Ciclismo
Fabio Aru: “Tornare a correre? Mai dire mai…Bagioli e Piccolo mi piacciono. Vita normale più frenetica”
Da piccolo Fabio Aru non avrebbe mai pensato di diventare un corridore professionista. Da semplice hobby quotidiano il ciclismo è diventato il suo lavoro. Il “Cavaliere dei Quattro Mori” ha dedicato ben 15 anni alla sua più grande passione, costretto però per inseguire i suoi sogni, a lasciare la sua amata Sardegna e i suoi affetti più cari. Il suo palmares vanta nove vittorie, fra le quali spicca la Vuelta a España 2015, una tappa al Tour de France, tre al Giro d’Italia e due alla Vuelta. Nel suo armadio spiccano la maglia gialla, quella rosa e quella rossa, oltre a quella tricolore di campione italiano nel 2017. Nel 2021 ha deciso di salutare il ciclismo professionistico e per farlo ha scelto la Spagna, a conclusione della Vuelta, terra che appunto gli ha regalato alcune delle soddisfazioni più belle. Il 2022 per Fabio è stato il primo da ex, anno in cui è diventato papà per la seconda volta.
Fabio, come stai?
“Bene, tutto bene grazie”.
Dopo Ginevra è arrivata Ludovica. Sei papà-bis…
“Tutto bene, le bambine stanno bene e noi siamo molto felici”.
Come è stato il tuo primo anno da ex-corridore e come lo hai trascorso?
“È stato un anno sicuramente diverso dal solito a livello di programmazione. L’essere umano poi è fatto per lamentarsi qualsiasi cosa faccia e quindi quando ero professionista pensavo di essere sempre molto impegnato tra ritiri e corse ma siamo anche tanto supportati dai team e quindi bisogna pensare solo ad allenarsi. La vita normale invece è fatta più di frenesia sotto alcuni aspetti. Quando mi allenavo ero impegnato al mattino, ma il pomeriggio lo avevo libero; adesso non è più così, ma sono felice”.
Ti è mai balenata l’idea, magari anche per pochi istanti, di dire: “Torno a gareggiare”?
“Seguo con piacere le gare, ogni tanto ci sono dei momenti dove provo un po’ di nostalgia. Sono stato a Montecarlo per BEKING Monaco ed ero in mezzo a tutti i miei ex colleghi e quindi ho rivissuto un po’ i vari momenti: è stato bello, sto bene così. Però mai dire mai…(ride, ndr)”.
Rispetto a quando tu sei passato professionista, cosa è cambiato in Italia a livello di sviluppo dei giovani?
“Rispetto a quando sono passato io, oggi c’è una programmazione più precisa. Quando facevo ciclocross a 16/17 anni ero seguito, ma adesso ci sono molte più cose, un altro mondo. Oggi c’è una precisione assoluta già dalle categorie minori, tra nutrizionista, traning camp, misuratori di potenza e via dicendo. Io il potenziometro l’ho usato per la prima volta nel 2012 con l’Astana. In questi ultimi anni quasi tutti gli juniores hanno il misuratore di potenza. Io ero molto appassionato e quindi compravo molte riviste per informarmi e capire come potevo migliorare, ma solo quando sono passato professionista ho iniziato ad avere una programmazione ad hoc”.
Quanto è importante la multidisciplinarietà?
“Secondo me è fondamentale. Oggi è tornata la normalità. A livello di guida ti aiuta tantissimo e in questi periodi invernali in meno tempo ti permette di fare un buon allenamento. La multidisciplinarietà migliora la tecnica, poi logicamente bisogna riuscire a programmare bene la stagione. La cosa che ho notato tantissimo negli ultimi anni è che io quando sono passato professionista si faceva il classico mese di stacco completo – che poteva essere da metà ottobre a metà novembre – per dare la possibilità al fisico di recuperare completamente, oggi invece si fanno dei periodi più brevi, dove si recupera meno e quindi si è sempre un po’ in forma. Bisognerà capire negli anni quanto questo sarà proficuo”.
Tra la vittoria alla Vuelta e quella alla Planche des Belles Filles, quale ricordi con maggiore affetto?
“Onestamente vorrei tornare indietro per godermele un po’ di più entrambe. Hanno tutte e due un sapore speciale, ma forse la Planche des Belles Filles ha quel qualcosa in più. Poco prima del Giro sono caduto e ho dovuto saltare la Corsa Rosa che quell’anno partiva dalla Sardegna. Ho vinto poi al Tour con la maglia di Campione Italiano nel 2017, corsa che ho dedicato a Michele Scarponi scomparso pochi mesi prima”.
Chi saranno i giovani italiani che secondo te possono stupire nel 2023?
“Per le Classiche mi piace Andrea Bagioli, ha un buonissimo talento e può crescere molto, anche Andrea Piccolo può far bene”.
Corridori come Evenepoel, Pogacar, Van Aert e Van der Poel hanno secondo te cambiato il ciclismo? In che modo?
“Pogacar è un talento unico. Van der Poel e Van Aert hanno dimostrato che si può fare la multisciplina ed essere forti nei vari terreni. Sono corridori che non hanno paura di attaccare e che hanno portato sulla strada azioni del ciclocross dove si attacca subito ad inizio corsa e quindi hanno reso le corse più spettacolari. Prima le gare erano molto più controllate e le azioni principali si facevano verso la fine”.
Foto: Lapresse