Atletica

Marcell Jacobs: “Bolt un gigante, ma nessun record è fuori portata. Con Tortu ho imparato anche a perdere

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ESCLUSIVA – Marcell Jacobs è il Messia dell’atletica italiana. Colui che ha reso reale l’impossibile, concretizzando ciò che faceva fatica a materializzarsi persino nei sogni. Campione olimpico dei 100 metri, leggenda per sempre. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quella memorabile edizione dei Giochi di Tokyo 2020. Il palmares del classe 1994 è impressionante e, di fatto, è composto esclusivamente da medaglie d’oro.

Il 2022 non è stato un anno semplice per il fenomeno lombardo: una serie di problemi fisici gli ha impedito di potersi allenare e gareggiare con continuità. Ciò nonostante non è mancato il suo sigillo, peraltro doppio: prima l’oro mondiale nei 60 metri indoor e, qualche mese dopo, quello europeo negli amati 100. Quando si presenta al via ed è sano, Marcell Jacobs vince: lo dice la storia.

Anche quest’anno la stagione del campione olimpico inizierà con le gare indoor. Attualmente sta ultimando la preparazione invernale al caldo di Dubai, per poi debuttare nei 60 metri il prossimo 4 febbraio in Polonia, dove si svolgerà a Lodz la Orlen Cup. Il mirino è chiaramente puntato verso gli Europei che si terranno ad Istanbul dal 2 al 5 marzo. Anche se il vero e dichiarato obiettivo di Marcell Jacobs restano i Mondiali all’aperto che Budapest ospiterà nel mese di agosto: perché c’è un ultimo titolo da aggiungere alla collezione per completare un Grande Slam che lo proietterebbe tra i miti dello sport mondiale, non solo italiano.

Cosa ha significato per te vincere l’oro olimpico dopo aver vissuto delle settimane non semplici nel periodo di avvicinamento?
In realtà proprio quelle ultime settimane avevano convinto me e il mio team che avrei potuto farcela. Mi sono presentato a Tokyo 2020 con le carte in regola, anche se ancora in pochi avrebbero scommesso sulla mia vittoria. Ma io sapevo che l’oro olimpico era alla mia portata, era il mio sogno da bambino, da quando tenevo nella mia stanza a Desenzano il poster di Carl Lewis e mi allenavo ogni giorno facendo la spola tra la scuola e il campo; da quando prendevo le misure dei salti nelle competizioni Multistars e mi entusiasmavo seguendo i successi di Andrew Howe, e da quando, soprattutto, insieme al mio coach, Paolo Camossi, dopo tre nulli agli Europei di Glasgow decidemmo di passare dal salto in lungo ai 100 metri. Una decisione coraggiosa, presa dalla sera alla mattina, che si rivelò vincente. Non ho mai perso di vista l’obiettivo, anche se per arrivarci ho dovuto seguire un percorso difficile, con alti e bassi. Perché come ho scritto nel libro che racconta la mia storia, “Flash”, la vita non è un rettilineo, è piena di curve, anche di passi indietro, ma per lanciarsi subito in avanti di nuovo: l’importante è insistere, non mollare mai, finché non sei andato a prenderti il tuo sogno. Morale della favola: il talento non basta. C’è tanto lavoro dietro“.

Tornassi indietro, andresti di nuovo in Kenya per disputare la gara in altura lo scorso mese di maggio?
Col senno di poi si può dire di tutto, in realtà decidemmo di correre in Kenya per delle buone ragioni. Quella in Kenya era una pista che mi avrebbe consentito di fare un ottimo tempo. Sulla carta le condizioni erano quelle ideali. Diciamo che non ho avuto fortuna“.

