Biathlon
Biathlon, l’età aurea dell’Italia femminile inquinata dalla rivalità fra ‘Wiereristi’ e ‘Vittozziani’
L’Italia del biathlon femminile sta vivendo uno dei momenti più luminosi della sua storia. Merito di Dorothea Wierer e Lisa Vittozzi, capaci di lottare per il successo in ogni gara. Paradossalmente, nel nostro Paese, si sta però contemporaneamente attraversando il periodo più buio di sempre relativamente al clima che circonda la disciplina.
I social network hanno tanti difetti, ma al contempo sono il termometro del sentimento popolare, essendo il modo in cui la proverbiale vox populi si è riproposta nel XXI secolo. Per questo non si possono derubricare a “casi isolati” i sempre più frequenti episodi di intolleranza sportiva che, proprio attorno al biathlon, si stanno moltiplicando nelle ultime settimane.
È doveroso sottolineare come (fortunatamente) la maggioranza degli appassionati non sia affetta dalla dinamica di cui si sta per parlare. Cionondimeno è innegabile come il tifo, inteso nella sua accezione peggiore, abbia contaminato frange non marginali del pubblico. Se volessimo utilizzare una terminologia legata, appunto, ai social network potremmo parlare di #teamDoro (i sostenitori più intransigenti di Wierer) e di #teamLisa (la controparte pro-Vittozzi). Due schieramenti opposti, a favore esclusivamente dell’una o dell’altra, sempre pronti a battibeccare.
È allarmante constatare come gli sfottò fra le due parti siano sempre più diffusi e frequenti. Se fa risultato la trentaduenne altoatesina, i suoi ayatollah non lesinano frecciatine alla ventisettenne di scuola friulana. Al contempo, se è la sappadina a raccogliere a piene mani, i suoi talebani alzano la cresta e sono pronti a punzecchiare la veterana sudtirolese.
Chi si occupa della disciplina da quindici o più anni si rende conto di quanto sia diventato difficile raccontarla, perché questa polarizzazione sta prendendo una deriva inquietante. Qualsiasi articolo scritto su una delle due, qualsivoglia frase pronunciata in telecronaca, persino il tono con cui Dario Puppo e Massimiliano Ambesi trattano i vari momenti delle gare di Wierer e Vittozzi, vengono letti o ascoltati in chiave “pro” e “contro” dalle rispettive ‘Sante Inquisizioni’.
I professionisti dell’informazione sorvolano queste dinamiche. Fanno parte del loro mestiere e sanno gestirle. Però se si arriva ad avere testimonianza di minacce arrivate privatamente ad appassionati comuni da ayatollah o talebani che non hanno gradito un semplice commento sulla loro preferita, significa che si sta prendendo una brutta china. È doveroso quindi fermarsi a riflettere, prima di degenerare ulteriormente.
La logica della “Curva Nord” e della “Curva Sud”, di cui sono impregnati i derby calcistici, ha ormai contaminato anche il biathlon. Dove però non ci sono società ultracentenarie, con una propria storia e identità, attorno alle quali gravitano tifoserie organizzate, con tutti gli annessi e i connessi del caso. La ratio è la medesima, ma riguarda due biathlete. È agghiacciante appurare come, in taluni casi, si rasenti il fanatismo. Non si può definire in maniera differente quanto sta accadendo.
In Norvegia non si vedono esaltati pro-Røiseland sghignazzare perché Eckhoff è ferma ai box. In Svezia non ci sono biografi invasati della famiglia Öberg a rosicare se Anna Magnusson vince a Le Grand Bornand. In Francia non c’è spazio per #equipeSimon o #arméeChevalier. In Italia, invece, si percepisce sempre di più una contrapposizione tra wiereristi e vittozziani.
Forse è una questione culturale, forse altro. Di sicuro, è triste accertare come esista la suddetta divisione in clan. Signori ayatollah e talebani, lasciatevi dire una cosa prima di scatenarvi di nuovo. Non solo al 90% di chi segue il biathlon non frega niente di appartenere a #teamDoro o a #teamLisa, ma non li concepisce neppure. Perché il tifo “per” non implica necessariamente il tifo “contro”. Fatevene una ragione. Lascereste tutti più tranquilli e vivreste più serenamente anche voi.
Foto: La Presse