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Sci di Fondo. Simone Mocellini è l’allodola messaggera di una nuova alba azzurra? Si può andare oltre Pellegrino

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Venerdì 9 dicembre l’Italia dello sci di fondo ha festeggiato un risultato assolutamente inatteso, ovvero il 2° posto di Simone Mocellini nella sprint a tecnica classica di Beitostølen. Nessuno avrebbe mai immaginato che il ventiquattrenne trentino potesse fregiarsi della piazza d’onore in una gara di Coppa del Mondo con così poca esperienza sulle spalle (era solamente la sua settima presenza nel massimo circuito). Cionondimeno l’exploit è divenuto realtà.

Certo, è stato propiziato da una serie di fattori, quali assenze e defaillance nella Norvegia padrona di casa. Tuttavia trattasi di performance legittima e di podio ampiamente meritato. Sin dalle qualificazioni, chiuse con il terzo tempo, il finanziere aveva dimostrato di essere estremamente competitivo. Bravissimo lui a cogliere la palla al balzo, sfruttando nel migliore dei modi la giornata di grazia e l’occasione favorevole.

Quanto accaduto sulle nevi dell’altopiano Valdresflya merita di essere celebrato e sottolineato poiché non sembra una falsa aurora. La prudenza è d’obbligo, però potremmo realmente essere al cospetto del primo, vero, barlume dello sci di fondo azzurro che verrà. Forse, per la prima volta dopo tanti anni, si intravede un futuro per la disciplina in Italia. Lungi da chi scrive la volontà di generare aspettative esagerate o di cavalcare facili entusiasmi a scopi populistici. Ogni risultato va contestualizzato ed è stato spiegato come la congiuntura fosse benevola. Però è indubbio come la sensazione sia quella di essere di fronte a qualcosa di nuovo e di fresco.

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L’esplosione di gioia dei tecnici azzurri non appena Mocellini ha tagliato il traguardo è stata emblematica. Da tempo immemore non si assisteva a una manifestazione di gaudio collettiva in seno allo staff, neppure per le ultime medaglie conquistate da Federico Pellegrino. Potrà apparire paradossale, ma in realtà non lo è. Chicco è considerato una certezza, la sua longevità agonistica, rimarcata da continui risultati di rilievo, ne consolida viepiù lo status. Quello di essere uno dei più grandi fondisti italiani di sempre.

Tuttavia, le performance del trentaduenne valdostano ormai nulla aggiungono e nulla tolgono allo sci di fondo azzurro tout-court. I suoi sono divenuti trionfi di un singolo, personali. Attorno a lui c’è il deserto o quasi. Nessuno può mettere in discussione un atleta che nell’ultimo decennio ha permesso all’Italia di testimoniare la propria esistenza sugli schermi radar della disciplina. I 40 podi individuali, comprese quattro medaglie tra Olimpiadi e Mondiali, sono un’enormità.

Però Pellegrino non è lo sci di fondo italiano; e viceversa. Oggi come oggi, ogni suo compimento ha il malinconico profumo di un presente sempre più vicino a tramutarsi in passato.

Al contrario venerdì, a Beitostølen, si è percepito l’inizio di una nuova fase, magari figlia principalmente della speranza, tornata a riscaldare il cuore di chi si occupa e soprattutto porta avanti lo sci di fondo nel nostro Paese. Si è percepita un’alba all’orizzonte della fitta nebbia da cui era avvolto il futuro. La fiducia in esso, indispensabile per tenere vivo il movimento, manca da tanto, troppo, tempo. C’è bisogno della prospettiva che dopo Chicco vi possa essere un domani e che tutto non finisca con lui.

Mocellini sarà realmente l’allodola messaggera di una nuova aurora azzurra? Lo scopriremo solo vivendo. Non c’è la presunzione di dare una risposta a tale quesito. Nessuno ha il dono della preveggenza e nelle analisi è sempre doveroso essere equilibrati, senza farsi prendere dallo sconforto o dall’euforia a seconda dei momenti. Dunque, a oggi, 12 dicembre 2022, non si può certo pretendere di vedere Simone sul podio in ogni sprint in alternato o di considerarlo un candidato alle medaglie ai Mondiali di Planica.

Cionondimeno il ventiquattrenne trentino può rappresentare la possibilità di vedere lo sci di fondo azzurro andare oltre al tandem composto da Federico Pellegrino e Francesco De Fabiani, che per tanti anni ha tirato avanti la proverbiale carretta. Ci può essere modo di rinnovarsi, evolvere e sopravvivere. Anche senza il “Papa straniero” Markus Cramer. Perché il tecnico tedesco, da alcuni accolto e trattato come un “Messia”, si è in realtà formato proprio seguendo anche i dettami del sistema italiano, quando esso era all’avanguardia. Inoltre, non rimarrà in Italia in eterno.

Sarà cruciale proseguire sulla strada intrapresa da e con Mocellini, senza cambiarla più di tanto. If it works, don’t fix it dicono oltreoceano. “Se funziona, non aggiustarlo”.

L’augurio è che ora non ci sia la corsa a “mettere il cappello” sull’exploit di Simone. Quanto accaduto venerdì ha dimostrato come si possa ripartire e rinascere. Il germoglio, però, è tutto da coltivare. Soffocarlo, con egocentrismi o personalismi, sarebbe criminale e imperdonabile.

Foto: Fiamme Gialle

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