Ormai sei uno degli sportivi più amati. Come vivi la celebrità e, al tempo stesso, anche le critiche degli haters che provengono dai social?
Per la verità, rispetto a quello che ogni giorno leggiamo sul web, io posso ritenermi più che contento. Sento attorno a me, in rete, un affetto e un incoraggiamento che mi aiutano molto ad affrontare il lavoro di ogni giorno e i momenti importanti della stagione. Raramente leggo critiche sulle mie pagine social, al contrario. In ogni caso, io cerco di essere me stesso nella vita così come nella comunicazione social. La celebrità non mi ha cambiato e ne sono fiero. Sono sempre me stesso, con i miei sogni che continuo a inseguire perché sono il sale della vita ed il motivo per cui cerco di dare sempre il meglio. Sentirmi addosso gli occhi delle persone perché sono un volto riconoscibile non mi dispiace, ma quello che mi colpisce di più è che questo affetto, questa attenzione, non dipendono dalla mia notorietà, ma dalle emozioni che sono riuscito a trasmettere, specialmente il giorno della vittoria alle Olimpiadi. Le persone non si limitano a stringermi la mano o chiedermi un selfie quando mi incontrano. Sentono la necessità di ringraziarmi per l’emozione che gli ho fatto vivere e che spero di continuare a far vivere anche in futuro“.

Quanto pensi che possa valere Marcell Jacobs al 100% della forma nei 100 metri? In allenamento che tempi hai fatto?
Sui tempi negli allenamenti mantengo il segreto. A Dubai sto lavorando molto bene, le strutture sono eccezionali, il contesto è piacevole. Ci sono le condizioni per ottenere miglioramenti continui. Io sono determinato a vincere, sono in forma, ma considerando qualche piccolo infortunio avuto in passato lo dico sottovoce, incrociando le dita. Il segreto della vittoria sta tutto in un delicato equilibrio tra il corpo, la mente e il lavoro di ogni giorno, con l’obiettivo di superare continuamente i miei limiti. Quanto valgo al 100% della forma non lo so neppure io. Devo ringraziare la mia famiglia, in particolare mia moglie Nicole che ho sposato a settembre, e tutta la mia squadra, per la serenità che mi danno. La serenità è fondamentale per vincere“.

Al record del mondo di Bolt ci pensi o per il momento lo ritieni fuori portata?
Bolt è un gigante. Ma per principio nessun record è fuori portata“.

Da qui a Parigi 2024 c’è un avversario che dovrai tenere d’occhio più di altri, magari tra i più giovani?
I miei avversari ormai li conosco bene. Fred Kerley, ovviamente, ma anche Trayvon Bromell, che apprezzo molto umanamente e nella cui storia mi riconosco, e Andre De Grasse, che ha un gran finale. Tra i giovani, vanno tenuti d’occhio il giamaicano Oblique Seville, che invidio molto per i suoi 21 anni, e il botswano Letsile Tebogo, che ne ha 19 ed è recordman mondiale under 20“.

Nel 2024 gli Europei di Roma si svolgeranno un mese prima delle Olimpiadi: sarà un problema avere due picchi così ravvicinati. La priorità sarà comunque per i Giochi?
Intanto, sono abbastanza soddisfatto della scorsa stagione, anche se un infortunio mi ha impedito di correre i Mondiali di Eugene. I miei obiettivi principali, dopo aver vinto le Olimpiadi 2020, i Mondiali indoor nei 60 metri e gli Europei nei 100 metri, sono i 100 metri ai Mondiali di Budapest, unica gara che mi manca per centrare il grande slam della velocità, ma è ovvio che il traguardo più importante sono le Olimpiadi di Parigi 2024“.

Qual è il tuo rapporto con Tortu e gli altri campioni olimpici della staffetta?
La forza del rapporto che c’è tra noi si è vista alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Non si vincono i Giochi Olimpici senza un affiatamento totale e la volontà comune di vincere portando sul podio più alto la bandiera italiana. Il rapporto con Tortu è stato per me uno sprone continuo, all’inizio ho sofferto la concorrenza con lui e questo mi ha insegnato anche a perdere, che è sempre una grande lezione. Poi ho smesso di perdere ogni tanto, mettiamola così, e Tortu da parte sua è passato a un’altra specialità, quindi non c’è più una concorrenza diretta. Resta, invece, il rapporto di amicizia e collaborazione che si rinnova ogni volta con la staffetta“.

Ti piacerebbe una carriera longeva come quella di Maurice Green che si è ritirato a 34 anni ed è stato oro olimpico a Sydney, ha vinto tre mondiali e ha detenuto per 6 anni il primato del mondo?
Certo che mi piacerebbe. Amo correre e amo la competizione. Maurice Green è stato un grande. Però ha fatto due Olimpiadi, io vorrei farne tre! E, soprattutto, voglio continuare a vincere. Non mi pongo limiti“.

Foto: Lapresse

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