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MotoGP, tutti i precedenti in cui il Mondiale si è assegnato all’ultima gara. Brutti ricordi per Valentino Rossi

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La stagione 2022 è la diciottesima nella storia del Motomondiale in cui il titolo iridato della classe regina viene assegnato all’ultima gara. La dinamica è stata molto frequente soprattutto fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, mentre ultimamente è diventata più rara. L’occasione è comunque propizia per ripercorrere la storia dei round conclusivi decisivi per il conferimento del Mondiale.

1950 – La partita è tra Umberto Masetti (Gilera) e Geoff Duke (Norton). Quest’ultimo deve vincere o arrivare secondo, sperando che qualcuno si frapponga fra lui e l’italiano. Il britannico, in effetti, a Monza domina. L’emiliano però si attesta alla piazza d’onore e difende la sua leadership iridata.

1952 – Sfida a tre per il titolo. Si arriva in Spagna con Umberto Masetti (Gilera) a quota 22, Reg Armstrong (Norton) a 20 e Leslie Graham (MV Agusta) a 17. Il sistema di punteggio è 8-6-4-3-2-1. I primi due sono padroni del proprio destino, nel senso che vincendo si laureerebbero campioni a prescindere dal risultato del rivale. La gara va però al terzo incomodo Graham, mentre il titolo è appannaggio di Masetti, che chiude secondo controllando senza problemi la situazione. Armstrong non è mai un fattore e non va oltre la quinta piazza.

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1957 – A Libero Liberati (Gilera) basta arrivare sesto a Monza. Il ternano volante non si accontenta di un piazzamento, va a vincere e suggella nel migliore di modi il suo trionfo iridato.

1966 – Giacomo Agostini (MV Agusta) giunge a Monza al comando della classifica generale, ma Mike Hailwood (Honda) è minaccioso. Se il britannico vince, è Campione. Se arriva secondo o terzo davanti all’italiano idem. L’inglese va al comando, ma si ritira per la rottura di una valvola, spianando la strada al primo titolo di Mino.

1967 – Nuova sfida tra Agostini (MV Agusta) e Hailwood (Honda), che però stavolta non è padrone del proprio destino. Al lombardo è infatti sufficiente concludere secondo per laurearsi Campione. È proprio quello che fa. Lascia andare in fuga il britannico e gestisce la posizione d’onore nel freddo di Mosport (Canada).

1975 – La contesa è fra Agostini (Yamaha) e Phil Read (MV Agusta). Al bresciano basta arrivare settimo a Brno per conquistare il Mondiale. Mino corre quindi per un piazzamento e, giungendo secondo, si fregia dell’ennesimo titolo.

1978 – Volata fra Kenny Roberts (Yamaha) e Barry Sheene (Suzuki), con l’americano in vantaggio di 7 punti (la vittoria all’epoca ne vale 15). Lo statunitense corre in funzione del britannico, lo controlla e si laurea Campione.

1979 – Situazione molto simile a quella che vivremo domenica. Kenny Roberts (Yamaha) può essere scavalcato da Virginio Ferrari (Suzuki) solo se l’italiano vince e l’americano finisce fuori dai primi dieci. A Le Mans, però l’emiliano cade (rischiando di morire) e il titolo va al californiano.

1980 – Stesse circostanze dell’anno prima, ma stavolta Kenny Roberts (Yamaha) deve tenere d’occhio Randy Mamola (Suzuki). Al Nürburgring quest’ultimo ci prova e va in fuga, ma poi retrocede al quinto posto a causa di un calo di potenza. Non sarebbe cambiato nulla, il connazionale comunque stava gestendo senza problemi il suo cospicuo vantaggio in classifica generale.

1981 – Battaglia tra due alfieri Suzuki, Marco Lucchinelli e Randy Mamola, che arrivano all’ultima gara di Anderstorp (Svezia) separati da 9 punti in favore dell’italiano, al quale, in caso di successo del rivale, serve arrivare quinto. Per Lucky si mette male, perché sprofonda nelle retrovie dopo un problema nell’avvio della sua moto. Cionondimeno, la pioggia arriva in soccorso del ligure. Il californiano, come al solito, sul bagnato va in crisi e cola a picco, consegnando il Mondiale al compagno di marca.

