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Ciclismo

Paolo Bettini: “Non vedo nulla in Italia oltre Ganna. Da ct ho un dispiacere. Al Giro favorito Evenepoel”

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Paolo Bettini, toscano di Cecina classe 1974, in carriera ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Un’Olimpiade, quella di Atene 2004, due Mondiali (2006 e 2007), la Milano Sanremo (2003), due volte la Liegi-Bastogne-Liegi (2000, 2002) e due Giri di Lombardia (2005 e 2006) e tappe in tutti e tre i Grandi Giri, giusto per citarne alcune, per un totale di 60 vittorie; l’ultima nel 2008, nella dodicesima tappa della Vuelta di Spagna in maglia QuickStep-Innergetic, formazione con cui ha militato dal 1999 alla fine della sua carriera. Il “Grillo” di Mondiali ne ha corsi anche quattro da ct della Nazionale senza però centrare medaglie, ma due volte si è fermato ai piedi del podio: nel 2010 e 2013. Dallo scorso anno Bettini è diventato brand ambassador dell’azienda svizzera SWI in compagnia dell’amico ed ex professionista Luca Paolini.

Ti aspetti qualche gradita sorpresa da parte dei corridori italiani?

“Sono sincero, l’unico che vedo è Filippo Ganna. Non è solo il cronoman e l’uomo della pista, per me Filippo ha della qualità che non ha ancora espresso”.

Ganna punta tanto sulla Parigi-Roubaix: secondo te può vincerla già quest’anno?

“Secondo me sì, ha il giusto potenziale”. 

Secondo te perché in Italia gli sponsor fanno fatica ad investire nel ciclismo?

“Bella domanda. I numeri del ciclismo non li dà nessun’altro sport. Se oggi Mapei e Mercatone Uno sono ancora considerate come le grandi squadre del nostro ciclismo è perchè questo sport dà indietro una cosa fantastica. Tutto il mondo del ciclismo identifica nello sponsor la squadra. In Italia ci sono delle grandissime aziende. ma si fa fatica a convincere e il perché sinceramente sfugge anche a me”. 

Evenepoel-Roglic al Giro d’Italia: chi vedi favorito? Un cast così non si vedeva da tempo…

“Sarà una bella sfida. Tra i due vedo come favorito Remco, ma non perchè sulla carta è più forte ma perchè può correre in modo diverso, con una testa più leggera. Evenepoel ha davanti a lui ancora molti anni per potersi migliorare, differente invece per Roglic che ha più pressioni e qualora sbagliasse al Giro corrisponderebbe a buttar via una stagione”. 

La Federazione sta lavorando molto bene per i settori della pista e mountain bike. Per la strada il discorso é più articolato: c’è qualcosa che potrebbe fare per migliorare la situazione?

“La strada in questo momento rispecchia il sistema. Nel professionismo manca almeno una squadra World Tour che sarebbe una bella opportunità per i nostri giovani. Cosa può fare la Federazione per questo? Non lo so, ma sarebbe un tema da mettere sul tavolo e ragionare a livello istituzionale. Il nostro ciclismo giovanile è poi molto legato agli anni ’70/’80 e quindi i nostri dilettanti arrivano a fine stagione con circa 80 giorni di corsa nelle gambe. All’estero invece i giovani corrono meno, ma in corse professionistiche grazie all’esistenza delle formazioni Continental e questo ti permette di fare una maggiore esperienza. Le nostre corse sono storiche, all’estero però l’approccio è diverso in funzione della crescita di questi ragazzi”.

Hai qualche rimpianto nel periodo in cui sei stato ct?

“L’unico dispiacere è il non essere riuscito a portare una medaglia all’Italia come ct. Potenzialmente avevo gli uomini per farlo come Filippo Pozzato, Marco Pinotti e Vincenzo Nibali. Però con i ‘se’ e con i ‘ma’ non si fa la storia, va bene così”.

Se qualcuno ti chiamasse, saresti disponibile a metterti a disposizione per rilanciare il ciclismo italiano?

“Tutti noi che abbiamo corso siamo sempre disponibili a dare il nostro contributo al ciclismo italiano”. 

C’è oggi un corridore in gruppo che ti somiglia? 

“Julian Alaphilippe, in Italia invece non lo vedo”. 

Un pensiero sul tuo grande rivale Rebellin e la questione della sicurezza stradale…

“Davide è stato un amico, un compagno di allenamento, un avversario e tanto di più. Ha sempre avuto una grande professionalità e dedizione per il ciclismo, era la sua vita. Si parla tanto di sicurezza stradale ma bisogna cambiare radicalmente il sistema. È un problema sociale, in Italia siamo disordinati. C’è bisogno di una riforma legata alle patenti: le sanzioni sono certamente utili, ma bisogna tirar su nuovi patentati che abbiamo una cultura diversa, con molto più rispetto nei confronti del prossimo. I pedoni come le biciclette sono sempre la parte debole. In Italia poi, a differenza del Nord Europa, manca una cultura dell’utilizzo della bici”. 

Foto: Lapresse

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