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Editoriali
Volley femminile, Italia: cosa non ha funzionato. Egonu non è l’unica colpevole, preoccupa la regia
La generazione d’oro del volley femminile italiano ha collezionato sin qui un Europeo (2021) e una Nations League (2022): troppo poco. L’unico trionfo iridato risale al 2002, quando la compagine tricolore si impose da outsider inattesa. E qui arriviamo subito ad un tasto dolente dello sport tricolore tout court: raramente gli azzurri vincono da favoriti. Emblematico proprio il caso della pallavolo nell’arco di poche settimane: nessuno si sarebbe atteso il trionfo degli uomini, mentre dalle donne quasi si pretendeva l’oro. È andata esattamente al contrario…
Nell’ultimo biennio la compagine del ct Davide Mazzanti ha dimostrato di non riuscire a disputare più di una competizione ad altissimi livelli nella stessa stagione: nel 2021, dopo la debacle olimpica, era arrivato il riscatto nella rassegna continentale; quest’anno, dopo una Nations League dominata (peraltro superando il Brasile in finale…), un Mondiale vissuto ben al di sotto delle aspettative. In Olanda l’Italia ammirata a giugno e luglio è rimasta un miraggio. Quella squadra continua in battuta, costante in attacco e superlativa in difesa si è smarrita in un marasma di dubbi ed insicurezze che hanno via via pervaso il gruppo.
Non è un mistero che dal rendimento di Paola Egonu dipendano gran parte dei destini della selezione tricolore. Quando la stella principale si eclissa, emerge la lampante carenza di alternative tra i terminali offensivi. Viene da chiedersi dove sia finita la straripante attaccante che aveva dato spettacolo nel corso dell’estate. Tanti, troppi errori, per di più sovente proprio nei momenti decisivi delle partite: quel set-point mancato sul 24-23 del terzo set, a posteriori, si è rivelato la pietra tombale del Mondiale azzurro. La classe 1998 non ha mai trovato il feeling con il servizio: eloquenti i soli 7 ace messi a segno in tutto il torneo, per lei un numero irrisorio. La sensazione è dal punto di vista fisico non fosse la solita Egonu e, inconsciamente, ne ha risentito tutta la squadra.
Vogliamo sottolineare, ad ogni modo, come l’Italia non abbia di certo perso (solo) per colpa di Egonu. Ha lasciato basiti come il gruppo si sia completamente sfaldato nel corso del quarto set, come se l’occasione mancata nel parziale precedente avesse prosciugato le azzurre di ogni energia mentale. Le italiane non sono state capaci di reagire, in quel momento la partita restava apertissima: in questi casi il compito di spronare e scuotere le giocatrici spetta all’allenatore, che evidentemente non è stato in grado di produrre la scossa necessaria.
Sabato l’Italia tornerà in campo per giocarsi un bronzo che fa sempre comodo per le statistiche e gli albi d’oro, ma di sicuro, anche qualora arrivasse, non lenirebbe una ferita che farà male per diversi mesi e che apre scenari nebulosi in vista di Parigi 2024. Tanti invocano la naturalizzazione della russa Ekaterina Antropova, che andrebbe però a creare un dualismo con Paola Egonu (entrambe giocano nel ruolo di opposto), a meno che non venga adattata in banda: ha però senso, per una nazione che quest’anno ha dominato ogni competizione giovanile, fare ricorso ad un rinforzo straniero? Forse sì, almeno per limitare in qualche modo la Egonu-dipendenza. Marina Lubian rappresenta una gradita novità al centro, aspettando il pieno recupero di Sarah Fahr. Il vero problema però, a nostro avviso, è quello della regia: sia Alessia Orro sia Ofelia Malinov, al momento, non offrono le necessarie garanzie per poter prendere le redini di una squadra che, potenzialmente, deve partire per vincere i Mondiali e le Olimpiadi. Il gruppo è giovane, le occasioni per riscattarsi non mancheranno, ma non saranno infinite ed iniziano a ridursi: tempus fugit.
Foto: FIVB