1983 – È una stagione memorabile, caratterizzata dal furioso duello tra Freddie Spencer e Kenny Roberts. Il confronto, serratissimo, è esacerbato da due dinamiche. Innanzitutto il primo corre per Honda e il secondo per Yamaha. Inoltre è un duello generazionale, perché Fast Freddie è di dieci anni più giovane rispetto all’affermato connazionale. Si arriva a Misano con Spencer a +5 su Roberts. Se quest’ultimo vince, l’astro nascente deve arrivare secondo per difendere la leadership iridata. Il GP di San Marino è tesissimo. Yamaha ne ha di più, ma quando Roberts si pone al comando tiene volutamente un ritmo contenuto per cercare di favorire il ritorno del compagno di squadra Eddie Lawson, rimasto impantanato a centro gruppo dopo la partenza. Spencer se ne rende conto e sorpassa più volte il rivale per tenere l’andatura elevata. Alfine, gli strappi di Fast Freddie impediscono a Lawson di frapporsi fra lui e Roberts, che vince la gara, ma la piazza d’onore di Spencer vale il Mondiale all’alfiere Honda.

1989 – Eddie Lawson (Honda) ha un vantaggio solidissimo su Wayne Rainey (Yamaha), poiché gli è sufficiente arrivare 11° per conquistare il titolo. Eppure in Brasile non corre in maniera conservativa, bensì come se fosse una gara come le altre, prendendosi tutti i rischi del caso. Gli va bene, perché chiude sul podio e si laurea Campione.

1992 – Per la prima volta, il pilota che arriva in testa al Gran Premio conclusivo non vince il Mondiale. C’è però di mezzo un infortunio. Mick Doohan (Honda) sta dominando la scena, tanto da ottenere cinque vittorie e due secondi posti nelle prime sette gare. Però ad Assen cade e rischia l’amputazione di una gamba. È costretto a osservare una lunga convalescenza, durante la quale Wayne Rainey (Yamaha) recupera progressivamente terreno. L’australiano forza al massimo i tempi di recupero, riuscendo a tornare in pista prima della fine dell’anno, ma la sua condizione fisica è precaria. Alla vigilia del GP di Sudafrica è ancora primo in classifica generale (130 a 128), ma a Kyalami, pur facendo il possibile, non ha modo di contrastare l’americano. Doohan getta il cuore oltre l’ostacolo e si piazza sesto. Non basta, perché Rainey chiude terzo e fa proprio il titolo.

2006 – Epilogo anomalo per una stagione anomala, a cui a Valentino Rossi ne succedono di tutti i colori. Il Dottore si presenta a Valencia con 8 punti di vantaggio su Nicky Hayden. Può permettersi di controllare il rivale, ma cade nei primi giri. Si rialza, però è oltremodo attardato. Lo statunitense corre in maniera accorta, si disinteressa delle imprendibili Ducati e conclude terzo. L’italiano, invece, è solo tredicesimo e deve abdicare dopo cinque Mondiali consecutivi.

2013 – Per certi versi, è una sorta di remake del 1983. Si arriva a Valencia con l’astro nascente Marc Marquez (Honda) a +13 sull’affermato Jorge Lorenzo (Yamaha). El Martillo si pone al comando e tiene volutamente un ritmo contenuto, nella speranza che il più giovane connazionale commetta un errore, oppure che tra lui e il rivale si frappongano almeno tre avversari. Nessuno, però, ha il passo per riuscirci e, al contempo, MM93 non sbaglia. Chiude terzo e si laurea Campione all’esordio.

2015 – Valentino Rossi diventa, suo malgrado, il primo e unico pilota della storia a perdere due titoli pur presentandosi all’ultima gara della stagione in testa alla classifica generale. Stavolta però c’è di mezzo la penalità rimediata dal Dottore per essere ingenuamente caduto nelle provocazioni di Marc Marquez in Malesia. Rossi ha 7 punti di vantaggio su Jorge Lorenzo, ma deve partire dall’ultima posizione. Rimonta sino al quarto posto, però il compagno di squadra vince e conquista un Mondiale che, tuttavia, nessuno ritiene pienamente legittimo. Subito dopo la fine della stagione, aziende di peso rescinderanno contratti di sponsorizzazione con il maiorchino, il quale verrà addirittura scaricato da Yamaha in ottica 2017…

2017 – Si giunge a Valencia con la stessa situazione che vivremo domenica. Marc Marquez (Honda) ha 21 punti di margine su Andrea Dovizioso (Ducati), che deve quindi vincere sperando di vedere il rivale fuori dai primi undici. In una gara di gruppo, lo spagnolo rischia persino di cadere, recuperando in maniera miracolosa. Pochi istanti dopo, invece, a terra finisce proprio l’italiano, il quale alza definitivamente bandiera bianca nella contesa iridata.

Foto: La Presse

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