Sci di fondo

Sci di fondo, per le azzurre un Tour de Ski da comparse. L’Italia partecipa, gli altri Paesi dell’arco alpino vincono. Perché?

Pubblicato

il

Il Tour de Ski femminile si è concluso con l’affermazione, mai veramente in dubbio, di Frida Karlsson. Senza Ebba Andersson ai nastri di partenza e con una Jessie Diggins apparsa disarmo sin dal primo giorno, la giovane scandinava non ha avuto alcuna difficoltà nel riportare la Svezia al successo a quindici anni di distanza dall’emozionante rimonta di Charlotte Kalla ai danni di Virpi Kuitunen.

Oltre alla protagonista assoluta, i ruoli di supporto più significativi nella XVII edizione dell’evento sono stati ricoperti dalla veterana Kerttu Niskanen, dalle gemelle Tiril Udnes e Lotta Udnes Weng, dalla tedesca Katharina Hennig e dalla francese Delphine Claudel. Tutte capaci di guadagnarsi le luci della ribalta, per una ragione o per un’altra.

Purtroppo non si può dire altrettanto delle italiane, limitatesi a fare da comparse. Non si può effettuare un’analisi differente, perché se il Tour de Ski lo finiscono in 37 e la migliore azzurra è 25ma, allora significa essere nell’ultimo terzo di classifica. Peraltro, anche prestando orecchio ai risultati parziali, non si ode alcun acuto. I piazzamenti nelle prime venti sono arrivati con il contagocce, venendo peraltro dispensati esclusivamente da un’atleta, quella Caterina Ganz che ha viepiù certificato di essere la numero uno del movimento.

Massimiliano Ambesi: “Non ci si può nascondere. Il livello attuale dello sci di fondo femminile italiano è scadente”

In chiave Italia è stato un Tour de Ski anonimo, privo di qualsiasi risultato realmente degno di nota. Disgraziatamente non si può giungere a una conclusione differente. Massimo rispetto per ogni atleta, soprattutto per le quattro arrivate sino al traguardo dell’Alpe del Cermis, ma non basta questo per valutare positivamente quanto si è visto negli ultimi dieci giorni. Come già detto più volte, l’obiettivo massimo di chi pratica sport a livello agonistico non può essere la mera partecipazione.

È significativo soprattutto constatare come altre nazioni dell’arco alpino riescano a brillare. La Svizzera si impone a raffica nel comparto sprint, la Germania torna a vincere in Coppa del Mondo dopo 13 anni di digiuno, la Francia scrive la storia conquistando il primo successo di sempre al femminile. L’Italia, viceversa, è N/A. L’equivalente di “non pervenuta”. Possibile?

Non si punta il dito contro le fondiste. Stanno facendo quanto nelle loro possibilità e non si poteva chiedere più di quanto si è visto negli ultimi dieci giorni. Il problema è un altro. Vedere la terza biathleta azzurra per valore sugli sci battere tutte le “specialiste” nella sprint a skating, comprese quelle ritenute più promettenti, è la pietra tombale su qualsiasi alibi o recriminazione. Quanto accaduto tra la Val Monastero e il Cermis rappresenta la prova definitiva e inconfutabile di come il sistema italiano dello sci di fondo sia imploso agonisticamente.

Lo strapotere scandinavo sul lungo periodo è indiscusso. Però è un dato di fatto anche che, fra le nazioni alpine, Svizzera, Germania e Francia abbiano tutte vinto una tappa in questo Tour de Ski. L’Italia, invece, ha partecipato, senza mai presentarsi fra le prime quindici. L‘alibi geografico, ammesso esistesse ancora, è dunque venuto meno. Chi cresce sulle Alpi può farsi valere. Abbiamo esempi elvetici e transalpini. Anche chi proviene dalla Mitteleuropa (Hennig è sassone) sa emergere. Questa è la realtà dei fatti e non può essere negata. Davvero il San Gottardo e il Brennero sono confini invalicabili dalla competitività nello sci di fondo?

Quali conclusioni trarre in merito lo stato del nostro movimento femminile, lo si lascia allo spirito critico dei lettori, siano essi occasionali, appassionati o addetti ai lavori. A questi ultimi però ci si permette di avanzare una domanda. Come è stato possibile arrivare all’attuale sfacelo? Se si trovasse una risposta, anziché autoassolversi perennemente, bisognerebbe poi porsi un nuovo quesito. C’è possibilità di ricostruire?

Foto: La Presse

Exit mobile version