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Biathlon, Tommaso Giacomel è già realtà. Serve pazienza per Didier Bionaz. E i più giovani…

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Tommaso Giacomel

L’Italia del biathlon maschile si sta giocoforza affidando a una nuova generazione. I ritiri di Dominik Windisch e Thomas Bormolini, a cui si è sommata l’imprevista e prolungata sosta ai box di Lukas Hofer, hanno buttato nella mischia una batteria di giovani atleti, alcuni dei quali letteralmente alle prime armi.

Fra di essi ha cominciato a splendere di luce propria Tommaso Giacomel, che a dispetto dell’età vanta già un piccolo bagaglio d’esperienza nel circuito maggiore. Si è detto e scritto parecchio sul ventiduenne trentino, impostosi come nuovo punto di riferimento della squadra in contumacia di chi lo è stato per un decennio abbondante. Sarebbe tedioso tornare su concetti già espressi a più riprese.

Vale tuttavia la pena di sottolineare come il numero 1 pro tempore del movimento azzurro abbia dimostrato di valere costantemente i primi venti del mondo nel comparto sci di fondo, viatico fondamentale per poter ottenere risultati di rilievo. È lapalissiano come, in una disciplina quale il biathlon, per accedere ai quartieri nobili delle classifiche sia obbligatorio tenere anche percentuali d’eccellenza, soprattutto nel contesto attuale, dove il margine d’errore è minimo.

Biathlon, Lisa Vittozzi e Dorothea Wierer in modalità copia-incolla. Tommaso Giacomel sta crescendo e maturando

Al riguardo i progressi di Giacomel sono tangibili. Nelle gare individuali disputate sinora ha sparato con l’80,0% a terra e con il 78,5% in piedi. Se la precisione nello standing shooting è in linea con le abitudini, quella nella posizione sdraiata è la più alta della carriera. Non sorprende, quindi, che la sua competitività sia cresciuta. I risultati dimostrano come Tommaso sappia galleggiare costantemente attorno alla 15ma posizione. Con questi prodromi, il giorno in cui arriverà il lampo del fatidico “zero” ci sarà la possibilità di udire un tuono roboante. Insomma, “c’è tanta carne al fuoco”. Bisogna solo lasciarla cuocere il giusto, senza essere ingordi.

Discorso differente per Didier Bionaz, nonostante nell’immaginario collettivo venga affiancato a Giacomel. Del resto ne è coetaneo e si è presentato (con credenziali) nel massimo circuito pressoché in contemporanea con il trentino. Cionondimeno, il percorso dei due non è più parallelo, avendo diverto a partire dallo scorso anno.

Se volessimo mantenere la metafora culinaria, qualcuno potrebbe definire il valdostano “tanto fumo e poco arrosto”. Sarebbe però un’analisi superficiale da tifosotto, che quindi di analitico non avrebbe nulla. Si tratterebbe, piuttosto, di una sentenza frettolosa, letteralmente sputata da chi, facendo zapping tra il biathlon e il sepak takraw, è convinto di poter parlare di qualsiasi sport con cognizione di causa, limitandosi invece a dare una lettura dei risultati senza considerare che, di ogni iceberg, si vede solo la punta.

L’opinione di chi scrive è che di Bionaz si stia vedendo solo il fantasma. Bisogna ricordarsi come questo ragazzo, il 22 gennaio 2021, sia andato a un bersaglio da salire sul podio nella 20 km di Anterselva, avendo quindi la possibilità di realizzare con un paio di anni d’anticipo quanto compiuto da Niklas Hartweg il 29 novembre 2022 a Kontiolahti. Cos’è successo nel mentre? L’impressione è che il caso sia il medesimo di Rebecca Passler. Nel momento in cui i carichi di lavoro sono diventati più imponenti, l’organismo dell’atleta ha accusato il rinculo del colpo.

La differenza è che il fisico della ventunenne altoatesina ha metabolizzato il cambiamento e, in questo 2022-23, ha ripreso il percorso interrotto, mettendo tra parentesi l’anonimo 2021-22. Al contrario, il corpo del ventiduenne valdostano non sembra aver ancora assimilato allenamenti molto più probanti. Ognuno ha caratteristiche diverse, d’altronde. Dunque, per Didier serve pazienza, alla quale bisogna associare anche la speranza. Quella di vederlo riprendere consistenza agonistica, dopo essere diventato (non certo volontariamente o per sue colpe) l’ectoplasma di sé stesso. La carta d’identità è ancora amica, ci possono essere tempo e modo per riannodare quei fili divenuti pendenti.

Il ricambio generazionale e i tanti pettorali a disposizione hanno consentito di lanciare anche una serie di ragazzi pressoché digiuni di esperienza. Pertanto i vari Daniele Fauner e David Zingerle hanno necessità di prendere le misure con il circuito maggiore, le cui dinamiche sono totalmente diverse rispetto a quelle dell’Ibu Cup. In Coppa del Mondo si fa sul serio, ci sono i migliori in assoluto e ci si deve confrontare con chi scioglie la neve sotto gli sci. In altre parole, l’asticella si alza e di parecchio. Serve tempo per adattarsi e sviluppare il proprio potenziale. O si è fenomeni assoluti, oppure non ci si inventa nulla dall’oggi al domani, fermo restando che anche lo Sturla Holm Lægreid e l’Emilien Jacquelin di turno hanno, a loro modo, dovuto mangiarne di polenta prima di diventare, appunto, il Lægreid e lo Jacquelin che conosciamo. Se vale per questi due, figuriamoci per tutti gli altri. Si chiamino Fauner, Zingerle o chi eventualmente esordirà nel prossimo futuro.

Il discorso può essere declinato in maniera simile, seppur non analoga, anche per Daniele Cappellari e Patrick Braunhofer. Scendere in pista in Coppa del Mondo costantemente, senza doversi accontentare di estemporanee “toccate e fughe” può aiutare a crescere sugli sci. Bisogna dimostrare di avere il livello per farlo, oppure restare in salute. È possibile costruirsi, con pazienza e abnegazione. Se ci sono queste due qualità, si può fare strada. Thomas Bormolini docet.

Foto: LiveMedia/Florian Frison/DPPI

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