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Sport Invernali, Johannes Kühn dice un’idiozia, ma genera una profonda riflessione sulla riammissione della Russia

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Nei giorni scorsi hanno destato scalpore le dichiarazioni del biathleta tedesco Johannes Kühn che, in occasione della presentazione delle squadre nazionali, ha detto all’emittente radiofonica BR24 Sport quanto segue: “Nel biathlon abbiamo armi vere e munizioni vere. Non so quanto sarebbe bello se un russo e un ucraino si trovassero in pista assieme. Di solito sono tutti bravi ragazzi, ma chissà cosa potrebbe succedere”. Non tutti i mali vengono per nuocere. Il trentunenne bavarese, pur proferendo una colossale idiozia, ha involontariamente acceso i riflettori su un tema inquietante.

Di “colossale idiozia” si può parlare senza timore di smentita per due ragioni. Primo, perché in tutta la storia del biathlon non si ha memoria di incidenti di alcun tipo legati all’utilizzo di armi da fuoco, neppure nei momenti di maggior tensione legati alla guerra fredda. In secondo luogo perché non sono necessari proiettili calibro 22 per fare del male a qualcuno. Gli uomini si fanno la guerra da quando sono nati, ben prima dell’utilizzo della polvere pirica. Si usavano lame, bastoni e pietre. Anzi, per spegnere una vita sono sufficienti le nude mani, se c’è il proposito di farlo.

Questa è la grande discriminante, la volontà di nuocere agli altri. Puntare il dito contro le carabine è una scemenza, perché Kühn dovrebbe ricordarsi come qualsiasi oggetto possa diventare un’arma impropria. Un esempio potrebbero essere i bastoncini utilizzati comunemente anche dai fondisti, piuttosto che gli sci stessi. Tutto può servire a ledere, se è quello lo scopo dell’azione. Proprio questa dinamica genera una riflessione. Di preciso, quanto a lungo bisognerà aspettare prima di tornare alla normalità? In termini pratici, quanto tempo passerà prima di rivedere la Russia in contesti di carattere internazionale? Verosimilmente potrebbero trascorrere anni.

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Indipendentemente da come la si pensi in merito al conflitto armato in corso nell’Europa dell’Est, è indubbio come l’opinione pubblica dell’Europa Occidentale sia pervasa da un sentimento anti-russo. Forse in Italia meno che altrove, ma in Paesi quali Norvegia, Svezia e Polonia la situazione, sotto questo punto di vista, è molto delicata. I russi vengono visti dall’uomo comune come l’incarnazione del “male” e dei “cattivi” cinematografici. Questa percezione non si accende e si spegne come un interruttore, ma è destinata a perdurare.

Bastano pochi istanti per procurarsi una ferita, ma servono giorni o settimane perché guarisca completamente e, a volte, lascia comunque una cicatrice. Vale per il corpo, così come per l’animo umano. Lo sport è condizionato da queste vicende. Pensiamo alla rivalità calcistica tra Germania e Olanda, nata nel 1974 anche in virtù del sentimento anti-tedesco che ancora impregnava gli olandesi a causa dell’occupazione nazista. Erano passati tre decenni, la Germania non era più la stessa né politicamente né culturalmente. C’era stata una frattura generazionale a fine anni ’40, con i figli arrivati a rinnegare i propri genitori per quanto avvenuto. Eppure, nonostante fossero cambiati, i tedeschi erano ancora visti come “i lupi cattivi” dagli olandesi perché le cicatrici emotive della seconda guerra mondiale erano rimaste.

A marzo 2022, le ragioni per cui si è impedito ai russi di gareggiare in Scandinavia erano legate alla “sicurezza”. I camion degli skimen già presenti sul suolo norvegese sono stati vandalizzati da ignoti e le autorità non potevano garantire l’incolumità degli atleti proprio a causa dell’astio provato dalla gente comune. Dunque, se le premesse sono queste, quanto a lungo dovremo attendere per rivedere la Russia in un contesto internazionale? Prima o poi anche questa guerra, come tutte le guerre, finirà. Però lascerà l’Ucraina in macerie materialmente e furiosa moralmente. Magari il conflitto terminerà per politici e militari, ma il risentimento verso la Russia da parte di certi popoli proseguirà ad ardere ancora a lungo. Cosa si farà nello sport? Si dovrà attendere giocoforza qualche anno per ricucire lo strappo? Chi lo sa. L’unica certezza è che mala tempora currunt, sed peiora parantur.

Foto: La Presse

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