo coetaneo. Un campione olimpico straniero contro un campione d’Europa italiano proveniente dalla A2: indovinate chi ha giocato titolare per tutta la stagione? Siamo sicuri che il transalpino fosse realmente superiore all’azzurro? Il Mondiale, con tanto di quarto di finale tra Italia e Francia, ci ha fornito una risposta ben diversa…Qualche buonista potrebbe obiettare che Romanò, l’ottobre scorso, non era ancora al livello di Patry e che un anno in Superlega da riserva gli abbia fatto bene per maturare: nulla di più falso! Stando in panchina non si matura proprio niente, l’esperienza si acquisisce stando in campo, con anche tutti gli errori che ne conseguono.

La verità è che il Sistema (volutamente con la S maiuscola) ha letteralmente ignorato Yuri Romanò per la prima parte della sua carriera, obbligandolo ad una lunga gavetta nelle serie inferiori: chissà, se si fosse chiamato Romanovic, Romarinho o Romanchuk forse qualcuno si sarebbe accorto molto prima di lui ed ora sarebbe titolare in Superlega da 5 anni.

Finalmente, nella stagione che sta per iniziare, l’azzurro partirà titolare nella massima serie italiana con la casacca di Piacenza, compagine ambiziosa che non nasconde velleità importanti, anche di scudetto. Meglio tardi che mai. Ma c’è poco da rallegrarsi, perché casi come quello di Romanò sono da decenni all’ordine del giorno nel volley, nel basket e nel calcio: si viene snobbati perché italiani. Eppure la storia insegna e non mente: se siamo la nazione esistente che ha vinto più titoli mondiali, allora significa che siamo i migliori a giocare a pallavolo, fa parte del nostro DNA. Anche i trionfi a raffica nelle categorie giovanili non vengono valorizzati a dovere: su 10 giocatori, è già tanto se ne arrivano 4 in Superlega. Oltre che di miopia nei confronti degli italiani, forse bisognerebbe parlare senza mezzi termini di incapacità.

Foto: Federvolley

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